Il filo nascosto viene considerato uno dei più bei film dello scorso decennio. Alla sceneggiatura e regia c’è Paul Thomas Anderson, vero maestro della macchina da presa, nonché narratore eccellente quando si vuole scavare negli abissi che risiedono nel genere umano. L’autore di classici come Il petroliere e The Master torna, grazie agli interpreti Daniel Day-Lewis e Vicky Krieps, a ragionare sulle relazioni di potere che possono nascere tra le persone, nei rapporti impari che possono instaurarsi, nonché sulle risoluzioni interne che vengono adottate affinché si possa trovare un equilibrio.
Nella maison d’alta moda del personaggio di Day-Lewis, lo stilista Reynolds Woodcock, l’ordine è regola principale soprattutto nella fase di ideazione e creazione degli abiti sontuosi che l’uomo è solito produrre. Ed è questa situazione di stasi che verrà messa in confusione dall’innamoramento di Reynolds per la giovane Alma Elson, all’apparenza malleabile statuina ai servigi del marito. Servizievole donzella alla ricerca dell’amore e inaspettatamente costretta in un gioco sadico di ripicche e desiderio.
Il matrimonio tra i due personaggi è infatti atto scatenante del cambiamento del lavoro e del processo di fattura dell’elegante stilista. Quest'ultimo, per quanto prenderà ispirazione dall’eterea moglie per uno dei suoi migliori abiti, si ritroverà anche imprigionato in un contratto vincolante che finirà per andargli stretto. È dunque una continua dicotomia quella che porterà i protagonisti fino alla fine della loro storia, per una chiusura ambigua eppure chiarissima se analizzata sotto i termini del potere e del controllo.
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La spiegazione del finale
L’impasse del rapporto tra Reynolds e Alma nel film arriva quando gli affari dello stilista iniziano a scricchiolare e l’uomo sente che la colpa del tracollo è proprio la presenza della giovane moglie. L'uomo parla di questa sua preoccupazione con la sorella Cyril (Lesley Manville), unica altra donna rilevante della propria vita, a tratti più importante della stessa consorte. Effettivamente tra i due fratelli c’è stato da sempre un rapporto assai bilanciato, dove uno faceva da contrappunto all’altro e in cui era Reynolds soprattutto ad affidarsi completamente al giudizio e all’affetto della quadrata Cyril.
Alma, però, assiste al colloquio tra il marito e la sorella, rimanendo all’apparenza impassibile anche quando l’uomo dichiara che, forse, sarebbe meglio interrompere la relazione con lei. I due si recano nella loro casa di campagna, dove Alma prepara un omelette con funghi avvelenati al marito. Una dose non mortale, funghi che finiscono solamente per far del male all’uomo, senza però tramortirlo. Veleno di cui la donna mette al corrente Reynolds fin dal primo morso, rivelando il desiderio di Alma di vederlo vulnerabile e dipendete dalle sue cure.
Durante tutto il film, lo spettatore ha avuto modo di spiare le dinamiche relazionali di Alma e del severo marito, uomo capriccioso quanto artista geniale, la cui arroganza e prepotenza ha spesso schiacciato e soffocato la vitalità e la personalità della sposa. Una caparbietà assecondata dalla sorella Cyril e quindi mai smussata da Reynolds, il quale si è ritrovato ogni volta a poter legiferare su ciò che riguardava il proprio lavoro e la propria vita, piegando gli altri alle proprie volontà.
Questa condizione, dunque, si è andata riproponendo anche con l’arrivo di Alma nella sua casa. E, se inizialmente la donna aveva rappresentato una sorta di fuga dalla sua esistenza infrenabile, ha finito poi per inclinare anche lei ai desideri dell’uomo.
E così, per tutta la pellicola, vediamo una Alma succube dell’irritabilità del marito, che tenta di instaurare un dialogo o dei momenti di condivisione, che non riescono però a soddisfare mai abbastanza le fisime di Reynolds. Dare quindi in pasto all’uomo che ha accanto una porzione di funghi avvelenati non significa per Alma causargli del male che sia fine a se stesso, ma che induca Reynolds a placare i suoi spiriti e a dipendere completamente dalla moglie.
Una situazione intuibile leggermente e solo in alcune sfumature all’interno di tutto il film, ma che diventa palese tanto nella confessione dell’azione compiuta da Alma, quanto nella volontà di Reynolds di continuare a consumare il proprio pasto anche dopo aver saputo la verità.
Reynolds, infatti, nell’apprendere del gesto della moglie fa qualcosa che, in fondo, non è poi così inaspettato. Sceglie infatti consapevolmente di ingoiare il piatto cucinato dalla donna e, quindi, di accettare la condizione di sottomissione e bisogno di cure che entrambi vogliono soddisfare. Così Alma, con questo malsano stratagemma, può finalmente ricoprire una posizione di dominio rispetto al marito, mentre Reynolds può concedersi un momentaneo attimo di pace, affidando la sua vita nelle mani di un’altra persona.
Quello che si prospetta il futuro della coppia è un susseguirsi di alti e bassi, formati anche e soprattutto dalla ciclicità con cui i loro ruoli all’interno della relazione andranno ribaltandosi. Il rapporto tra Alma e Reynolds diventa così mobile, alimentato da una continua trasformazione che vuole il potere e la dipendenza alternarsi nel corso del tempo. Una volta sarà Reynolds a comandare, la volta dopo sarà Alma. E solo così per i protagonisti è possibile immaginare un futuro sicuro, pieno d’amore seppur a modo loro.
Alma, mentre assiste ai dolori del marito, immagina ad occhi aperti come potrà essere da ora in poi la loro esistenza: i due potranno avere un bambino, lei acquisterà un ruolo di prestigio nell’atelier, trascorreranno molto più tempo insieme grazie alla loro soddisfacente vita sociale.
È il bacio di Reynolds a suggellare il tacito patto tra i personaggi, nascosto alla vista degli altri come la scritta “Never cursed” che lo stilista ricama all’interno dei propri abiti. Perché ogni vestito appartiene a una persona e ogni persona ha un segreto. E quello di Alma e Reynolds è appeso davvero a un filo sottilissimo. Quello di un finale hitchcockiano, scritto e diretto dal regista forse più importante del cinema contemporaneo.
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