Tra i film proiettati in anteprima al Cinema Astra durante Lucca Comics & Games 2023, abbiamo guardato Mary e lo Spirito di Mezzanotte, film d'animazione diretto da Enzo d'Alò. Per l'occasione, abbiamo intervistato il noto regista italiano, passato alla storia per diversi progetti audiovisivi come La gabbianella e il gatto del 1998, tratto dal romanzo di Luis Sepúlveda pubblicato due anni prima.
La nostra intervista a Enzo d'Alò
L'esordio cinematografico di Enzo d'Alò è stato La Freccia Azzurra del 1996, un film d'animazione ispirato all'omonimo romanzo di Gianni Rodari del 1964. Questo progetto, visto con gli occhi di un bambino, riesce a trasmettere una naturalezza incredibile, eppure lo spettatore adulto sa che dietro il film si cela un lavoro durato ben 4 anni.
La Freccia Azzurra è stato il mio primo film e avevo attorno a me tutta una serie di persone che non avevano mai lavorato in un lungometraggio. Dovevamo sempre stare sul crinale tra l'artigianato e l'industriale, per evitare di essere troppo artigiani da una parte ma anche per evitare di perdere lo spirito dell'artigianato che dovrebbe contraddistinguere tutti i lungometraggi. È stato difficile ma anche bello, perché quando le persone fanno una cosa per la prima volta c'è un coinvolgimento emotivo fortissimo e c'è anche la possibilità di confrontarsi più a lungo con le persone proprio perché si possono trovare delle strade e poi tornare indietro.
Tecnicamente è stato importante perché è stato il primo film che ha visto il passaggio dal lavoro con la macchina da presa tradizionale al digitale. Noi avevamo già girato i primi due o tre minuti di film in pellicola e col sistema tradizionale, quindi con la verticale d'animazione, che è una macchina molto complessa. Certo non ai livelli della Disney, ma ci eravamo costruiti una nostra multiplain artigianale che avevamo usato in precedenza per realizzare i cortometraggi. Poi a un certo punto è arrivato, il digitale per cui la scelta è stata quella di rigirare i primi minuti e di continuare a lavorare in digitale. Quando dico digitale ricordiamoci che siamo negli anni 90, non intendo il disegno, che veniva ancora fatto su carta. Ogni scena veniva ripassata su pellicola, il montatore la montava su pellicola perché non c'era ancora il sistema di editing elettronico. A pensarci adesso ti senti un dinosauro.
I film di Enzo d'Alò sono sempre ispirati a romanzi di formazione, tra cui quello per eccellenza, Pinocchio di Collodi, di cui il regista ha realizzato una splendida versione nel 2012. Il processo dell'adattamento audiovisivo, in qualche modo, richiede una creatività ancora più forte, in quanto bisogna sempre trovare un equilibrio tra la propria arte e quella di un autore che ha già fatto sedimentare un immaginario collettivo ben preciso.
Io devo credere in quello che il libro mi dice, quindi già io non non vado mai in contrasto con la fantasia, con l'immaginario dell'autore del libro. Devo avere le sue stesse convinzioni non potrei mai raccontare una storia cambiando il finale solo perché non mi piace come l'ha fatto l'autore. Il mio lavoro deve essere in completa armonia con la scrittura e con quello che intendeva fare l'autore e il e il mio lavoro preliminare è quello di parlare con lui più volte, se ho la fortuna di farlo.
Quello che leggo deve anche emozionarmi, superato questo step io ci metto dentro tanto della mia vita, ogni ogni film è una
parte della mia vita e racconto le mie esperienze all'interno di ogni film. Ho dei miei messaggi, ho dei dei miei modi di comunicare che sono i gesti quotidiani, certe battute, certe frasi. Quando lavoriamo sulla sceneggiatura, io collaboro sempre con un vero sceneggiatore perché in due si fa un lavoro enormemente migliore, è un moltiplicatore enorme perché c'è un confronto continuo e si parla, si lavora e si sviluppa tutto quello che c'è di collaterale.
In particolare, è stato interessante parlare proprio di Pinocchio e di come, nel corso degli anni, è stato percepito dal pubblico, nonché della vera funzione di un film secondo Enzo d'Alò.
Tutti credono che io abbia cambiato tutto di Pinocchio, perché in pochi conoscono bene il libro. Tanti giornalisti mi chiesero perché avevo reso la fatina una bambina, ma la fatina è una bambina. Lo hanno dimenticato tutti perché Disney ha preso il sopravvento lavorando in contrapposizione, ed è un metodo che non condanno né giudico ma è diverso da quello che mi piace fare. Nella scrittura cerco di immedesimarmi in ognuno dei personaggi e di chiedermi sempre che cosa farei io al loro posto, quindi anche in questo modo, nei dialoghi e nelle azioni, c'è una parte di me e della mia esperienza. L'immaginario collettivo poi non è legato solo alla scrittura ma anche al disegno, al colore, alle voci, alla musica. Questo muta nel tempo, più velocemente di quanto cambi io, ma ho cercato sempre di andare di pari passo.
Mi ispiro spesso a romanzi di formazione perché mi interessa trasmettere un messaggio, ci sono personaggi che devono crescere all'interno del film e io so perfettamente quali devono essere. Il messaggio deve arrivare a più persone possibili, penso di avere questo ruolo: devo raccontare e devo emozionare le persone, cercando di far loro capire la mia visione del mondo. Il film per me è uno strumento, un mezzo di comunicazione, non il fine creativo.
Nel corso della sua carriera, Enzo d'Alò ha lavorato anche ad alcune serie televisive, che per forza di cose richiedono un processo creativo e lavorativo differente. A tal proposito, è stato interessante comprendere le dinamiche del differente approccio e quali diversi stimoli possano donare le due differenti realtà.
La serie televisiva non ha mai la stessa gratificazione di un film, perché intanto si lavora con un budget ridotto, ovviamente, quindi tutte le lavorazioni risentono molto di questo step e della qualità di questo step. Le mediazioni sulla scrittura
sono ovviamente superiori, perché ci sono le televisioni, ci sono le persone che che intervengono nella costruzione del
del soggetto della storia, quindi non si può avere più la pretesa di raccontare un proprio mondo. Io sono stato fortunato, ho fatto pochissime serie, ma l'ultima serie, Pipì, Pupù e Rosmarina, l'ho potuta concepire e scrivere senza nessuna interferenza grazie ai ragazzi che mi hanno dato carta bianca. Normalmente, però, le serie per forza di cose subiscono un mondo di costrizioni e ci sono pochissime eccezioni. Anche con Pimpa - Le nuove avventure non c'è stata quasi mai alcuna rettifica, e quando ne hanno chieste erano sempre motivate e giuste.Personalmente preferisco lavorare sui lungometraggi, mi fa piacere fare una serie anche se è un impegno molto più pesante di un film, ma a parità di tempo in una serie si delega molto di più. In un film sono lì dall'inizio alla fine e ho contatti con i singoli animatori, certo ho i miei collaboratori ma delego il meno possibile, sono sempre insieme a loro ad ogni step.
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