Quando Jason Statham prende parte a un progetto cinematografico, sai già che la maggior parte delle volte si tratterà di un’esperienza in cui le sue mani avranno molti più dialoghi dello stesso attore. Non c’è da sorprendersi se Working Man, il nuovo thriller d’azione diretto da David Ayer (di nuovo a lavoro con Statham dopo The Beekeeper) al cui centro troviamo lo stesso Statham, non faccia troppo la differenza in questo senso. Relazionandosi con una storia vista in tantissimi altri lavori dello stesso stampo, è ancora la “cattiveria” dell’azione sanguinaria a farla da padrone, portandosi dietro un messaggio che indaga nel fango del nostro presente, affondando nella criminalità e nelle pieghe della società.
Scritto da Sylvester Stallone insieme allo stesso Ayer, e tratto dal romanzo Levon’s Trade di Chuck Dixon, A Workin Man si serve della fisicità muscolare di Jason Statham per mettere in scena un vero e proprio “viaggio della rabbia”, in cui è l’azione cattivissima a lasciare il segno più di ogni altra cosa. Partendo dall’incipit più classico di sempre, il lungometraggio non lascia troppo spazio alla fantasia in termini di sviluppi, concentrandosi principalmente sulle coreografie di morte e sulla risposta di un uomo che si lancia nello sporco, portando a galla qualcosa di atroce e indescrivibile.
Mi sono ritirato
Al centro di A Working Man ci sono le vicende private di Levon Cade (Jason Statham), un ex militare britannico che, a seguito del suo ritiro per ragioni personali, si ritrova a lavorare in un cantiere in America per una famiglia che gli ha dato una seconda possibilità. La sua è una vita apparentemente tranquilla, se non fosse tormentato da una situazione complicata con la figlia piccola e il suocero che vorrebbe allontanarla da lui. Dopo una vita passata sul campo, Levon ha faticato a trovare nuove opportunità ed equilibri nella sua vita, avendo ancora tutto da dimostrare in questo senso.
Quando Jenny Garcia (Arianna Rivas), figlia del suo datore di lavoro, viene inspiegabilmente rapita durante un’uscita serale con le amiche, Levon si troverà a fare i conti con il suo attuale presente e le capacità militari del suo passato, in un conflitto in cui ricordi e vicinanza con la famiglia lavorativa, si muovono di pari passo. A Working Man, quindi, ci trasporta nel viaggio di un uomo che dovrà scendere a patti con quello che è e quello che era, scegliendo la via più umana e, allo stesso tempo, disumana che si possa immaginare.
È la richiesta a fare il mercato
Partendo dal rapimento di una giovane donna, A Working Man mette in evidenza un aspetto del nostro contemporaneo più criminale e malavitoso: il traffico di esseri umani organizzato. In questo losco mercato si sviluppano le domande alla base di un’esperienza che scava nel sociale mafioso, portando alla luce un’organizzazione con cui lo stesso Levon si trova a fare i conti. Da questo punto di vista il lungometraggio firmato da David Ayer è anche minimamente interessante, specialmente nel suo tratteggiare i mostri che nell’ombra si agitano, puntando il dito non soltanto sui loro traffici, ma anche e soprattutto sui loro clienti.
Non c’è emotività o romanticismo in A Working Man, semplicemente il percorso di un uomo determinato a tutto, a contatto con entità oscure e senza scrupoli, in un mondo che si rivela sempre più marcio col suo procedere. La costruzione di una critica del genere dà un minimo di peso al racconto per immagini che, dal canto suo, sceglie di procedere seguendo alcune tappe narrative estremamente classiche e prevedibili in termini di sviluppi principali. Questo è il grande limite di un film che saprai già dove vuole andare a parare fin dall’inizio, abbracciando totalmente la dimensione dell’azione cattiva a discapito della scrittura generale.
Levon, poi, è un protagonista misterioso e ombroso, il classico eroe tormentato costretto a sporcarsi le mani di sangue a contatto con un contesto le cui regole morali non esistono più, o almeno vengono congelate per un po’. Così la sua rabbia diventa il carburante di un popcorn movie dai tratti oscuri e riflessivi, i cui rimandi a film dello stesso stampo sono chiarissimi e impossibili da ignorare.
Servendosi, quindi, di una struttura finzionale semplicissima, A Working Man punta molto del suo charme proprio sulle parti più action e su una presenza scenica, quella di Jason Statham, che riesce a lasciare il segno incutendo timore coi silenzi e i movimenti veloci e calcolati. In questo senso il film intrattiene anche, senza però innovare o impegnarsi troppo nella caratterizzazione generale di un mondo, quello della criminalità russa, in cui la leggerezza di certe scelte sfiora più volte la dimensione del fumettistico. La sospensione dell’incredulità, quindi, diventa una costante nel viaggio di un eroe solitario e silenzioso che non si fa alcuno scrupolo a togliere la vita al prossimo, pur di arrivare dove deve.
In parallelo A Working Man accenna, come anticipato, alle ipocrisie di un sistema alimentato dal male, guardando non soltanto agli strumenti umani di questo, ma anche al compratore ultimo, a coloro che contribuiscono alla sua stessa esistenza. Tutto, comunque, torna alla presenza scenica di uno Statham che riporta sul grande schermo se stesso e quello che ci si aspetterebbe da un film del genere, purtroppo, senza troppi guizzi che non siano il talento indiscusso e nuovamente confermato nella dimensione dell’action senza fronzoli o scrupoli.
Alla fine ne risulta un lungometraggio senza troppe pretese in termini di scrittura generale, e dispiace soprattutto alla luce di alcuni spunti interessanti strettamente connessi con la criminalità presentata e presa in analisi. Un film che non porta nulla di nuovo al cinema, diventando subito un “giocattolone” per gli appassionati dello stile inconfondibile di Statham.
Commento
Voto di Cpop
55Pro
- Il film offre sequenze d'azione ben coreografate e la presenza carismatica di Statham risulta coinvolgente per gli amanti del genere.
- Pur non approfondendoli pienamente, A Working Man accenna a dinamiche criminali contemporanee come il traffico di esseri umani, offrendo spunti di riflessione.
Contro
- La narrazione segue schemi classici e non sorprende con sviluppi originali.
- La caratterizzazione dei personaggi, in particolare del protagonista, è basilare e la sceneggiatura non brilla per profondità o originalità dei dialoghi.
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