Non è un abile colpo di polso a far schioccare la frusta di Indiana Jones, ma la tempestiva pressione di un tasto del nostro joypad, eppure la soddisfazione è la stessa: troviamo un appiglio e ci lanciamo nel vuoto, dritti verso la meta. Forse la X non è il punto dove scavare, come sosteneva il buon Indy nelle prime scene de L’Ultima crociata, ma con Indiana Jones e l’Antico Cerchio quella X diventa il punto o, meglio, il pulsante, da premere, per avanzare in un’avventura in pixels che risponde a una domanda: quanto mancava un gioco di Indy?
Spoiler: tantissimo. Per quanto le esilaranti declinazioni Lego dell’archeologo più famoso del cinema abbiano divertito con la loro ironia a base di mattoncini colorati, i fan di Henry Walton Jones Jr aspettavano da tempo una nuova caccia al tesoro degna di tal nome, in cui tornare a vestire i panni di un Indiana Jones nei suoi anni migliori, dopo averlo visto crepuscolare in Indiana Jones e la Ruota del Destino. E’ bastato vedere l’interesse suscitato dal trailer di Indiana Jones e l'Antico Cerchio per comprendere quanto la fan base fosse bramosa di fedora e frusta, ma è solo quando la nostra consolle ha avviato il gioco che finalmente ci siamo sentiti a casa.
- Indiana Jones e il regno dei pixels
- Suoni e immagini del mondo di Indy
- Non sono gli anni, sono i pixel
Indiana Jones e il regno dei pixels
Perché siamo onesti, la scelta di creare un tutorial costruito sulle iconiche scene iniziali de I Predatori dell’Arca Perduta è stata una veritiera dichiarazione d’intenti. Sin dai primi istanti del gioco, si è respirata quell’aria di avventura che associamo a Indy, con un’attenta caratterizzazione non solo del protagonista ma di tutti gli attori di questa sua nuova impresa.
A scanso di equivoci, qui non leggerete una recensione tecnica di Indiana Jones e l’Antico Cerchio, che è stato già ampiamente sviscerato in luoghi più consoni. Il nostro approccio con la nuova caccia al tesoro di Indy è stato guidato non tanto da un’analisi tecnica, quanto dalla speranza di ritrovare nel mondo digitale di MachineGames quello spirito di avventura che ha sempre accompagnato sul grande schermo lo spericolato archeologo. I giocatori veterani (veterani suona meglio di vecchi, vero?) ricordano ancora quel piccolo capolavoro di Indiana Jones and the Fate of Atlantis, glorioso titolo dell’era delle avventure punta e clicca in cui Indy era stato magnificamente ritratto in pixels, la miglior trasposizione videoludica di Indy a parere di chi scrive. Almeno, fino a oggi.
E quale era il suo segreto? Semplice: quello era Indiana Jones. Non nella sua pixelosa figura, ma nelle sue peculiarità, nella presenza degli immancabili enigmi e nella valorizzazione di una storicità fittizia ben calata nel credibile. Ripensando alla saga di Indy, quello è un tratto essenziale, il poter credere che fosse possibile trovare il Santo Graal o l’Arca dell’Alleanza, perché la Storia lascia tracce che posso diventare storie. E lì, vive il mito di Indy, quella particolare alchimia che ha fatto appassionare generazioni, che hanno seguito il sorriso sornione di Harrison Ford dalla foreste peruviane alle assolate sabbie egiziane, passando per l’India e la nostra Sicilia.
Questi erano gli aspetti che ci si attendeva da Indiana Jones e l’Antico Cerchio. Nessun disdegna una bella grafica e un gameplay avvincente, elementi presenti nel gioco sia chiaro, ma se vieni calato nei panni di Indy, vuoi esserlo a pieno titolo. E qui, MachineGames ha colpito in pieno, senza ombra di dubbio.
Suoni e immagini del mondo di Indy
Se travestire un tutorial da omaggio a un momento iconico di Indy può sembrare sin troppo facile, non si può negare che l’avere scelto di inserire questo capitolo della vita di Henry Jones Jr tra I Predatori dell’Arca Perduta e Il Tempio Maledetto sia stato un azzardo. Non è mai semplice andare a riempire le zone grigie di un racconto, si hanno possibilità incredibili ma ci si prende anche il rischio di scontrarsi con la temuta continuity. Rischio minimizzato, o addirittura annullato, se si rispetta il personaggio e il suo mondo.
Indiana Jones e l’Antico Cerchio lo fa nel migliore dei modi. Niente citazionismo, ma garbati riferimenti alle note vicende dell’archeologo, che si basa sui dialoghi spontanei con l’amico di sempre, Marcus Brody, o dalla presenza di una colonna sonora che si fonda sulle note più amate delle musiche di John Williams, dando al giocatore un ulteriore senso di appartenenza alla mitologia di Indy. Se fate attenzione, ad ogni riferimento alla vita dell'avventuriero, compresi i capitoli raccontati ne Le avventure del giovane Indiana Jones, corrisponde una soundtrack specifica, che accompagna l’ottimo lavoro in fatto di espressività per i volti dei personaggi.
Ma non possiamo negare che a dominare la scena è la verosimiglianza con il giovane Harrison Ford. Quando per la prima volta Indy appare di schiena, mentre ammira una lontana montagna peruviana è impossibile non rivedere quei tratti distintivi della regia di Spielberg, la ricerca di una perfetta sintesi tra immagine e sonoro, una sinergia che trova nella fisicità e nella misurata espressività di Ford la piena espressione del mito di Indiana Jones.
Non sono gli anni, sono i pixel
Di questo vive Indiana Jones e l’Antico Cerchio. Non di puro gameplay e di ricerca di una fredda impeccabilità tecnica, ma delle espressioni di un Indy digitale che non fa rimpiangere l’originale, delle sue battute precise, figlie di un umorismo raro oggigiorno al cinema, ma che ha consacrato Indiana Jones nell’olimpo del film d’avventura, a quella cicatrice sul mento che caratterizza Indy e la cui storia è parte del suo mito.
E’ questa fedeltà al personaggio, al suo mondo e alle sue regole specifiche, a rendere Indiana Jones e l’Antico Cerchio una perfetta interpretazione del mito di Indy. Difficile trovare quale sia l’elemento che più rende concreta questa aderenza al canone narrativo dell’archeologo, ma il risultato del lavoro di MachineGames è innegabile, e noi giocatori possiamo nuovamente vestire i panni di Indy, letteralmente grazie a un intrigante point of view in prima persona, e per una volta pensare che non sono gli anni, ma i pixel a farci vivere nuovamente l’Avventura più pura.
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