Netflix, cosa c’è dietro la (prima) caduta del colosso dello streaming

Autore: Elisa Giudici ,

Cosa c’è dietro la crisi economica e identitaria che sta vivendo Netflix in queste settimane? Dopo l’annuncio della perdita di duecentomila iscritti nel primo trimestre del 2022 e il successivo tonfo in borsa del titolo, il servizio di streaming a pagamento sembra in piena crisi d’identità. Le prime teste sono cadute nel reparto animazione e la dirigenza già pensa ad abbonamenti inclusivi di pubblicità e al blocco della condivisione della password al di fuori della cerchia familiare, mentre gli annunci proseguono senza stop.

In un bellissimo reportage pubblicato in queste ore, The Hollywood Reporter ricostruisce la storia della prima caduta di Netflix, che coincide con la fine di un’era del gigante dello streaming: quella in cui la cultura aziendale era “ardita, pronta a prendersi rischi, guidata dall’istinto” e terribilmente dispendiosa, a favore di una strategia più guardinga e meno rivolta alla qualità.

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Ripercorriamo insieme questa storia, raccontata da una pletora di voci - per lo più anonime - che hanno rivelato i segreti scomodi di Netflix. Partendo da una certezza: le stesse rivali di Netflix non pensano che il servizio di streaming scomparirà come ha fatto Blockbuster. L’era in cui sembrava potesse dominare il mondo dell’intrattenimento a suon di milioni di dollari però sembra definitivamente tramontata.

Netflix affossata da Wall Street, in realtà cresce ancora

È bene mettere in chiaro che nonostante il tremendo tonfo del titolo a Wall Street, Netflix è tutt’altro che spacciata. Senza la guerra in Ucraina (e il conseguente bando delle attività in Russia) e senza l’inflazione negli Stati Uniti e in Europa, il primo trimestre dell’azienda si sarebbe chiuso con un incremento di abbonati.

La crescita degli stessi però sta rallentando, così come predetto da molti analisti. Da anni infatti l’approccio economico di Netflix - prezzi aggressivamente bassi rispetto alle reali esigenze dell’azienda e progetti faraonici sempre in cantiere - viene criticato come insostenibile sul lungo periodo. La scommessa di Netflix era quella di diventare un monopolio dello streaming, buttando fuori dal mercato quanti più canali via cavo possibili e dando un colpo fatale alle sale cinematografiche.

Netflix è odiata a Hollywood

Le recenti dichiarazioni del CEO di Warner Bros David Zaslav - che sottolinea l’importanza della sala come fonte di reddito per gli studios e la sostenibilità economica delle major tradizionali - sono un messaggio chiaro a Netflix, ora stretta in un’inaspettata concorrenza che le dà filo da torcere. Alcuni abbonati hanno dovuto scegliere tra Netflix e gli altri servizi e hanno preferito Prime Video per gli altri vantaggi connessi all’acquisto su Amazon o Disney (che sta investendo grandi cifre e conta di crescere a dismisura nel settore) per le proposte del catalogo.

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La caduta di Netflix è stata accolta con gioia dalle parti di Hollywood, dicono i bene informati. L’approccio arrogante e mai conciliante di Netflix, le campagne faraoniche per “comprare” le vittorie agli Oscar e l’attacco aggressivo al circuito delle sale cinematografiche l’hanno resa un nemico della cui caduta hanno gioito in molti.

La guerra tra Cindy Holland e Ted Sarandos

In molti identificano l’inizio di questa crisi con un profondo cambiamento culturale avvenuto all’interno dell’azienda durante la pandemia e simbolicamente iniziato con la cacciata di Cindy Holland, potente executive di Netflix. Durante la pandemia, l’attuale CEO Ted Sarandos è volato a New York per darle il benservito in un noto ristorante della Grande Mela, mettendo fine a un’epoca.

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Holland infatti è stata una delle fautrici della Netflix degli inizi, dando luce verde a progetti che poi hanno segnato la storia dello streaming. È stata lei a curare la nascita e la crescita di super hit come Stranger Things, House of Cards e Orange is the New Black, ovvero i titoli che hanno imposto Netflix sul mercato internazionale.

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Il suo stile era: pochi ma buoni e senza limite di spesa. Cindy Holland curava personalmente i rapporti con i creatori, dando loro sostanziale carta bianca anche sulle spese. Il risultato è stato un’era di grandi prodotti Netflix, caratterizzati da notevole qualità ma anche da tanti dubbi circa la sostenibilità del progetto. La Netflix di Cindy Holland era un gigante dello streaming con pochi titoli accuratamente selezionati per spingere lo spettatore ad abbonarsi a un servizio diverso per approccio e qualità.

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Nel 2016 però entra in scena Bela Bajaria, che poi ne prenderà il posto. Inizialmente incaricata di occuparsi degli unscripted show, cioè i prodotti come i reality senza una sceneggiatura scritta, Bela Bajaria comincia a dare luce verde a sempre più progetti. Netflix arriva a produrre 140 titoli l’anno e in molti cominciano a chiedersi se gli show non si cannibalizzino l’un l’altro.

Lo scandalo Insatiable

Nel catalogo Netflix c’è uno show non particolarmente famoso per il pubblico, divenuto una pietra dello scandalo in questa guerra interna. Si chiama Insatiable, è composto da due stagioni ed è il primo progetto scripted approvato da Bajaria, nonostante Holland l’avesse rifiutato. Insatiable infatti era “uno scarto” di The CW.

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Senza preavviso, Bajaria invade il campo di Holland, diventa una persona che può dare luce verde a nuovi show e film. Lo show va abbastanza bene, si conquista una seconda stagione. Secondo alcuni voci interne intervistate da The Hollywood Reporter, si apre un’era in cui Ted Sarandos mette le due executive una contro l’altra, generando confusione tra le persone che non sanno a chi delle due sottoporre le loro idee. Pare che una delle frasi preferite di Sarandos sia “ci sono molte strade per avere un sì come risposta”.

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La politica di Bela Bajaria è molto più aggressiva di quella di Cindy Holland. S’investono pochi soldi in tanti show,senza l’attenzione maniacale di Holland alla selezione e alla qualità. La comanda di Sarandos sarebbe di trovare uno show poco costoso su dieci che diventi una hit. A Bajaria riescono un paio di ottimo colpi: la serie francese Lupin, il fenomeno coreano Squid Game, la serie You, che Holland aveva rifiutato. Tuttavia la qualità cala, l’offerta si fa sempre più ampia ma riempita di prodotti riusciti a metà, poco curati.

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Lo show dell’addio di Cindy Holland sarà La regina degli scacchi. Si dice che Holland sia stata derisa per questo progetto ad alto budget e di scarso appeal, poi rivelatosi invece una hit formidabile. Nella copertura stampa del titolo, spesso il merito dell’impresa è stato dato a Bela Bajaria, che invece era critica sulla serie.

Due modelli, entrambi insostenibili

All’interno di Netflix dunque esisterebbero ancora due fazioni. Una che rimpiange l’approccio costosissimo ma curato di Cindy Holland, fatto di rapporti intensi con i creatori e di un fiuto infallibile per progetti che possano diventare grandissime hit.

L’altra quella che punta all’approccio più prudente e meno esoso di Bela Bajaria, che ha saputo comunque indovinare molte produzioni.

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Entrambi gli approcci però non sono economicamente sostenibili. Dopo il benservito di Ted Sarandos a Cindy Holland (da sempre fortemente contraria alla politica aggressiva di Netflix anche nei confronti di Hollywood) il servizio si è avviato a una nuova fase divisa tra pochi progetti faraonici, sempre meno titoli “rischiosi” e un gran numero di riempitivi caratterizzati da una qualità media o scarsa.

La prima crisi di Netflix non sembra essere ancora finita: probabilmente molte teste cadranno nelle prossime settimane. Chissà, magari anche quelle ai piani alti. Ci vorrà molto tempo per capire che direzione prenderà il colosso dello streaming.

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