Beau ha paura farà fuggire il pubblico dalla sala

Leggi la recensione di Beau ha paura per scoprire perché il regista Ari Aster è convinto (a ragione) che molti non ameranno il suo nuovo film.

Autore: Elisa Giudici ,

Tanti, tantissimi usciranno dalla sala dopo Beau ha paura insoddisfatti, arrabbiati e delusi. Il mio pronostico è che in parecchi la lasceranno prima ancora che terminino le tre lunghissime, a tratti insopportabili ore di scene e situazioni che compongono il nuovo film del regista di Midsommar e Hereditary.

Beau ha paura è un terzo film impressionante, sia nei suoi rari successi che nei suoi tanti errori e fallimenti. C’è dietro un autore dal carisma e dalla voce unici, che perde l’equilibrio schiacciato dal peso del suo talento, della sua ambizione e del suo ego.

Il problema principale del film è che, a prima vista, è difficile conciliarlo con le aspettative di un pubblico che da Aster si aspetta un horror raffinato. Riceverà invece un film che, più che generare paura, la analizza nella sua natura maleodorante, insopportabile, sfiancante.

La trama di Beau ha paura

A24
Beau ha paura

La trama di Beau ha paura è semplicissima, anche se vedendo il film davvero non si direbbe. Joaquin Phoenix interpreta Beau, un uomo di 49 anni che vive solo, lontano dalla madre. In occasione dell’anniversario della morte del padre che non ha mai conosciuto, vuole tornare a casa da lei, ma il pensiero di rivedere la genitrice lo riempie di angoscia e paura.

A causa di un contrattempo Beau non riesce a prendere il suo volo e a rientrare in tempo. Avvisata la madre, incontra una reazione così gelida e passivo-aggressiva da decidere di uscire subito e raggiungerla, salvo finire investito da un furgone.

Il film diventa così una sorta di folle road movie in cui Beau, sempre più impaurito e ferito, incontra personaggi bizzarri e assurdi, mentre continua a tentare di raggiungere la madre, con cui ha quella che oggi definiremmo una co-dipendenza emotiva molto tossica. Un tempo l’avremmo definita “umorismo familiare di stampo ebraico”.

Questo imbastito piuttosto semplice viene però complicato dal fatto che l’intero film è narrato non solo dal punto di vista oggettivo di Beau, ma attraverso quello emotivo. La realtà non viene filtrata come tale, ma filtrata continuamente dalle sproporzionate paure di Beau. Siamo dentro la sua testa, dove la realtà già assurda di questo mondo diventa grottesca e ansiogena.

Beau si muove in un mondo realistico di paure, non nella realtà. Di fatto siamo dentro la testa di un uomo 49enne castrato da una paura e una dipendenza totalizzante verso la propria madre.

Perché Beau ha paura non piacerà a tanti

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Beau ha paura

Ari Aster lo sa che in tanti rimarranno delusi da Beau, lo ha dichiarato in alcune recenti interviste. Non potrebbe essere altrimenti. C’è un chiaro stacco rispetto ai suoi due primi film che, pur indagando temi molto simili (Hereditary è incentrato su un rapporto peculiare tra un ragazzo e sua madre, Midsommar racconta di una paura paralizzante e del percorso tortuoso per liberarsene) rimangono fruibili da un pubblico che cerca e vuole intrattenimento di stampo commerciale.

Beau ha paura racconta di paure, ma non le sviluppa per rifletterle sul pubblico. Non fa sobbalzare sulla sedia, quanto piuttosto racconta l’ansia perenne di un uomo per paradossi visivi. Somiglia a un delirio, a un sogno lucido in cui la sensazione di disagio è sempre su volumi insopportabilmente alti. Alcuni direbbero che il punto di Beau ha paura è “essere cringe” e non hanno tutti i torti.

Beau ha paura spiccatamente autoriale, in quell’accezione che solitamente fa fuggire il pubblico dalla sala: non spiega sé stesso, è spesso ego-riferito, ha riferimenti personali, alti e talvolta oscuri. È un film concentratissimo sulle sue nevrosi che più che condividere con il pubblico, fa subire al pubblico.

Il fatto che poi sia un flusso di coscienza che tiene insieme (talvolta a stento) una serie di episodi tra il paradossale, l’ansiogeno e il comico non aiuta la causa di un film che, siamo onesti, risulterà indigesto ai più.

Guardiamo allora al lato positivo: pur essendo troppo sbilanciato dalla sua ambizione e a tratti immaturo per essere considerato un film riuscito, Beau ci promette grandi cose per il futuro. È un passo importante per Aster, che conferma di poter ancora crescere tantissimo come regista e autore. Sappiamo già che Ari Aster e Joaquin Phoenix lavoreranno insieme negli anni a venire: speriamo trovino la quadra giusta, che in Beau ancora manca. 

Quando saprà guidare le redini per proprio talento, ci regalerà film eccezionali. Beau è quel genere di rito di passaggio con ottime scene annegate in tentativi di grandezza, che per giunta sfiancherà il pubblico di quanti non sono abituati al cinema d’autore.

L’immagine di copertina di questo articolo è tratta da Beau ha paura di I Wonder Pictures / A24.

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Commento

Voto di Cpop

54
Ha punte di genio immerse in lunghi tratti volutamente, fastidiosamente sfiancanti. È uno stadio intermedio dell’evoluzione di Ari Aster come regista, che risulterà indigesto al grande pubblico. È anche la promessa di futuri film grandiosi. Che fatica però arrivare alla fine di questo flusso nevrotico di coscienza.

Pro

  • Joaquin Phoenix è l’uomo giusto per il ruolo
  • Alcune scene sono memorabili e potentissime
  • Ari Aster è ben lontano dall’esprimere il suo pieno potenziale

Contro

  • È un’esperienza di visione volutamente sfiancante
  • In molti passaggi non è brillante come crede di essere
  • Troppo episodico, frammentato, lungo
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