Robert Eggers ha un dono raro, uno dei molteplici che fanno di lui un regista e un narratore così interessante. Come già dimostrato in The Vvitch e in The Lighthouse, riesce a sollevare lo spettatore dalla sala e a farlo affondare in un contesto storico lontanissimo, alieno, ostile, fino a fargliene respirare l’atmosfera. Il suo esordio major - un progetto targato Universal da 90 milioni di dollari - fa respirare a pieni polmoni un’epoca brutale e pericolosa, dove la magia, il mito e gli oracoli s’intrecciano.
Dura due ore e venti The Northman, ma ha il passo sostenuto e audace di un blockbuster e l’eco lontana delle gesta epiche cantate dagli aedi nella notte dei tempi. Con la sua brutalità raramente celata, le sue urla folli, il suo entusiasmo nel calarsi in un’epoca di rituali estremi e guerre feroci, sembra quasi schizzare in faccia il sangue a chi è in sala, dove regna il silenzio anche nelle scene più bizzarre.
C’è per esempio un passaggio in cui il giovane principe Amleto partecipa con il padre a un rito di passaggio che lo renderà uomo e successore al trono. I due devono provare di essere uomini e non bestie prima ruttando, poi scoreggiando. Eppure in sala non si sentono risolini, non vola una mosca. Eggers ci ha portato con lui in un’epoca di lupi, di cani, di orsi e di uomini e donne che attingono la loro forza dalla natura per distruggersi a vicenda e riesce a rapire completamente l’attenzione dello spettatore.
The Northman, l’Amleto vichingo
Ispirato a uno degli episodi del Saxo Grammaticus (a cui s’ispirò anche Shakespeare) The Northman racconta una storia di vendetta: quella del principe Amleto (Alexander Skarsgård) con l’uccisore e usurpatore del trono e del letto paterno. Dopo aver assistito all’efferata morte del padre re Aurvandil (Ethan Hawke) ed essere sfuggito agli assassini, Amleto giura vendetta contro lo zio assassino e spera di salvare la madre, costretta a vivere con lui come moglie.
Salvato dal popolo di Rus, Amleto diventa un guerriero possente e spietato, “con una forza che spezza le ossa”, prendendo parte a razzie e battaglie. Venuto a sapere che lo zio Fjölnir (Claes Bang) ha perso il regno in Norvegia e si è trasferito in Islanda, Amtleto decide di raggiungerlo e tentare di mettere in atto la sua vendetta. Il suo destino s’intreccerà a quello di Olga della foresta delle betulle (Anya Taylor-Joy), una prigioniera d’origini slave che attinge la sua forza dall’intelligenza e dallo stretto rapporto con madre natura.
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Il cammino verso la vendetta, predetto da tre stregoni e segnato da una spada di nome Dragr (la non morta), costringerà Amleto a scegliere se rimanere sulla strada a lui predetta o a uscire dalla logica della vendetta e dell’onore, alla ricerca di una vita guidata dall’amore.
La vendetta di un vichingo tra violenza e magia
Sarà interessante capire se il pubblico risponderà con l’entusiasmo con cui la critica ha accolto The Northman, promuovendolo a pieni voti. Come molti hanno sottolineato, Eggers è riuscito in qualche modo ad adattare il suo personale stile di regia e narrazione molto di nicchia a un film mainstream che occhieggia a un pubblico adulto sì, ma anche di consumo. Per farlo Eggers si affida a un racconto storico danese di epoca medioevale, il classico intreccio in cui un destino viene predetto e il protagonista e il film s’interrogano se ci sia davvero possibilità di vivere una vita differente per il suo protagonista - deviando da quanto predetto - oppure no.
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È una storia che già conosciamo perché esiste in ogni mitologia (greca, latina, teutonica), perciò sostituisce il senso di novità e sorpresa con il come questo destino si realizzi, giocando sulla potenza delle immagini e dei corpi, in primis quello di uno statuario e impegnatissimo Alexander Skarsgård.
Visivamente The Northman è ammaliante nella suo essere estremo, brutale. Il sangue continua a scorrere, gli arti vengono mozzati, le dure fatiche della schiavitù consumano i corpi, i veri protagonisti del film. Allo stretto quotidiano storico si affianca però la dimensione dell’epica e della magia, fusa con grande naturalezza alla storia in scene di enorme impatto visivo (la cavalcata della valchiria, il duello con lo spirito per la spada, il dialogo con la strega profeta interpretata da Björk).
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A questo si aggiunge una regia ricca di carrelli laterali, movimenti prolungati e ampi nel tempo e nello spazio, che lasciano uscire ed entrare il protagonista in scena, che danno un senso di pienezza, di complessità. Non manca anche uno splendido pianosequenza che descrive come un coro collettivo di grida, lamenti e morte l’assalto vichingo a un villaggio.
Il ritorno dell’epica (con qualche compromesso)
Era da tempo che non si vedeva questo genere di epica al cinema, anzi, il tempo dell’epica pura (non ibridata, smitizzata, ironica, meta) sembrava tramontato. Motivo per cui, per chi ha lo stomaco e il cuore di sostenere lo spettacolo trucido di The Northman, la visione è caldamente consigliata.
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Pur bello e potente dal punto di vista visivo, il film pecca un po’ di didascalismo quando descrive la via alternativa che la vita di Amleto potrebbe prendere. A trattenerlo dall’essere qualcosa di più di un film davvero riuscito c’è poi innegabile influenza di una major come Universal, che Eggers non riesce completamente a mitigare. La storia, vista dal punto di vista della madre regina Gudrún (Nicole Kidman) o dell’usurpatore Fjölnir avrebbe il potere di ribaltare il punto di vista, spingendoci a chiedere chi sia il vero bruto della storia, ma The Northman non è interessato a quel tipo di ambiguità e preferisce liquidare il tutto con un monologo intenso di Kidman.
Similmente l’uso di volti così noti crea un’impressione hollywoodiana netta, che smorza un po’ la portata dell’epica e della storia. Specie di fronte a un racconto che non si nega ogni genere di violenza e brutalità ma poi costringe i protagonisti a contorsionismi non da poco durante l’amplesso amoroso, per evitare di far vedere alcunché.
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