Dopo aver realizzato capolavori come #Sex and the City e #Younger, Darren Star è tornato in TV con una nuova serie che strizza l’occhio alla moda e lo fa con Netflix. Emily in Paris è la sua nuova creatura e punta tutto su Lily Collins, la giovane protagonista che si ritrova catapultata in una Parigi glamour, stracolma di cliché e dal fascino indicibile.
Emily Cooper, una ragazza come tante abituata al comfort della vita di città (americana), viene baciata dalla fortuna e parte in fretta e furia per la capitale europea della moda, con i suoi look stravaganti e un occhio di riguardo per le scarpe: di qui il primo di tanti richiami a Sex and the City. Chi potrebbe mai dimenticare l’ossessione di Carrie Bradshaw per le scarpe? Nel suo appartamento c’era spazio praticamente soltanto per loro (e Big le ha proposto di sposarlo con una Manolo Blahnik al piede).
Emily è una versione molto più giovane e romantica di Carrie, spesso imbarazzata quando parla della sua vita sessuale e inguaribile ottimista.
In Emily in Paris c’è quest’incredibile punta d’ottimismo a volte fin troppo rimarcata e quasi irrealistica che la protagonista porta con sé come un’ombra in ogni singolo episodio, persino quando il fidanzato decide di lasciarla di punto in bianco, Emily non sembra battere ciglio, da un minuto all’altro continua a sorridere, auto-ironica delle proprie sciagure, danneggiando a mio parere quell’aspetto disincantato del suo personaggio.
La serie è costruita come una fiaba. Peccato che vengano un po’ meno tutti gli elementi necessari che fanno di una fiaba una bella fiaba.
Partiamo dalla trama: la struttura della storia non segue alcun crescendo, è piatta dal primo all’ultimo episodio. La crescita del personaggio è lieve, a tratti invisibile (perché, anche parlando di crescita sentimentale, se nel primo episodio era fidanzata e devota al suo fidanzato, nell’ultimo la sua vita sentimentale è un nodo indistricabile che non è affatto sinonimo di crescita).
La villain di turno, Sylvie, ci viene presentata come un mix tra Miranda Priestly de Il diavolo veste Prada e una Samantha Jones più acida che incanala il cliché – per non dire pregiudizio – della perfetta donna francese.
E qui, di pregiudizi contro i francesi, ne troviamo a bizzeffe, al punto che talvolta è facile storcere il naso per un inevitabile abuso.
Gli autori hanno sicuramente giocato sull’elemento della “americana a Parigi” di turno, una ragazzina nel pieno della sua gioventù che porta una ventata d’aria fresca (e americana) in una città ben nota per il suo snobbismo. E, fin qui, niente di male, se non fosse che in ogni singolo episodio questo contrasto America-Francia è onnipresente e molto spesso tirato in ballo come una questione di vita o di morte.
È anche vero, però, che persiste una netta somiglianza con Sex and the City, anche se questa volta la mia non è una critica negativa, anzi.
Oltre al fattore glamour (e alle scarpe), mi viene facile pensare ad Emily come una versione più puritana e positiva di Carrie Bradshaw: immaginiamo Carrie nel pieno della sua gioventù con a disposizione i social network e smartphone. Avrebbe agito esattamente come Emily, se non peggio. Sex and the City è ambientato negli anni ’90, all’epoca i social erano fuori dal quadro, per cui Carrie utilizzava come unico tramite per la sua voce il computer e la rubrica sul giornale.
Certo, abbiamo avuto modo di conoscere una giovanissima Carrie grazie al prequel The Carrie Diaries, quindi possiamo immaginare come ha trascorso la propria adolescenza, che era comunque ambientata negli anni ’80. Emily dà voce a quella Carrie che Darren Star forse avrebbe voluto vedere ai giorni nostri, una ragazza con il cuore grande d’aspettative che molla qualsiasi cosa per vivere il suo sogno e andando, perché no, in cerca d’amore. L’animo da inguaribile romantica non l’ha mai abbandonata del resto ed è quello che succede ad Emily (anche se con qualche riserva).
Un altro fortissimo elemento in comune con cui ha voluto giocare Darren Star è sicuramente l’influenza della città: mentre in Sex and the City l’ambientazione newyorkese determinava intere dinamiche sociali e sentimentali, anche Parigi diventa testimone di una vita vissuta senza freni, assiste alla nascita di nuove amicizie e nuovi amori e permette anche che queste accadano. Carrie interpella spesso New York come se fosse una sua cara amica, se non una sorella. Emily non lo fa direttamente, eppure Parigi è presente in ogni vestito che indossa, in ogni sorriso mentre passeggia per la città, in ogni fotografia scattata e pubblicata poi su Instagram. Se Carrie avesse vissuto nel 2020 la sua gioventù, sono certa che sarebbe stata esattamente come Emily.
La componente femminile è sicuramente indispensabile nelle serie di Darren Star, così come l’amicizia. Non è soltanto l’amore a farci sentire a casa, ma anche le amiche e anche in Emily in Paris troviamo persone indispensabili che aiutano la protagonista a comprendere determinati aspetti della vita.
Se vale la pena guardare questa serie? Sì, a patto che la si guardi senza avere troppe pretese, prenderla per quello che è, un esperimento glamour nella città più romantica e alla moda d’Europa dove i sogni non svaniscono mai.
Commento
Voto di Cpop
65Iscriviti al nostro canale Telegram e rimani aggiornato!