Qualche tempo fa vi avevamo raccontato in questo articolo di come lo Slender Man avesse tutte le carte in regola per diventare una nuova icona del cinema horror. Nato dalla fantasia di Victor Surge (pseudonimo del fotografo Eric Knudsen che presta il cognome a una delle protagoniste del film, Hallie Knudsen), cresciuto nel web grazie ai creepypasta e a un videogioco semplice ma terrorizzante, l'elegante uomo senza volto sembrava pronto per debuttare in modo convincente sul grande schermo.
Carismatico idolo macabro delle nuove generazioni, spauracchio del web ammantato dall'inquietante velo di una cronaca tanto reale quanto drammatica, lo Slender Man doveva solo essere preso per mano ed esaltato nelle sue caratteristiche più fondamentali per garantire alla pellicola di portare a casa almeno la sufficienza. Un vecchio detto dice che "il diavolo si nasconde nei dettagli" e il regista Sylvain White pare essere inciampato suo malgrado proprio in quei fatali dettagli.
Il terrore corre nel web
Slender Man ha un impianto di base tanto consolidato quanto obbligato, almeno nelle sue battute iniziali. Il mostro nasce come spauracchio per i più giovani perciò la storia inizia all'interno di una scuola dove un gruppo di giovani ragazze annoiate durante una serata ben poco brillante decide di evocare lo Slender Man seguendo le istruzioni ritrovate in un video postato sul web. La parte preparatoria procede con un ritmo interessante cercando di dettagliare il carattere di ciascuna delle ragazze ma quando arriviamo al dunque, quando iniziano ad avere un certo peso le idee, qualcosa si rompe.
Dall'evocazione in poi per le quattro amiche inizia un vero e proprio incubo a occhi aperti nel quale lo Slender Man acquista sempre più consistenza e dove le sventurate impareranno a loro spese le letali regole della terribile creatura. Tra occultismo, video amatoriali di ragazzi e ragazze perseguitate dal mostro dinoccolato, problemi famigliari e flirt mancati, il regista Sylvain White cerca di districarsi tra quello che lo Slender Man era (un personaggio nato nel web) e quello che avrebbe dovuto essere (un mostro credibile, spaventoso e inquietante). Ma, complice qualche sgambetto dell'ultimo minuto, White manca di larga misura l'appuntamento con la storia.
Una citazione vi ucciderà
Uno dei problemi principali di Slender Man è che il cinema horror ha già una storia molto consolidata e che soprattutto negli ultimi anni questa storia si è arricchita di pellicole molto interessanti. White è in difficoltà nel gestire l'ingombrante peso emotivo dello Slender Man. Il video attraverso il quale Wren (Joey King), Hallie (Julia Goldani Telles), Chloe (Jaz Sinclair) e Katie (Annalise Basso) entrano in contatto con la dimensione spaventosa dello Slender Man è una versione poco interessante del filmato con cui Samara condannava a morte le sue vittime nel The Ring di Gore Verbinski.
Gli adulti, qui resi impalpabili e abusati stereotipi del disagio adolescenziale, sono maldestramente poco presenti in una copia incolore della totale assenza che invece era così ben equilibrata nel bel It Follows (2014) di David Robert Mitchell. Lo stesso Slender Man, creatura qui anche troppo incatenata ai boschi, agli alberi, alle radici e ai rami, ha finito con l'essere la copia esplicita della terribile assenza che aveva caratterizzato The Blair Witch Project (1999).
L'impressione è che White si sia ritrovato per la mani un personaggio con tante potenzialità senza però avere un'idea chiara di come sfruttarle. Anche lo stratagemma della videochiamata, quello che in potenza avrebbe dovuto essere il catalizzatore dei momenti di massima tensione, si riduce a una pallida citazione del videogioco che tanto ha reso lo Slender Man popolare in rete. Ma forse non è solo colpa del regista, forse anche White è stato penalizzato dalla maledizione dello Slender Man.
La via dell'insuccesso
Ci sono alcune cose che funzionano in Slender Man, tra cui l'interessante sfoggio dei suoi poteri ipnotici e le attrici che ce la mettono davvero tutta. Ma è troppo poco. Un personaggio nato da una fotografia, allattato da brevi storie del terrore pubblicate sul web e reso adulto dal terribile episodio di cronaca che ha sconvolto la cittadina di Waukesha nel Wisconsin, poteva attingere a questi tre elementi per entrare "come un virus" (citando le sfortunate protagoniste del film) nella mente dello spettatore. I video in cui compare, che spingono le ragazze a credere in lui, sono pochi e poco sfruttati. Tutta la profonda genesi culturale che lo ha reso un interessante uomo nero del web è accantonata in un taglia e cuci di sequenze scollegate tra loro, prive di armonia, che allontano chi guarda dal dramma delle quattro protagoniste.
Come se non bastasse il film è stato falcidiato da una violenta censura poco prima l'uscita nelle sale, censura che lo ha privato delle scene più crude e di una certa coerenza tanto da far pensare che il primo trailer pubblicato mesi fa fosse quello di un altro film. Intendiamoci, non sono poche scene a poter trasformare un film da mediocre a capolavoro ma di certo già confrontando trailer e pellicola si trovano riempimenti alle zone d'ombra (e vuoti di trama) di cui abbiamo parlato poche righe fa. La decisione pare sia legata alle proteste di uno dei genitori delle ragazzine coinvolte nell'episodio di cronaca di Waukesha e al netto della legittimità della rimostranza, l'intervento ha di certo menomato ulteriormente un film che già aveva diversi problemi.
Insomma, pare che per gli appassionati del genere horror ci sia da aspettare ancora prima di veder nascere una nuova stella nera all'altezza di Freddy Krueger o Jason Voorhees.
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