Di Mainstream di Gia Coppola si parlerà molto nei mesi a venire, anzi: se trova la giusta distribuzione sarà il film di cui si parlerà di più tra quelli passati in questa edizione della Mostra del cinema di Venezia. Presentato in un limbo, avrebbe fatto bella mostra di sé anche in concorso, anzi: aveva tutte le carte in regola per regalare quel tocco hollywoodiano che tanto è mancato quest'anno al Lido.
A partire dal cast, dove figurano Andrew Garfield, Maya Hawke, Nat Wolff e Jason Schwartzman: praticamente oro colato in un'edizione tanto povera di volti e nomi immediatamente riconoscibili per il grande pubblico. Attenzione poi alla giovane Maya Hawke, la stella della terza stagione di Stranger Things. Sbarcata in Laguna, è subito diventata un evento nell'evento, adombrando un collega giovane e amatissimo (ma assente) come l'ex Spider-Man.
Gia Coppola è il colpaccio di Barbera
Onde fugare ogni timore di eccessivi glamour e superficialità in un'edizione così austera - quasi punitiva, ve lo dice chi non ha ancora saltato un film in concorso - ecco arrivare il personaggio di Gia Coppola. Basta sentirla parlare un paio di minuti per dimenticare il comodo corollario della "discendente di". Occhiali scuri, riservata, sfila sul tappeto rosso ma non fa interviste con le televisioni (solo carta stampata!) perché ha un'idea tutta sua del proteggere sé stessa nell'epoca dei social media e della privacy zero.
Mainstream riesce però a rimettersi potentemente al centro del discorso, una volta visto in sala: bello ma non bellissimo, in compenso riuscitissimo in quello che vuole fare e soprattutto fresco. È praticamente avanguardistico nello scenario di questo Festival. Se bisogna riconoscere a Barbera l'enorme capacità di mettere insieme un Festival sulle macerie del 2020 cinematografico, bisogna anche ammettere che seguirlo è un tour de force psicologico. Ad oggi ho visto una ventina e passa di film: una sola commedia, un solo film di genere. Il resto è solo dramma, drammaticissimo dramma: politico, sociale, di denuncia, documentaristico. La ricetta perfetta per perdere la residua fiducia nel genere umano.
Quella vista a Venezia poi una forma vecchia di dramma, che raramente dialoga con il presente e se lo fa assume un tono rigoroso e ingessato. I film più quotati alla vittoria ad oggi parlano di eccidi e stragi degli anni '90, della corruzione nel regime sovietico nell'URSS degli 1960, dell'ISIS in Siria e Iraq. Non proprio la materia di cui sono fatti i discorsi - dentro e fuori il cinema - degli under 30. Poi come un ciclone arriva Gia Coppola, con un film che parte come un La La Land ma infinitamente più cattivo e più contemporaneo, dove il social sono presenti e soprattutto ineludibili.
I film sui social rivisto e aggiornato
Mainstream inizia come una commedia romantica in cui entrano di prepotenza i social, le dirette su Instagram e i video su YouTube. Diventa via via un dramma caustico e gioiosamente incomprensibile per chiunque non abbia familiarità con il linguaggio dei vlog, con personaggi come Jeffree Star e i fratelli Paul (parodiati alla perfezione), icon un immaginario estetico in cui personaggi vomitano emoji (letteralmente) e cagano in diretta streaming per sembrare più veri.
A chi accuserà la Coppola di essere teen e immatura la storia ha già fornito una risposta (Ok boomer). Per tutto il resto del pubblico finalmente arriva il momento dell'esperienza contraria e inversa: stare al cinema di fronte allo schermo e non capire i riferimenti morali, i codici etici, le regole del gioco. Poco male: rimangono una performance istrionica (anche se forse un po' troppo) di Garfield ma soprattutto la prova che Maya Hawke ha la stoffa della grande attrice.
Mainstream è il film sui social network più convincente (e aggiornato) dai tempi di cult di David Fincher, il primo diretto da chi nel mondo "a reti sociali" ci vive da quando è nato.
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