Il cinema di Gianfranco Rosi non è mai foriero di grandi sorprese, anche quando racconta le emozioni più estreme. Il suo stile documentaristico è talmente uguale a sé stesso, film dopo film, che è possibile appurare quanto vi convenga scavare nella sua filmografia sulla base di un suo solo titolo. Dal pubblico italiano non è esattamente riverito e amato, ma in ambito festivaliero è riuscito senza grandi clamori a portarsi a casa un Orso d'Oro a Berlino e un Leone d'Oro a Venezia, il che fa di lui il più titolato autore di questo concorso veneziano. Il fatto che sia così premiato eppure così poco popolare al di fuori del circuito di cinefili e addetti ai lavori lo rende il nome perfetto per questa Venezia, austera e poco incline alla celebrità.
Venendo a Notturno, com'è la sua nuova fatica, così spasmodicamente attesa dalla stampa italiana? A livello di forma, è una fatica in senso letterale. Questi cento minuti tondi tondi sono il risultato di tre lunghissimi anni di vagabondaggi del regista al confine tra Libano, Iraq, Siria e Kurdistan. Notturno esplora località remote che portano evidentissimi i segni del passaggio di Daesh, il cosiddetto Stato Islamico, e della lotta contro lo stesso.
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Il silenzio e la bellezza dopo la caduta di Daesh
Il fatto che il film in ogni singolo minuto di riprese sia espressione della solita, incredibile eleganza cromatica e compositiva propria del cinema di Rosi è una prova di quanto il suo stile sia ormai scolpito nella pietra sì, ma funzionale al suo racconto. Non è semplice "far sembrare belli" i migranti in arrivo a Lampedusa o quanti lavorano nell'inferno di traffico del Grande Raccordo Anulare a Roma. Lo è ancor di più cavare fuori immagini crepuscolari sublimi da territori agresti dove ogni volto nasconde una storia straziante di violenza (talvolta ancora non conclusa) è un risultato che Gianfranco Rosi sembra portare a casa senza sforzo, invece il documentario ha dietro un lavoro tecnico e umano certosino e infinito.
Rosi è testimone immobile e silenzioso di momenti di un'intimità straziante. Ha ottenuto la fiducia necessaria a immortalare gli infiniti silenzi dei prigionieri dell'ISIS, di madri e vedove in lutto, di ragazzini tornati a una normalità che stenteremmo a definire tale. Notturno ritrae una quotidianità post Daesh durissima ai nostri occhi, ma che almeno non comprende mani e teste mozzate degli yazidi, perseguitati dallo Stato Islamico in quanto appartenenti a una fede differente.
Rosi ci mette di fronte alle riprese di un inferno disegnato dai bambini con tratti infantili, contenuto nei loro racconti a voce atona di quanto hanno visto, evocato dai messaggi vocali di una figlia che implora la madre di mandarle i soldi del riscatto per sfuggire agli uomini dell'ISIS, giovane di cui non conosciamo il destino.
Paganini non replica, Rosi sì
Notturno pone l'eterna domanda del cinema di Rosi: la testimonianza può essere così esteticamente appagante, non rende glamour situazioni di estrema sofferenza? È evidente che il cinema di Rosi sia etico e politico, ma in passato il documentarista non sempre è riuscito ad evitare una deriva formale di compiaciuta eleganza, un'insopportabile retorica mai esplicitata a parole ma che viene fuori per accostamenti e palette cromatiche.
In questo caso questa sensazione è mitigata dalla tematica a tratti atroce e dallo sguardo collettivo della pellicola. Infatti Notturno si apre con i soldati in squadroni che corrono sulle prime luci del mattino e con le vedove piangenti, ma alla fine è testimone del silenzio e dell'oscurità di un container che racchiude decine e decine di ex militanti dell'ISIS, tutti vestiti uguali, tutti in fila indiana, ammassati al rientro dall'ora d'aria.
Come sempre a regnare è il silenzio, interrotto solo dal racconto balbettante di un bambini, dai vocali di una prigioniera, dalle prove di uno spettacolo teatrale. La forza di Notturno è la sua straziante storia che ancora stilla sangue. Il film mostra il ritorno a una normalità rurale agra (vedi la storia di Alì, ragazzino che spara ai passeri per 5 dollari al giorno e vive in una stanzetta con la madre e gli 8 fratellini) dopo la caduta dello Stato Islamico. Il titolo e le immagini testimoniano quanto fatichino a filtrare le prime luci di un nuovo futuro in queste terre già dimenticate.
La storia, narrata con la più rigorosa oggettività (a differenza di quanto visto nel deludente documentario su Greta Thunberg) merita dunque la visione, ma Notturno non è un prodotto facile, immerso com'è nei suoi silenzi, nel suo rigore formale e nel suo dramma. Non aggiunge davvero nulla al cinema di Rosi, ma ha il merito di aver portato il suo intuito per le storie nascoste e le prospettive dimenticate a raccontarci un altro perduto angolo di mondo e la sua sofferenza.
Notturno sarà nelle sale a partire dal 9 settembre 2020.
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