Slam Dunk: il manga sul basket che fa sempre canestro

Slam Dunk: come un teppista divenne un grande campione di basket. Ascesa e consacrazione del manga spokon di Takehiko Inoue

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Autore: Elisa Erriu ,

Con queste parole, una bella ragazza presenta a uno scapestrato bulletto di nome Sakuragi Hanamichi il senso del basket. Il senso stesso dello sport:

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Slam Dunk vuol dire essere una stella del basket, saper giocare in modo da incitare la folla e quando la paura dell’avversario fa concentrare tutta l’energia in un canestro, quello si chiama Slam Dunk

E soltanto con queste prime battute, per rimanere in tema, fa così subito “canestro” nei cuori dei lettori. Su questa base si fonda uno dei manga sportivi di maggior successo, arrivato recentemente anche sul grande schermo. E per questo motivo abbiamo deciso di raccontarvi come e perché Slam Dunk, il superbo spokon di Takehiko Inoue, ha meritato tutto questo successo: fidatevi, state a guardare come gioca un campione!

Slam Dunk, il manga per chi ama il basket e soprattutto per chi no

L’inizio e le premesse di Slam Dunk

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Anni ’90, prefettura di Kanagawa. Siamo in una scuola superiore giapponese, qui, il basket, non può vantare una grande popolarità. Rappresenta più un passatempo perfetto nel dopo scuola per alti o agili studenti con una particolare attitudine a imitare sport "all'americana", troppo fisici per i canoni giapponesi. Eppure, attingendo dalla sua enorme passione per il basket, l'autore Takehiko Inoue ha costruito per Slam Dunk una storia portentosa con personaggi “all’altezza” di campioni.

In quegli anni, eravamo soliti vedere due estremi nel panorama dei manga dedicati allo sport: protagonisti coraggiosi, epici, combattenti virtuosi spinti da nobili sentimenti, oppure l’esatto opposto, personaggi burloni, con cui era difficile restare seri troppo a lungo e la cui aspirazione più grande era qualche bianca mutandina.

Hanamichi Sakuragi, il protagonista di Slam Dunk, si trova perfettamente nel mezzo: all’inizio della storia, ci viene presentato come un vero teppista, niente più che un bulletto giapponese perennemente a caccia di qualche ragazza da rimorchiare e i relativi guai che questa ricerca comporta.

Il protagonista: “sono Sakuragi lo sportivo, piacere di conoscervi!”

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Hanamichi è un vero attaccabrighe. Non ha pazienza, non ha remore, non è neppure maggiorenne e non ha problemi ad alzare le mani.  Ma non per stringere il pallone. Tanto che nei primi capitoli di Slam Dunk, Hanamichi, non sa nemmeno giocare a basket. Anzi, lo odia proprio. Il motivo per cui si avvicina a questo sport è un becero tentativo di far colpo su una ragazza, Haruko Akagi, anche lei iscritta come lui al primo anno della scuola superiore di Shohoku.

La studentessa, sorella di Takenori, il capitano della squadra di basket della scuola, è appassionata di questo sport e confessa ad Hanamichi di essere attratta da un giocatore, Kaede Rukawa. Proprio per questo motivo, Hanamichi prova un sentimento di fastidio nei confronti del basket, finché Haruko, con un’abile tecnica di “rimbalzo”, convince Hanamichi a far parte della squadra.

Complimentandosi con il ragazzo per il suo fisico atletico e muscoloso, gli chiede se sia un atleta anche lui e se per caso gli piace il basket. Hanamichi, sovraccaricato da un’eccessiva, rinnovata fiducia e realmente ammaliato da lei, risponde “certo, non vedi che fisico? Sono un atleta!”. Così inizia la storia di Slam Dunk, con un tiro da tre punti da parte di Haruko: sagacia femminile 3 – Hanamichi 0.

La trama di Slam Dunk: da ragazzi a uomini

Nonostante i suoi trent’anni di onorata carriera, Slam Dunk è un manga che ancora oggi rappresenta una delle punte di diamante del genere spokon, un fumetto giapponese incentrato su uno specifico sport. Ma Slam Dunk non fa canestro soltanto in questo settore fumettistico, è anche una sorta di guida per tutti i fan di questa pratica sportiva, ma anche per chi non la conosce. E non solo.

Slam Dunk ha appassionato milioni di lettori, ha avvicinato i giapponesi al basket ed è uno tra i fumetti giapponesi più famosi in tutto il mondo. Come ha fatto una semplice squadra di basket giapponese ad aver conquistato il mondo? Ciò che ha reso Slam Dunk un capolavoro senza tempo sono i dettagli, la cura, la caratterizzazione che Inoue ha usato in ogni aspetto del suo manga, dallo stile grafico fino alla personalità autentica dei suoi personaggi. Di tutti i suoi personaggi, secondari, antagonisti e comparse incluse.

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L’aitante e bulletto Hanamichi dalla curata chioma rossa non è l’unica stella sul campo: man mano che la storia prosegue assistiamo a un intero gruppo di protagonisti e non mere comparse. Partita dopo partita impariamo a conoscere ogni compagno di squadra della Shohoku e non solo, anche i rivali hanno un faretto puntato tutti per loro.

Nessuno risulta mai piatto, inespressivo, ogni giocatore ha la sua motivazione, il suo carattere, il suo modo di giocare e uno spirito colorato che va ad aggiungere al quadro di Slam Dunk una tavolozza ricca di sfumature e tonalità, trasformandolo da manga dedicato al basket in un manga formativo.

I personaggi: da squadra a famiglia

Si potrebbe realizzare uno speciale esclusivamente sui personaggi di questo manga, perché il suo autore, Inoue, ha messo in ognuno di loro una storia e una personalità unici.

Kaede Rukawa, “l’antagonista” di Hanamichi, incarna il suo opposto: è apprezzato dalle donne al punto da avere un suo fan club, al contrario di Hanamichi che al massimo può vantare una cinquantina di rifiuti da parte delle ragazze. È dotato di puro talento e di una forte determinazione, per lui il basket rappresenta tutta la sua vita, letteralmente. Col suo stile agile e le sue forti schiacciate, molti l’hanno paragonato (fuori dal manga) al mitico Michael Jordan.

Dentro la trama, rappresenta il giocatore più forte della squadra, anche più di Hanamichi. Si potrebbe dire che, in un manga “tradizionale”, lui potrebbe essere la star della storia. Invece, per via del suo modo di fare ombroso, rigido, fortemente egoistico al punto da aver difficoltà nel saper valorizzare il gioco di squadra (oltre a essere pigro e negligente), risulta in questo aspetto un passo indietro rispetto ad Hanamichi, che è solare, energico, simpatico e capace ad adattarsi alle situazioni.

Takenori Akagi o come viene “affettuosamente” ribattezzato da Hanamichi, il “Gorilla”. È il giocatore più alto della squadra, nonché il capitano della squadra dello Shohoku. Pur essendo imponente, forte e dall’aspetto burbero, è profondamente legato ai suoi compagni ed è colui che li incoraggia sempre. Si può dire che lui sia il centro portante del team. In questo (e anche nell’aspetto) ricorda uno dei centri più grandi di tutti i tempi, Patrick Ewing.

Proprio come lui, Takenori non è dotato di un innato talento, ma dove non arriva con le sue capacità, ci pensa con l’allenamento. Grazie a lui e alla sorella, Hanamichi (e i lettori) impara gli insegnamenti basilari del basket fino ad affinare la tecnica del cestista.

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Hisashi Mitsui, la grande promessa nazionale, stroncata da un infortunio. Abilissimo tiratore da tre punti (un omaggio a Craig Hodges), è un giocatore mosso dalla vendetta e dall’ambizione, una crasi perfetta tra Rukawa e Hanamichi.

Ryota Miyagi, il playmaker della squadra: più grande dei suoi compagni come età, è al contrario il più piccolo come altezza. Ma compensa la bassa statura con un’incredibile agilità. Anche la sua storia rivela una grande complessità e una ricchezza di sfumature, al punto che Inoue gli ha dedicato anche un manga one-shot a parte per spiegare l’origine del suo orecchino.

Un dettaglio così piccolo era così importante da raccontare? Sì, se tramite questi orecchini viene spiegata l’inizio del suo amore verso Ayako, il suo rapporto con il fratello e il modo di vivere il lutto per la sua perdita. Semplicemente, se non fosse per quegli orecchini, si può dire che Ryota non sarebbe vivo e di conseguenza non avrebbe mai fatto parte della squadra di Shohoku.

Ci sono altri personaggi che fanno di Slam Dunk una storia ricca di personalità, tra cui i giocatori in panchina, Satoru Kakuta, Kiminobu Kogure e Yasuharu Yasuda, ma citeremo soprattutto tra questi l’allenatore Mitsuyoshi Anzai, uno dei pochissimi adulti di cui vediamo spesso il volto. Peccato che questo sia coperto (quasi) sempre da baffi e occhiali, cosa che ci impedisce di capirne facilmente le espressioni.

Dietro il suo aspetto apparentemente distaccato e asettico, al punto che viene spesso ribattezzato “schiavista del basket” o “diavolo dai capelli bianchi”, si nasconde un uomo che fa da guida ai suoi ragazzi, al punto da incarnare una sorta di figura paterna nei momenti più importanti della loro crescita. Molti giocatori della Shohoku hanno una famiglia assente se non addirittura hanno perso il padre. Anzai si dimostra al contrario una figura presente, talvolta anche pressante, l’unico adulto che crede in loro, sa consigliarli, riequilibra i loro momenti di fragilità e li esorta a considerarli più che semplici compagni. Bensì una famiglia.

I rivali: la mano sinistra è da supporto per la destra

Come ogni grande storia, per dare risalto all’eroe serve un antagonista all’altezza. Parlare di rivalità in uno spokon, però, è un argomento complicato poiché bisogna destreggiarsi tra competizione sportiva, sana e costruttiva, e antagonismo puro e spietato, per cui spesso non ci si risparmia ad affibbiare aspetti negativi ai nemici dei nostri protagonisti. 

In Slam Dunk è curioso come spesso, spessissimo, questi aspetti da “anti-eroe” siano bilanciati in tutti i personaggi, sia negli avversari della squadra dello Shohoku, sia nei suoi stessi giocatori. Si potrebbe dire, infatti, che il primo “vero” antagonista sia proprio Rukawa, la “super matricola”. Col suo atteggiamento spocchioso e solitario, porta i compagni al limite della sopportazione. Come si può giocare di squadra se lui minaccia la sinergia del gruppo?

Nella prima fase del manga, durante il campionato della prefettura di Kanagawa, la squadra di Hanamichi riesce ad avanzare senza grosse difficoltà, sgominando la concorrenza e facendosi notare con schiaccianti vittorie di cento punti a partita. I giochi si fanno interessanti quando scende in campo la squadra di Shoyo, una delle più forti di Kanagawa.

Al contrario della squadra di Shohoku, questi avversari sono tutti alti uguali (sopra i 190 cm), ciò gli permette di giocare sullo stesso “livello”. Avendo stessa altezza, riescono a effettuare passaggi facilitati, puntare molto sull’offensiva e sfruttare le loro stesse qualità sulla media distanza.

Il capitano della squadra, Kenji Fujima, è anche un ottimo playmaker, osannato dalle donne, nonché l’allenatore del team. Ed è sempre lui a rappresentare un’ottima alternativa a Rukawa: nel corso della storia, Fujima sta in panchina e anche da lì riesce a incitare e supportare il suo gruppo meglio di quanto riesca a fare Rukawa sul campo. Rukawa è un abile attaccante e segnerà il tiro della vittoria, eppure non sarà lui a vincere il cuore dei lettori, sarà Fujima. Per quanto riguarda lo Shohoku, non saranno i giocatori “migliori” a emergere, come ci si poteva aspettare appunto da Rukaza, bensì spiccheranno Miyagi e Hanamichi. Saranno loro a farsi notare in quest’importante partita, lavorando in team con gli altri, sebbene alla fine Hanamichi verrà espulso.

Nel corso delle selezioni in vista del campionato nazionale interscolastico, lo Shohoku dovrà vedersela coi temibili giocatori del Kainan, la più forte di tutta la prefettura di Kanagawa, capitanata da uno tra i “Kanagawa Best Five”, il severo e integerrimo Shinichi Maki, oltre al team del Ryonan, caratterizzata da una squadra temprata dal massiccio capitano Jun Uozumi. Qui forza, velocità e sforzi fisici ad altissima tensione sono i veri avversari da battere, tutte qualità che permettono al gruppo dello Shohoku di affrontare i propri limiti e le proprie paure, fare gioco di squadra e crescere, passaggio dopo passaggio.

Qua impariamo che vincere non è sempre l’importante, anzi, a volte non è proprio possibile, pur impegnandosi. Tutto ciò che rimane è l’allenamento, imparare a giocare, cadere per poi rialzarsi, in vista della prossima partita.

La storia di Slam Dunk: “di’ un po’, ti piace il basket?”

Takehiko Inoue, sin da giovane, ama il basket. Ma la sua grande passione non bastava per far sì che Slam Dunk venisse pubblicato. Il manga ha rischiato, anzi, di non vedere mai la luce.

Ai tempi in cui Inoue progetta di pubblicare uno spokon, in Giappone erano già state pubblicate con discreto successo e interesse alcune storie con tema riguardanti il calcio, la pallavolo o al massimo il pugilato, con titoli come Capitan Tsubasa (il “nostro” Holly e Benji), Mila e Shiro, Rocky Joe. Anche se, in realtà, nella madrepatria lo sport più amato era il baseball. Ecco che, quindi, le vere star degli anni ’70 e ’80 erano Mr. Baseball, Tommy la stella dei Giants o altri titoli con protagonisti una mazza e una palla bianca.

Il basket? Tutt’al più era associato a Gigi la trottola, che per quanto rimanga un simpaticissimo spokon con protagonista un adorabile ragazzo con il “difetto” dell’altezza, compensata da una smisurata fiducia in se stesso, fa tuttavia della sua carta più vincente la comicità e meno la cultura agonistica (pur essendo presente).

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La partita contro il Kainan non poteva rivelarsi più difficile per lo Shohoku, che fa i conti con l'infortunio di Akagi e l'inesperienza di Hanamichi. Punto dopo punto, i ragazzi di Anzai stanno tenendo testa al "re" di Kanagawa, ma per fermare il numero uno Maki, affamato di vittoria, dovranno giocarsi il tutto per tutto.

Sebbene Slam Dunk non si tiri indietro per quanto riguarda momenti comici e demenziali, Inoue mette nel suo manga una profonda conoscenza dello sport, a partire dall’accuratezza nei disegni, delle posizioni dei giocatori, le loro azioni, la fisicità realistica delle dinamiche di gioco, finanche una maniacale cura nel rendere il più chiare e vere possibili le strategie e i pensieri durante una partita, attraverso gesti, smorfie e sguardi. Ma tutto questo, Inoue non può ancora mostrarlo.

Quando la Shueishua riconosce del talento in Inoue e lo assume, lo affianca a Tsukasa Hojo, l’autore di Occhi di gatto e di City Hunter. Da lui Inoue impara a dosare comicità e spessore nei personaggi, tratti riconoscibili, unici, un equilibrio perfetto tra una narrazione avvincente e un’opera graficamente pregevole. Dopo anni e anni di pratica, Inoue pubblica la sua prima, breve opera a tema basket, Kaede Purple, che gli fa guadagnare il premio Tezuka Award e gli permette di approdare nel 1990 a realizzare il suo sogno, con la pubblicazione di Slam Dunk. Eppure anche questo non basta, deve scontrarsi con il pubblico e l’editore: entrambi non sono interessati al basket.

Nessun problema, Inoue ha una soluzione: i primi dieci capitoli del manga parlano soltanto di un ragazzo scapestrato, un bulletto, una panoramica non troppo sottile e non troppo positiva sull’ambiente scolastico giapponese di quegli anni. Ciò spiega il motivo per cui l’inizio di Slam Dunk parli pochissimo del basket e risulti persino lento, con l’unico scopo di mostrare la violenza, vizi e (poche) virtù del protagonista.

I “veri” giocatori di Slam Dunk: ispirazioni e citazioni

La tenacia con cui Inoue vuole realizzare un manga sul basket viene premiata da un momento storico che lo porta finalmente a tirare a canestro: le Olimpiadi di Barcellona nel 1992. È l'anno dei giochi olimpici e del "Dream Team" degli USA. È l'anno delle leggende e del mito sul parquet, l'anno di Magic Johnson, di Michael Jordan, di Pippen, Malone, Ewing, Bird, Stockton e di altri fuoriclasse.

L'eco dei loro tiri a canestro è così forte, che anche il Giappone è costretto a girarsi e guardarli con incanto. Tutto il mondo riscopre (o scopre) la passione per il basket ed è il momento perfetto per Inoue per dare inizio alla sua partita. Dà un taglio netto col passato, al punto che dà un taglio ai capelli anche ad Hanamichi. Slam Dunk, da allora, da questi capitoli in poi, parla di basket.

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Possiamo soltanto accennare alla svariata quantità di citazioni all’NBA e all’universo del basket che Inoue usa, confermato in ogni minimo dettaglio della sua opera: i suoi personaggi stessi, pur essendo nativi giapponesi, rappresentano pregi e difetti dei più grandi campioni del basket, Hanamichi e Rukawa personificavano l’antagonismo che in quegli anni infiammava alcune squadre dell’NBA, persino i colori dei jersey della Shohoku sono un omaggio ai colori (principalmente) dei Chicago Bulls.

Il successo, dal disegno alla lore: “poiché sono un genio!”

Slam Dunk è uno spokon dalla doppia personalità: proprio come Hanamichi nasconde sotto alla sua uniforme studentesca la maglia della sua squadra, così questo manga nasconde un aspetto che difficilmente si ritrova in altri manga dello stesso genere. Potremmo riassumere la chiave del suo successo in una parola: anima.

Non assistiamo soltanto a partite ad alto voltaggio, a uno stile artistico pari al capolavoro (d’altronde, Inoue è anche il genio dietro a Vagabond, uno tra i manga più “belli” di sempre), Slam Dunk supera le barriere dei manga sportivi e osa andare oltre l’etichetta. Potremmo tranquillamente dire che sia in tutto e per tutto un manga di formazione come uno shonen, che talvolta sia anche epico e maturo come un seinen e sappia farci battere il cuore, con un velato, velatissimo romanticismo, come uno shoujo. Insieme al suo manga, cresce lo stesso autore ed entrambi raggiungeranno la vetta, proprio grazie a uno spirito di sacrificio e di sforzo collettivo.

I numeri di Slam Dunk: dal manga all’anime

Ciò che rende Slam Dunk un manga e poi una serie anime di successo, è dunque il fatto che questi ragazzi stanno giocando non soltanto una partita di basket, ma piangono, perdono, vincono, sbagliano, imprecano e crescono come ciascuno studente della loro età. Le debolezze dei protagonisti sono spesso fonte di motivazione, le difficoltà che devono superare sono scontri/incontri che affrontano da soli oppure contro avversari che rappresentano versioni migliorate di loro stessi o veri alter ego. Forse è anche per questo che oggi l’opera completa può vantare più di 170 milioni di copie vendute nel mondo, facendolo piazzare nella top ten dei manga più venduti di sempre (battuto soltanto da One Piece e Dragon ball).

Va sottolineato comunque che Slam Dunk è un’opera finita, di più di trent’anni fa. Non è in corso come gli altri titoli in cima alla lista dei best seller e non ha infinite serie di capitoli e volumi. Conta 31 tankobon, pubblicati in Italia da Planet Manga. Oltre al successo del manga, vanta anche quattro film anime e una serie animata di centouno episodi, purtroppo non completata. E ora vi spiegheremo perché dobbiate comunque recuperarla.

Il doppiaggio italiano: “Ma che fico mi ci ficco!”

Croce e delizia per ogni fan della saga, c’è chi lo ama e chi lo critica come il peggior doppiaggio italiano per un anime. Follia. La serie anime di Slam Dunk in Italia è semplicemente uno tra i casi più eclatanti di espressività e interpretazione da parte dei nostri doppiatori.

L’edizione italiana curata da Yamato Video vede nel cast di voci italiane artisti del calibro di Ivo De Palma, Diego Sabre, Guido Cavalleri, Federica Valenti, Claudio Moneta, Simone D’Andrea, Patrizio Prata e Giorgio Bonino, per citarne alcuni. Il motivo per cui viene così aspramente criticato come doppiaggio è per la libertà linguistica data ai doppiatori. Diversamente da quanto capita negli anime di solito, Slam Dunk è ricco di espressioni volgari e ciò lo limiterebbe alla visione dei ragazzi maggiorenni, che sarebbe il suo target di riferimento.

Altro aspetto negativo (che condividiamo, tra l’altro) è la poca cura nella pronuncia originale: Sakuragi e Akagi, ad esempio, dovrebbero essere pronunciati con la “ghi”, per seguire la pronuncia corretta alla giapponese. Invece nel doppiaggio italiano la pronuncia è con la g di “girasole”.

Eppure, questo stesso aspetto negativo, diventa una peculiarità del tutto positiva quando si parla di “caratterizzazione”: nel momento in cui ai doppiatori viene data la possibilità di esprimersi liberamente, come loro stessi hanno detto in più di un’intervista, hanno potuto adattare le locuzioni e le cadenze giapponesi, dandogli sfumature “nostrane”, con accenti, dialetti e frasi tutte italiane.

Non troverete nella controparte originale un gioco di parole ugualmente avvincente come il coro di “ma che fico mi ci ficco!“, diventato vero e proprio motivetto delle ragazze tifose di Rukawa. Anche molte altre frasi, che nel doppiaggio italiano hanno divertito e deliziato migliaia di fan, mancano nella versione giapponese e così perderete momenti iconici come “lo iettatore“, i vari “nonnetta” e “occhio per occhio, sushi per sushi“.

Senza questa varietà, quest’anima fresca e genuina, Slam Dunk in Italia sarebbe stato lo stesso? La risposta la troverete nei nostri cavalli di battaglia, i cori dei tifosi, che nel doppiaggio dell’anime vantano titoli come “vi sfondiamo il portellone“.

Slam Dunk nella cultura pop

Oltre ad aver venduto milioni di copie ed esser diventata una serie di successo, su Slam Dunk sono stati realizzati numerosi videogiochi. Sfortunatamente distribuiti tutti soltanto in Giappone. Ed è fantastico pensare che, ai tempi in cui il manga veniva pubblicato, si temeva per il suo successo visto che (come dicevamo) il basket non era molto praticato nel paese del Sol Levante.

Dal momento che Slam Dunk ha avuto la sua occasione, ha fatto canestro invece: è così radicato ormai nella cultura nipponica, che ancora oggi il basket è uno sport molto amato, esiste persino una borsa di studio con questo nome, che offre a un giovane accademico di realizzare il sogno di Hanamichi e Rukawa, ovvero lo porta negli Stati Uniti, se saprà distinguersi grazie alla sua preparazione atletica.

Il mito di Slam Dunk si è così radicato nell’immaginario collettivo che abbiamo assistito a una vera e propria condivisione di massa della passione per lo Shohoku con l’arrivo nei cinema di The First Slam Dunk. Curato maniacalmente dallo stesso Inoue, questo film è uno dei migliori adattamenti di un manga sul grande schermo, grazie alla perfetta trasposizione dell’opera originale.

Il focus di The First Slam Dunk si basa sulle battute finale del manga, portandoci ad assistere alla celebre partita da Shohoku e Sannoh. Pur concentrandosi su una breve parte dell'opera originale, il film riesce a concentrare la forte connotazione emotiva della storia all’interno di un match in cui emergono determinazione e dramma, grazie alla scelta di raccontare il tutto dal punto di vista di Ryota. Decisione premiata anche da una realizzazione tecnica sontuosa.

Fan, professionisti, giocatori, critici, persino intere Federazioni sportive ringraziano Inoue per la sua passione e l’aver creduto in questo sport. L’eco del suo successo è tale che persino in America gli riconoscono meriti, dato che la sua opera ha ispirato diversi ambiti della cultura pop.

 

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