Le sorelle Macaluso parte bene ma poi ricade in un'abbuffata di difetti italici: la recensione da Venezia 77

Autore: Elisa Giudici ,

Ci avevo tanto creduto durante il primo tempo di Le sorelle Macaluso. Avevo sperato che l'ennesimo film italiano in concorso non si rivelasse una delusione, non ricalcasse tematiche e teoremi ormai lisi del nostro cinema. Da una parte le commedie caciare, dall'altra una mappa di valori mai messi in discussione, che ritrae un'Italia eternamente povera ma bella, viscerale e umana ma immobile nel tempo. 

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Non è certo un fiasco clamoroso come Padrenostro - c'è solo da ringraziare Amos Gitai per il suo tremendo Laila in Haifa se non è un italiano ad aggiudicarsi il titolo di film peggiore della Mostra - i suoi punti di forza li ha, una certa cura produttiva pure. A dirla a mancare è l'interesse verso un cinema che rimane ancorato alla ripetizione di una certa Italia, incurante di quanto sia cambiata dalla fine della Seconda Repubblica in poi.

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Se non ci fossero i cellulari, Le sorelle Macaluso potrebbe essere ambientato in un anno qualsiasi tra il 1968 e il 2020. L'universalità delle esperienze umane è diventata una comoda scusa per non guardare al presente, almeno nel cinema italiano.

Viva l'Italia, l'Italia di ieri

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Tratto dall'omonimo spettacolo teatrale - rivelatosi un successo internazionale - Le sorelle Macaluso racconta la quotidianità di cinque sorelle che vivono all'ultimo piano di una palazzina sgraziata di Palermo. Sopra il tetto c'è un colombaia, principale fonte di sostentamento di una famiglia, i cui genitori non compaiono mai se non in fotografia. Morti, assenti, eclissati? Il film non dà risposte in merito, mette al centro Katia, Pinuccia, Maria, Antonella e Lia. 

I cinque personaggi sono ben caratterizzati, sulla base di un singolo gesto che ripetono in ogni fase della vita: mettersi il rossetto, leggere muovendo le labbra, lamentarsi della chiave sempre inserita nella toppa. Finché le cinque sono ragazzine, il film sembra funzionare, sospeso in un'atmosfera di sorellanza che non sfugge al paragone ormai obbligato con L'amica geniale (che è molto tornato utile a Lacci), ma anche a un piccolo cult come il turco Mustang. Le ragazze hanno caratteri forti, sono impetuose, sboccate, vitali. Si sta preparando una gita al mare, in cui le sorelle tenteranno d'intrufolarsi al Charleston, lo stabilimento della Palermo bene a cui non hanno accesso. 

Rai Cinema
Le Macaluso da piccole
Quando le Macaluso sono ancora piccole il film sembra in grado di far presa sullo spettatore

Accade un fattaccio, il tempo scorre e ritroviamo le ragazze adulte, donne fatte e finite. Per Emma Dante questo è un film sul tempo, su come cambia i corpi e caratteri. Eppure in qualche modo le versioni adulte delle ragazze arrivano senza sorprese, sono le logiche e prevedibili conseguenze delle loro premesse. La presenza dei simboli da ricorrente si fa opprimente: le chiavi, le scale, i colombi, sempre sottolineati da una regia bella sì, ma non sottile in questi passaggi. 

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L'oppressione dei simboli

Quando una delle protagoniste, la saggia e taciturna Maria (il cui nome non è casuale, dato il limite di sopportazione delle altre che raggiunge) appare in scena in tutù il film perde completamente contatto con la realtà e lo spettatore. Fare cinema a partire dal teatro è molto difficile. Nulla vieta di alleggerire il linguaggio teatrale per aderire a una finzione cinematografica abbastanza realista. Ci vuole una mano ben più ferma per portare a casa la lunghissima scena in cui Maria si abbuffa di pasticcini senza scadere nel ridicolo. L'improvvisa bulimia rispecchia l'ossessione del film per immagini simboliche, ricorrenti, continue, come se la storia che racconta da sola non bastasse. 

Rai Cinema
Maria mangia le paste
La tragica scena delle paste segna con precisione il momento in cui Emma Dante perde la fiducia del pubblico

Da evidenziare le ottime performance delle ragazze, mentre in età adulta qualche impasse c'è. Il lavoro sui set è egregio, persino l'inserimento di una canzone popolare come Meravigliosa Creatura non risulta troppo ruffiano. Certo, all'ennesima scena dei colombi che volano nel cielo (#libertà) verrebbe voglia di alzarsi e urlare, ma il problema è a monte. Sta nella scelta di storie così ancorate a un modo di intendere il mondo e il cinema ormai tramontato da sembrare sospese in un vuoto pneumatico fuori dal tempo e dalla realtà e non con la nobilità dei grandi classici teatrali.

Possibile che nell'Italia del 2020 non ci sia una storia degna di essere portata su schermo? Al confronto l'altro film italiano in concorso - Miss Marx di Susanna Nicchiarelli - risulta avanguardia pura, pur con tutti i suoi difetti. 

Commento

Voto di Cpop

55
Emma Dante si aspetta di poter fare al cinema quello che funziona a teatro ma il film le sfugge di mano. Sarebbe poi anche ora di svecchiare le storie e l'approccio di un certo cinema italiano.

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