Abbiamo avuto il piacere di intervistare Moreno Pedrinzani in occasione di Lucca Comics & Games 2024, dove presenta il suo nuovo saggio Dal Gioco di Guerra al Gioco di Ruolo, pubblicato da Mondiversi.
Questo volume esplora l’evoluzione del gioco di ruolo dalle origini come wargame fino alla sua trasformazione in fenomeno culturale con Dungeons & Dragons, indagando l’influenza di contesti storici e culturali sull’immaginario del gioco. Un’opera dedicata sia agli appassionati che ai lettori interessati ad una prospettiva storica e sociologica del GdR.
Moreno sarà presente allo stand di Mondiversi per firmacopie del suo libro durante tutti i giorni della manifestazione
Chi è Moreno Pedrinzani?
Moreno Pedrinzani è uno storico e ricercatore specializzato in storia contemporanea e appassionato di giochi di ruolo. Nato e cresciuto a Lucca, Pedrinzani si è fatto un nome nel panorama ludico italiano non solo per la sua produzione saggistica, ma anche per il suo impegno come arbitro e organizzatore di eventi di gioco di ruolo, tra cui le Ruolimpiadi di Lucca Games. Dopo essersi laureato presso l’Università di Pisa, Pedrinzani ha portato avanti la sua ricerca storica con una prospettiva unica, applicando strumenti accademici alla cultura ludica e al GdR, con particolare attenzione a come il gioco rifletta e modelli l’immaginario collettivo.
Attraverso i suoi scritti, tra cui Dal Gioco di Guerra al Gioco di Ruolo, Pedrinzani ha contribuito a una comprensione più profonda delle radici culturali dei giochi di ruolo, evidenziando influenze letterarie, filosofiche e storiche che hanno plasmato giochi come Dungeons & Dragons e Warhammer. Con uno stile di analisi rigoroso, cerca di portare l’attenzione sull’importanza culturale del gioco, sostenendo che questi strumenti ludici possano essere un terreno fertile per l’indagine storica e sociologica.
Mi piace scrivere saggistica storica, ho un rapporto di grande fiducia con la casa editrice Tralerighe Libri, con la quale ho pubblicato due saggi (Se dovessi cadere sul campo di battaglia e L’Addio della Legione Condor), più un terzo in cantiere, molto ambizioso e innovativo, dedicato ai mercenari orientali nel Rinascimento, ma preferisco che i particolari restino un segreto, almeno per un po’!
Scrivo anche su diverse testate online e per Africana di Giovanni Armillotta, grande albanologo e amico sincero, rivista che si dedica alla storia extraeuropea, che è la mia passione più grande. Per il mondo ludico mi sono prestato a piccole produzioni che si confacessero al gusto particolare della vecchia scuola: un’avventura dedicata al gioco di ruolo Antiche Leggende che si trova in Missione per un amico di Brutaka Press, alcune recensioni e avventure old school per Tante storie di ruolo di Mondiversi. Per molti anni sono stato anche all’interno dello staff arbitrale e dell’organizzazione di Ruolimpiadi e Torneo di Mastering presso Lucca Games, attività che mi ha permesso di entrare in contatto con una quantità smodata di vocazioni, direzioni e stili di gioco differenti, esperienza sicuramente fertile per il pensiero ma, tirando le somme, non credo che la componente agonistica debba avere spazio nel mondo del gioco di ruolo, anche questo è parte della sua grande rivoluzione.
Per il futuro vorrei continuare a scrivere sull’analisi scientifica del gioco, ma se ricevessi proposte nell’ambito della scrittura del gioco giocato, sicuramente mi piacerebbe scrivere ancora qualcosa di old school, di idee ne ho molte e dopo anni di masterizzazione anche un gran repertorio di immagini, scenari, situazioni… chissà che io non riesca a proporle al grande pubblico, prima o poi. Sarebbe un bel divertimento
Proposi ai miei compagni di classe un raffazzonato gioco basato sul dado a sei facce praticamente improvvisato. Nella prima sessione c’era una torre abitata da un vampiro protetta da orchi neri e morti viventi, poi ricordo che ci fu un naufragio su un’isola tropicale piena di scimmie dispettose, il guerriero del gruppo portava un’armatura magica trasparente fatta di puro cristallo che queste scimmie gli rubarono… paiono sciocchezze, lo so bene, ma per me sono i ricordi che evocano la magia del gioco d’infanzia. Eravamo riusciti a desumere come si giocava di ruolo senza aver letto un manuale vero e proprio, ma eravamo stati bombardati da prodotti derivativi un po’ dappertutto.
Ero in prima media, tra il 1999 e il 2000. Fu solo l’anno seguente che scoprii la terza edizione di D&D, che immediatamente stemperai subito utilizzando come setting l’italianissimo Elish, i cui autori ebbi poi modo di conoscere negli anni a venire, e sono persone eccezionali, così da avere una visione meno stereotipata, meno americana e soprattutto più legata all’intuizione e alla fantasia che non alle regole matematiche. Forse Elish, insieme alle Mille e una Notte, ha influenzato anche il mio gusto per il Vicino Oriente, non lo escludo. Credo che tutto questo mi abbia formato profondamente, in particolare credo abbia influito sul mio gusto peculiare in fatto di estetiche e giochi, ed è questo che mi ha condotto alla problematizzazione dell’oggetto gioco di ruolo in sé stesso. Dalla prima sessione sui banchi di scuola ad oggi non ho mai smesso, e pensare che di cose ne sono successe tante.
Ho preferito Warhammer per quasi tutta la vita, complice la maggior complessità del setting, che trovavo più profondo, ma soprattutto più conoscibile per un europeo, nonché l’estetica patetica, che mi deriva dalle vecchie produzioni fantasy, ma anche dalla letteratura picaresca. Warhammer è un setting disilluso dove vigono le regole dell’arricchimento e del mors tua vita mea, tutto questo è piuttosto solleticante per chi trova retorica l’estetica eroica, i paladini scintillanti e gli eroi positivi stampati su carta patinata sono diventati noiosi. Un prodotto che si ispira a Moorcock e Leiber forse è più vicino ad una visione ironica e disincantata della realtà, Warhammer è stato per me anzitutto questo: un approccio critico all’eroismo.
Col mio gruppo 'storico' abbiamo in corso una campagna di Warhammer Fantasy Roleplay ambientata nello stesso mondo sin dal 2005, dove i vecchi personaggi giocanti diventano i personaggi non giocanti della campagna successiva. In questo momento che scrivo il party sta per partire da Marienburg per andare a sconfiggere il re dei Fimir ad Albione e mettere fine ad una terribile maledizione legata ad un mostro marino. Ormai abbiamo un’ambientazione molto nostra, con riferimenti e modifiche personali (Teddy il Buono, personaggio dell’amico Davide Scano, nano alcolista ed ex-starplayer di Blood Bowl ha ammazzato l’imperatore Karl-Franz a coltellate durante una crociera!) Quando ho approfondito seriamente D&D ho capito che anche alle origini era presente un’estetica di questo tipo (certo, non spinta come in Warhammer) e ho pensato che valesse la pena provare a giocare D&D così com’era stato pensato alle origini.
Tirando le somme di tutta questa esperienza, anche se il mio cuore resta nel Vecchio Mondo, D&D inteso come gioco old school lo trovo più semplice, immediato, flessibile alle varie esperienze e soprattutto maggiormente improvvisabile. Improvvisare le complesse realtà urbane e primo-moderne di Warhammer Fantasy Roleplay è diventato un incubo in età adulta, quando la mente vaga troppo in altri lidi. Improvvisare un dungeon è molto più semplice e più fertile per l’interazione con l’esplorazione, vero focus del gioco. Fino a qualche anno fa ti avrei risposto Warhammer senza pensarci un attimo, oggi ti dico D&D, ma attenzione, purché sia quello violento, lisergico e imprevedibile degli anni ’70!
Ne restai folgorato. Dapprima mi ero dedicato alla storia delle emigrazioni, al Vicino Oriente e all’Asia Orientale, mai avevo pensato di poter lavorare invece su qualcosa del genere, su un oggetto che vedevo come mero gioco. L’approccio multidisciplinare, storico e sociologico, all’industria dell’intrattenimento mi condusse a proporre come lezione seminariale proprio un’analisi di D&D.
Partii da un’analisi sull’etica protestante dell’antropologo Nicholas Mizer e da lì non mi sono più fermato. Mi pareva di aver scoperto un filone d’oro, c’era moltissimo da scoprire e non solo nell’edito, le fonti principali di questo lavoro erano proprio i giochi che stavano davanti ai miei occhi, allineati sugli scaffali, quelli che hanno sempre rappresentato un passatempo con gli amici e che improvvisamente diventavano simili ad antiche cronache o a documentazioni d’archivio, è stata un’esperienza straniante, per certi versi. Ho anche temuto che passare attraverso da questa esperienza non mi avrebbe più permesso di apprezzare il gioco per com’è, mi pareva il superamento di una soglia. Tutt’oggi non mi sento di escludere categoricamente che lo sia stato davvero. Insomma, chi studia scientificamente oggetti legati alle proprie passioni lo fa a suo rischio e pericolo, vi avverto tutti.
Leggere autori come Theodor Adorno, Max Horkheimer, Michel Foucault, Johan Huizinga o Max Weber mi ha portato a pensare che le loro analisi della realtà potessero essere applicate anche ad oggetti a loro estranei, che affondano però le radici in qualcosa che non è sospeso nel vuoto, ma ha dei legami profondi, sebbene non sempre visibili, con la cultura dell’Occidente contemporaneo, coi miti e i sentimenti della tarda società industriale, col tessuto della nostra realtà. Per approfondire questo argomento lessi Playing at the World di Jon Peterson ed ebbi la sensazione che in Italia mancasse un lavoro del genere. Quei lavori che erano stati fatti, in particolare da Luca Giuliano, erano tutti datati, introvabili e comunque brevi.
Decisi così di dedicare la mia tesi specialistica, prodotta con Banti come relatore e con l’antropologo Fabio Dei come correlatore, all’analisi culturale del gioco di guerra e del gioco di ruolo. Il lavoro che ho pubblicato con Mondiversi, Dal Gioco di Guerra al Gioco di Ruolo, affonda le radici proprio in questo studio, mantiene quindi un atteggiamento scientifico rigoroso, ma è pensato proprio per gli appassionati del mondo ludico e non soltanto per gli accademici. Questa strada, che spero possa consentirmi di mantenere una produzione sul medesimo taglio per il futuro, ci dice che è arrivato il momento, a cinquant’anni di età, di storicizzare Dungeons & Dragons come oggetto culturale, ed è questa la direzione che ho voluto intraprendere.
Ho fatto finta di star indagando un argomento qualsiasi che richiedesse di essere valutato da uno studioso. Vi assicuro che ciò non toglie niente all’entusiasmo che la lettura è capace di produrre, specie se il lettore ama e conosce l’argomento. In buona sostanza il mio saggio non intende essere né una glorificazione né tantomeno un’operazione nostalgia. Ho indagato alcune tematiche “obbligatorie” e delicate, specie in quest’epoca di grande dicotomia ideologica e clima di guerra civile. Spero di non essere frainteso dai lettori, giacché tutto quello che ho scritto è funzionale ad una presentazione dei vari ragionamenti e delle varie possibilità, ma le interazioni proposte desunte da direzioni di saggistica altre non necessariamente rispondono ad una concezione del mondo personale o ad una visione politica, tutto ciò serve come stimolo per inquadrare a che punto stanno i lavori intellettuali sull’argomento in questione.
Mi perdoneranno i lettori più sensibili se talvolta l’utilizzo di materiale di studio ipercritico potrebbe accendere vene polemiche o visioni del mondo parziali, non è mai stata mia intenzione fare questo. Tutto questo lo rende davvero unico nel panorama italiano e spero che lo apprezzerete
Ora mi sto dedicando ad un lavoro di saggistica più tradizionale (su truculente vicende della guerra rinascimentale che forse potrebbero essere apprezzate anche da certi giocatori di ruolo!), ma sono sicuro che tornerò nell’ambito ludico in futuro, magari con la stessa Mondiversi se ci sarà interesse per questa mia pubblicazione. Questo mondo muta in fretta, come ormai quasi tutte le cose, non escludo nemmeno un aggiornamento per una seconda edizione del volume, magari tra qualche anno. Vedremo cosa ci riserva il futuro, per ora è stato lanciato il sasso, restiamo ad osservare come si increspa l’acqua
La storia di D&D è la storia di un continuo sforzo volto al controllo del proprio prodotto, è così già con Advanced nella sua prima edizione. Senza alcuna direzione ideologica precisa, credo che sia normale e naturale da parte degli elementi più curiosi e creativi delle comunità costruire qualcosa di personale, di variante, specie quando tutto diventa serializzato, pastorizzato e opprimente. Non c’è bisogno di inclusività, cambi di titolature ed estetiche o di riproposizioni più o meno nostalgiche.
C’è bisogno di attivare l’immaginario, di capire che il gioco di ruolo funziona a pieno regime soltanto se è parallelo alla libertà intellettuale e alla genuina interazione tra esseri umani fisici. Nessuna di queste cose può venire meno, pena la serializzazione e la lenta morte di un oggetto che fa della sua forza il non avere una forma definita, ma l’incanalare una vastissima serie di circostanze ed influenze che sono essenzialmente quelle del nostro mondo psichico
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