Avatar - La Leggenda di Aang, recensione: il favoloso viaggio di un piccolo eroe

Autore: Federica Polino ,

Avatar – la leggenda di Aang, titolo originale Avatar - The Last Airbender, nasce come serie animata andata in onda su Nickelodeon, ad opera delle menti creative di Michael Dante DiMartino e Bryan Konietzko, ed è andando in onda dal 2005 al 2008. La notorietà del cartoon ha determinato poi un sequel, La Leggenda di Korra, nonché la creazione di graphic novel ed una saga a fumetti.

Crediamo di non esagerare nel definire la serie TV animata una meraviglia, a tratti un’istituzione del genere, impressa nella mente di molteplici generazioni: spiriti, elementi, poteri, domini, inclusività dettata da personaggi appartenenti a diverse etnie, un’avventura attraverso il tempo e lo spazio, con tre protagonisti amabili e diversissimi tra loro.

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Tant'è che il pessimo adattamento cinematografico in live-action del 2010, diretto da M. Night Shyamalan, non è servito a scoraggiare Netflix, che dopo il successo delle serie live-action di One Piece e Yu Yu Hakusho ha deciso di rischiare e puntare nuovamente sull’effetto nostalgia, stavolta facendo pieno centro.

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Aang, il prescelto: cosa significa davvero essere l’Avatar?

Acqua, terra, fuoco, aria. Per millenni, le Quattro Nazioni hanno vissuto in armonia. Una pace resa possibile dall’Avatar, l’unico a essere padrone dei quattro elementi e protettore del delicato equilibrio tra le Nazioni. 

Quando un Avatar muore, il suo spirito nasce in un nuovo corpo, in un ciclo eterno.

Dalla morte dell’ultimo Avatar, la nuova incarnazione non è ancora emersa…

Così, il Signore del Fuoco, Sozin, spietato comandante della Nazione del Fuoco, ritiene che sia il momento per scatenare una guerra per conquistare il mondo.

Il suo primo passo sarà eliminare l’unica persona che potrebbe fermarlo: il nuovo Padrone dei Quattro Elementi, un nuovo Padrone dell’Aria che potrebbe non essere pronto a diventare l’Avatar.

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Avatar - la leggenda di Aang Netflix
Avatar - la leggenda di Aang
Aang

Tempio dell’Aria del Sud, il dodicenne nomade dell’aria Aang (Gordon Cormier) gioca con i suoi amici, sfoggiando le sue abilità di Dominatore dell’Aria: il talento di Aang è fuori dalla norma, e viene spesso redarguito di esagerare. Ad ogni modo, la sua vita scorre serena e tranquilla, circondato dalle persone che ama, in primo luogo il monaco Gyatso (Lim Kay Siu): tra i due si è instaurato da tempo un tenero rapporto padre-figlio, sebbene non condividano lo stesso sangue.

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Malgrado ciò, toccherà proprio a Gyatso rivelare ad Aang che in lui alberga un grande potere: egli è in realtà l’Avatar, ed è destinato a partire di lì a poco per un addestramento che gli permetterà di apprendere gli altri domini e salvare il mondo.

Il peso di questa notizia sconvolge il ragazzino, che decide di schiarirsi le idee in volo, sul dorso del suo fedele Bisonte Volante, Appa.

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Gyatso rivela ad Aang di essere l'Avatar

Nel frattempo, Sozin (Daniel Dae Kim), signore della Nazione del fuoco, prende una drastica decisione: forte dell’arrivo di una cometa che potenzia le abilità dei dominatori del fuoco, scatena una terribile guerra per eliminare quel che sarà il prossimo Avatar. Di conseguenza, avrà bisogno di decimare tutti i dominatori esistenti, partendo da quelli dell’Aria.

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Mentre Aang si libra in volo sulle acque affrontando un’impervia tempesta, ignaro di ciò che sta per accadere, i feroci soldati della Nazione del Fuoco giungono alle porte del tempio dell’Aria del Sud sterminando tutti dominatori dell’aria (airbender), senza eccezione alcuna, approfittando dell’atmosfera di festa che si respira durante la Notte della Cometa.

Mentre Gyatzo muore nel vano tentativo di salvare i bambini, Aang perde i sensi e sprofonda nelle acque gelide dei mari del Nord.

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Avatar - la leggenda di Aang
Avatar - la leggenda di Aang

Cento anni dopo, alla Baia del Lupo, la dominatrice dell’acqua ancora in erba Katara (Kiawentiio) si allena con il dominio: orfana di madre, uccisa dalla Nazione del fuoco anni prima, è stata costretta a nascondere le sue abilità.

Ancora oggi, dopo un secolo, la Nazione del Fuoco è in cerca dell’Avatar, e fa razzia di villaggi, paesi e intere Nazioni, piegando i cittadini al proprio volere con la forza delle fiamme.

Il fratello maggiore di Katara, Sokka (Ian Ousley), incaricato di proteggere gli abitanti di Baia del Lupo, è un divertente e coraggioso guerriero, malgrado giovanissimo e ancora inesperto, ma dotato di un gran cuore.

I due sono a pesca quando s’imbattono in un gigantesco blocco di ghiaccio che, ben presto, rilascia una misteriosa ed accecante luce azzurrina: dinanzi a loro appare il piccolo Aang, incosciente, infreddolito e, apparentemente, ancora ibernato.

Una volta al villaggio, Aang riprende pian piano conoscenza, senza però comprendere dove realmente si trovi, ma gli basta poco per ambientarsi ed iniziare a giocare con gli altri ragazzini della tribù dell’acqua, mostrando le sue abilità di dominatore dell’aria, il tutto sotto gli sguardi increduli e sbigottiti degli anziani: 

I dominatori dell’aria si sono estinti. Come fa questo ragazzino ad essere uno di loro?

È presto detto, quando la nonna di Sokka e Katara chiarisce ai presenti che il giovane lì dinanzi altro non è che l’Avatar, scomparso cent'anni prima dopo aver abbandonato il suo popolo, destinandolo ad una fine atroce.

Sconvolto dalla notizia che la sua gente sia stata sterminata già da un secolo, in preda alla collera, Aang vede i suoi più oscuri incubi concretizzarsi: è rimasto solo, l’Ultimo Dominatore dell’Aria, e non è stato in grado di proteggere chi amava.

Schiacciato dal peso delle aspettative, la ferita al cuore di Aang viene smorzata dalla gentilezza di Katara: anche lei porta sulle sue spalle il fardello di aver condannato la madre ad una fine atroce, a causa della sua inettitudine al dominio dell’acqua.

L’idillio, però, ha vita breve, ed un nuovo nemico appare alle porte dell’Oasi del Lupo: i soldati della Nazione del Fuoco, guidati dal giovane principe Zuko (Dallas Liu), sono già sul posto per verificare non vi siano anomalie, attirati dalla luce azzurrina. Dopo una strenua lotta tra Sokka e Zuko, Aang fa il suo ingresso in battaglia, immolandosi per loro e lasciandosi catturare.

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I tre protagonisti sul dorso di Appa

Sokka e Katara prendono una decisione che cambierà l’intero corso degli eventi: lasciano il nido, si recano a salvare Aang, e accompagnano il giovane nomade dell’aria nella sua strabiliante avventura, mentre il principe Zuko ed il generale Iroh (Paul Sun-Hyung Lee) sembrano pronti a tutto pur di raggiungere il trio, con l’unico scopo di acciuffare nuovamente Aang e trascinarlo al cospetto del Signore del Fuoco, il malvagio padre di Zuko.

Entrato in contatto con lo spirito dell’Avatar Kyoshi (Yvonne Chapman), ad Aang viene svelato che qualcosa di terribile sta per accadere ai popoli della Nazione dell’Acqua del Nord, pertanto il giovane dominatore dell’aria decide di recarsi lì.

Attraverso un tortuoso e stupefacente cammino si stanzieranno dinanzi agli occhi dei tre giovanissimi protagonisti una sfilza di scenari magnifici, luoghi fantastici e al contempo familiari, capaci di impressionare anche le menti più ostili: popoli di variopinti guerrieri, piegati e non spezzati dalla Nazione del Fuoco.

Ad ognuno di loro Aang offrirà il suo aiuto, dando prova di essere più che degno di vestire i panni del Padrone dei Quattro Elementi, ed ognuna di queste imprese gli restituirà in cambio un insegnamento, contribuendo alla sua formazione in quanto individuo.

Malgrado i precedenti Avatar con cui entra in contatto lo rimproverino costantemente di essere troppo legato ai suoi amici, il ché non farà altro che recargli ulteriore dolore, Aang resterà fedele ai suoi principi: il suo vero potere alberga nella capacità di connettersi alle persone, percepirle, scalfire l’impenetrabile muro di ghiaccio, fuoco, terra che hanno eretto attorno al loro cuore.

Proprio come avviene con il principe della Nazione del Fuoco, Zuko, e il re di Omashu, Bumi: entrambe anime in pena, individui sofferenti, temprati, delusi e spezzati dalla vita, che cedono di fronte alla gentilezza, forza e generosità di un sorridente bambino di appena dodici anni.

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Lotte tra elementi, inganni e tradimenti, caldi abbracci fraterni, dialoghi dotati di profondità e una potenza inaudita, passo dopo passo il classico viaggio dell'eroe si concretizza in una feroce e sanguinosa guerra che riscriverà il destino del mondo e metterà a dura prova i personaggi coinvolti.

Tuttavia, non ce la sentiamo di raccontarvi oltre: Avatar – la leggenda di Aang è un meraviglioso viaggio di riscoperta, crescita morale e spirituale, che appassionerà gli spettatori episodio dopo episodio. 

Riuscirà Aang a trovare il suo posto nel mondo, facendo combaciare la sua indole allegra e socievole con gli imprescindibili doveri di Avatar?

Zuko accetterà di non poter diventare il cinico ed impassibile principe della Nazione del Fuoco che suo padre ha tentato di forgiare? 

Cosa accadrà alle Quattro Nazioni? Finiranno col bruciare tra le ardenti fiamme dei Dominatori del Fuoco, o tornerà a regnare la pace tra popoli?

Un arcobaleno di inclusività

La prima stagione di Avatar – la leggenda di Aang attinge parecchi contenuti dalla serie originale, malgrado siano presenti non poche differenze, come eventi che avvengono prima rispetto alla cronologia della serie di Nickelodeon, ma nulla di allarmante: tutte le modifiche apportate funzionano, non intaccano la trama e i significati profondi intrinseci al viaggio dei nostri eroi.

Nonostante questi piccoli accorgimenti, l’adattamento è talmente fedele da sembrare quasi una fotocopia del cartone animato del 2005: costumi magnifici, coloratissimi e curati nel dettaglio, coreografie nelle scene di lotta che richiamano alle arti marziali, il soave e fluido tai-chi praticato dai dominatori degli elementi, sono gli ingredienti per un live-action a tratti fastidiosamente perfetto

Ambientazioni, colonna sonora, dettagli impercettibili disseminati qua e là, dimodoché le radici asiatiche, inuit, orientaleggianti degli interpreti della storia siano ben identificabili: i luoghi visitati dai protagonisti sono lo specchio di civiltà realmente esistenti, il ché denota una certa inclusività.

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Monaci buddhisti nella Nazione dell’Aria, inuit nella Nazione dell’Acqua, arabi ad Omashu, asiatici nella Nazione del Fuoco, nativo-americani nelle foreste incantate, un arcobaleno di etnie e culture che arricchisce la storia e la tinge di realismo, complici anche effetti visivi e sonori di qualità che richiamano alle musiche tipiche delle popolazioni citate.

L’elemento più sorprendente è sicuramente un comparto tecnico eccellente, che ha il potere di farci immergere nel live-action, senza mai risultare esagerato: costumi, scenografie acrobatiche liberamente ispirate al cinema cinese ed effetti speciali all'altezza delle aspettative, soprattutto nella resa dei combattimenti tra dominatori, con spettacolari battaglie danzanti tra getti d’acqua, fiamme ardenti, spostamenti di intere zolle di terreno e creazioni di tornado in miniatura. 

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Aang in modalità Avatar

Da bambino a eroe: il percorso di crescita spirituale di Aang

Avatar - La Leggenda di Aang è un'opera che si propone di scavare nell'animo dello spettatore, andando ad intrecciare infanzia ed età adulta, risultando molto più matura della sua controparte animata: un viaggio nel viaggio, quello di luogo in luogo, che ci permette di esplorare territori fantastici e allo stesso tempo realistici, e quello mistico e psicologico di un bambino che si scopre un eroe.

Partendo da un classico viaggio di formazione, in cui il personaggio principale sarà accompagnato e supportato dalla sua immancabile coppia di co-protagonisti, la serie muta, si trasforma, cambia tono.

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Ko e Aang

Nonostante tutto, la vera differenza tra le due opere è nel target: malgrado si tratti di una storia apparentemente adatta ai più piccoli, i toni della serie Netflix sono più oscuri, e viene a mancare quell’aura di leggerezza che ha reso l’originale quasi un cult dell’animazione. 

A partire dal quarto episodio il prodotto subisce una metamorfosi, andando a toccare ed approfondire argomenti ben più maturi, come il dolore della perdita, la redenzione, quel senso di inettitudine che ti assale quando non ci si sente abbastanza, l'impotenza di fronte alle ingiustizie della vita. 

Insegnamenti reali, che lo spettatore può facilmente interiorizzare e far propri, il ché rende oltremodo semplice provare empatia per i personaggi.

Ed è così che nel corso del quarto episodio assistiamo alla sfida tra Aang e il suo vecchio amico ormai centenario, Bumi: il re di Omashu, provato dalla guerra e dal dolore di aver dovuto assistere inerme alla strage perpetrata ai danni della sua gente, spinge il giovane dominatore dell’aria al limite, rinfacciandogli di averli abbandonati e ricordandogli che a questo mondo non si può fare affidamento su nessuno

specialmente sugli amici.

Aang, però, anche in questa occasione ci fornisce una lezione, salvando Bumi da morte certa, ma mettendo a repentaglio la sua stessa vita: alle rimostranze dell’anziano re, che lo accusa di agire come un bambino, l’Avatar risponde nel modo più franco e sincero possibile, spiazzando sia il re che lo spettatore

ed è così grave?

Con la sua amabile ingenuità, Aang ci rammenta che l’amicizia, la gentilezza e l’amore sono pietre preziose da tenere ben strette in questo mondo ricco di macerie e dolore.

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Aang sorride

Un altro episodio che ha provato i nostri animi è stato quello immediatamente successivo, intitolato Spirited Away (La città incantata). I tre protagonisti restano intrappolati nel mondo degli Spiriti, e qui lo spirito della Conoscenza, dalle fattezze di un enorme Gufo, li mette in guardia: se non presteranno attenzione, saranno costretti a fronteggiare le loro paure più recondite, rischiando di essere risucchiati dal vortice della disperazione. 

Imbattutisi nello Spirito della Foresta, i tre sfortunatamente si dividono e i due fratelli cadono vittime di Ko, lo spirito della disperazione: Katara dovrà affrontare nuovamente il senso di impotenza provato dinanzi alla perdita della madre, bruciata viva davanti ai suoi occhi, mentre Sokka, dopo aver incontrato una Kitsune (volpe argentata, spirito tipico della cultura giapponese), sarà assalito da decine di dubbi circa la sua attitudine a comandare.

Nel frattempo, in una casetta ai margini della foresta, Aang incontrerà lo spirito di Gyatso, che gli svelerà di aver scelto tempo fa di non passare al successivo stadio della reincarnazione poiché convinto che, prima o poi, il bambino avrebbe avuto bisogno di lui.

L’abbraccio tra i due personaggi, atteso da più di 100 anni, racchiude in sé tutto l’amore del mondo: Gyatso, puntando lo sguardo nei grandi occhi a mandorla del bambino, lo rassicura con delicatezza, concludendo con un sussurro 

Tu non hai alcuna colpa per quello che è successo. Quindi, liberati.

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Il cammino dell’eroe e il cammino dell’antieroe: un viaggio verso la redenzione

Zuko, principe della Nazione del fuoco e antagonista della vicenda, la cui anima è stata ferita ripetutamente a causa di un padre distruttivo, psicologicamente e fisicamente violento: un uomo che, anziché mostrare al figlio clemenza e amore, ha ben pensato di diseredarlo marchiandolo con una profonda cicatrice sul volto.

Un erede al trono dall’animo gentile e parsimonioso, vittima di dolore, abusi e angherie subite che ne hanno inevitabilmente plasmato il suo cuore, tramutandolo in pietra. Un ragazzo il cui destino è stato già marchiato a fuoco nella storia, prigioniero di un ruolo che non sente suo: Zuko più volte dimostrerà di essere un personaggio in cerca di redenzione, sebbene non lo ammetta quasi mai. 

L’unica carezza che il giovane abbia mai realmente ricevuto gli è stata donata dallo zio, Iroh, un uomo anziano, saggio, ma dotato di spiccata ironia, che lo accompagna da anni nel suo disperato viaggio alla ricerca dell’Avatar: un rapporto costruito nel tempo di pochi, fugaci dialoghi, tra battute e giochi di sguardi.

Le scene tra i due sono pregne di dolcezza e velata ironia, e rievocano inevitabilmente il rapporto tra Aang e Gyatso, sbattendo in faccia allo spettatore il parallelismo tra i due reali protagonisti della storia.

Due giovani spezzati, le cui parti sono tenute assieme da due uomini che vestono il ruolo di padri. Due ragazzini schiacciati dal peso di un gravoso destino che non hanno scelto loro di intraprendere, due anime che racchiudono in sé luce e ombra, la cui unica differenza sta nelle scelte: Aang sceglie la via della luce, pur accogliendo l’ombra, mentre Zuko sceglie la via dell’ombra, pur indossando talvolta una maschera di luce

È incredibile cosa le persone siano disposte a fare per celare il loro vero io.

Forse perché non vogliamo che le persone sappiano che sono importanti per noi: il ché è buffo, perché la verità è che faremmo di tutto per loro.

Arriveremmo in capo al mondo, rischiando la vita, persino combattendo mostri.

Ma immagino sia spaventoso ammettere che si ha bisogno di loro: c’è chi pensa sia una debolezza, un impedimento. Dopotutto, non c’è dolore più grande che perdere qualcuno che si ama. 

O peggio, scoprire che quel qualcuno che ami ti ha abbandonato.

Credo sia per questo che sentiamo il bisogno di nasconderci e proteggerci. Così, indossiamo una maschera.

Non è difficile capire perché, quello che è difficile è capire che a volte la maschera è ciò che siamo veramente.

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Avatar - la leggenda di Aang
Aang viene tratto in salvo da un misterioso Shinobi

Nota dolente della serie è l’apparente leggerezza con cui hanno trattato i suddetti co-protagonisti e l’antagonista: mentre dell’onnipresente Aang sono stati sviscerati il passato e tutte le sfumature della sua personalità, la psicologia di Katara, Sokka, Iroh e Zuko viene accennata appena.

Non possiamo far altro, quindi, che sperare in una seconda stagione che ci restituisca un’analisi dettagliata dei personaggi secondari, vero motore e colonna portante di una serie live-action che punta alla glorificazione dell’amicizia e dei rapporti interpersonali tra individui. 

Nel complesso, Avatar – la leggenda di Aang, diretto da Michael Goi, Roseanne Liang, Jabbar Raisani e Jet Wilkinson, non ha affatto deluso le nostre aspettative, restituendo ai fan (e non) della serie originale un prodotto magnifico, evocativo, profondo e divertente, puntando sull’equilibrio tra drammaticità del mondo reale, devastato da guerre e sangue, e momenti di spensieratezza, colmi di sano umorismo: caratteristica preminente dell’opera originale.

Commento

cpop.it

80

Avatar – la leggenda di Aang non ha affatto deluso le nostre aspettative, restituendo ai fan (e non) della serie originale un prodotto magnifico, evocativo, profondo e divertente, puntando sull’equilibrio tra drammaticità del mondo reale, devastato da guerre e sangue, e momenti di spensieratezza, colmi di sano umorismo. Tra lotte tra elementi, inganni e tradimenti, caldi abbracci fraterni, dialoghi dotati di profondità e una potenza inaudita, passo dopo passo il classico viaggio dell'eroe si concretizza in una feroce e sanguinosa guerra che riscriverà il destino del mondo e metterà a dura prova personaggi coinvolti.

Pro

  • Aderenza all'opera originale
  • Personaggi ben scritti, vorresti saperne di più
  • CGI e comparto tecnico pazzeschi
  • Appassionante e non scontato

Contro

  • Non aggiunge nulla di nuovo alla serie originale
  • Antagonisti e co-protagonisti interessanti, da approfondire
  • Alcuni interpreti carenti nella recitazione
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