Civil War, recensione: un film dirompente e attualissimo

Autore: Nicholas Massa ,

Il cinema come ammonimento e messaggio, il cinema come mezzo attraverso il quale percepire e forse riflettere su ciò che il mondo ha vissuto e sta vivendo. Non soltanto intrattenimento, ma anche qualcosa su cui ragionare riguardo al presente, servendosi di un'identità fittizia che colpisce proprio per la sua credibilità e brutalità diretta. Civil War, il nuovo film scritto e diretto da Alex Garland e previsto nelle sale italiane dal 18 aprile 2024, si sviluppa partendo proprio da un approccio espressivo del genere, sfruttando la dissonanza di un racconto inquietantemente efficace e curiosamente vicino alle possibilità concrete della nostra attualità.

In tutto ciò è l'America ad essere messa al centro di un sottile, quanto diretto, dibattito con gli spettatori in sala, presentando una possibile svolta politica, sociale e militare che non può non dare da riflettere, specialmente se si ragiona sulla recente storia di una nazione che in tempi moderni ha sempre e comunque cercato di costruire la propria identità basandosi su ideali megalomani e irrealistici. Nel fittizio di una situazione estrema, quindi, il grande peso di una pellicola che sfrutta il linguaggio cinematografico a 360 gradi, strappando via qualsiasi tentativo di giustificazione in favore di uno sguardo puramente distaccato, ma allo stesso tempo impegnato e deciso.

Civil War: la deriva degli estremi

La storia di Civil War si costruisce interamente in un'America spezzata internamente, divisa in due dal governo guidato da un presidente (interpretato da Nick Offerman) che ha deciso di mantenersi al potere assumendo un'identità assolutista, con la volontà di non rispondere alla logica legislativa consolidatasi negli anni. Da una parte, quindi, troviamo la Casa Bianca e la sua intenzione di restare al potere a qualsiasi costo, al punto di barricarsi dentro Washington sfruttando tutte le forze militari a disposizione e vicine per restare, e dall'altra i cosiddetti secessionisti, le forze contrarie a quanto sta accadendo, impegnate a ripiegare verso un ordine apparentemente impossibile da instaurare.

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Tutto ciò, ovviamente, ha condotto a una brutale Guerra Civile senza esclusione di colpi, e a una divisione interna che sta lacerando ogni cosa, gettando una delle nazioni più grandi e potenti del pianeta nel più totale caos. Lo sguardo di Alex Garland, però, sceglie di concentrarsi sul micro piuttosto che sul macro, tratteggiando la storia su un gruppo di fotoreporter impegnati a girare il territorio con l'obiettivo di testimoniare quanto sta accadendo in prima linea, cercando di spingersi sempre più in là in termini di coraggio e rischio personali.

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Così facciamo la conoscenza di Lee (Kirsten Dunst), Joel (Wagner Moura), Sammy (Stephen McKinley Henderson) e Jessie (Cailee Spaeney). Tutto quello che apprendiamo e impariamo sulla rovina dell'America in corso passa proprio e direttamente dalla loro esperienza diretta sul campo, e da quella intrinseca e indefinibile voglia di vedere e "catturare" la brutalità di un frangente storico feroce e sanguinario.

Il potere a tutti i costi e le conseguenze sul popolo

Senza troppi giri di parole, Civil War è un film dirompente, un'esperienza cinematografica con un messaggio diretto e difficile da ignorare, specialmente nel nostro presente. Partendo dal lavoro giornalistico dei protagonisti, il regista ne sfrutta le caratteristiche più figurative ed espressive per mettere a nudo le ipocrisie di una realtà non troppo distante dalla nostra per alcune cose, anche al di fuori dello stesso suolo americano. Nella brutale violenza di una guerra civile si nascondono tanti spunti sociali, e soprattutto politici, che vanno oltre il grande schermo, infrangendone fin da subito i limiti più costruiti in favore di un dialogo diretto col pubblico in sala.

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Nel fare ciò, Garland estremizza un materiale narrativo che, pur se forte in alcuni frangenti, risulta sempre e comunque credibile in quello che fa e dice, imprimendo un inquietante realismo di fondo che apre a tantissimi quesiti esterni alla dimensione cinematografica stessa.

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L'attaccamento al potere del governo americano, in Civil War, non è qualcosa di troppo distante da ciò che abbiamo visto, ad esempio, di recente con alcuni personaggi che hanno tentato di mantenersi in alto contrariamente alle leggi vigenti. Non a caso, durante la visione risulta inevitabile pensare al mandato di Donald Trump e all'assedio di Capitol Hill del 6 gennaio 2021. Nella voglia di prevaricare su un sistema storicamente affermatosi, risiede la miccia principale alla base di questa pellicola, bagnata da un materiale narrativo che strabocca continuamente al di fuori, che invade facilmente la realtà effettiva di tutti noi, risultando vicina, nel modo più inquietante possibile.

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Nel caos dell'esaltazione identitaria e della violenza senza limiti, Civil War mette a nudo le incoerenze prima degli americani ritratti, e in seguito della stessa razza umana, manipolata dalle proprie credenze e da quegli estremismi ideologici così forti da riuscire a spostare persino l'ago della morale comune altrove.

Partendo da un racconto ampio, è proprio attraverso il viaggio degli stessi protagonisti che riusciamo a entrare in contatto con i dettagli più folli di un contesto in cui la guerra e la paura hanno preso il sopravvento su ogni cosa. Le esperienze dirette, le parole dette e non dette, e l'emotività di fondo sono un valore aggiunto insieme all'attenzione del regista allo specifico umano e alle conseguenze più ampie di una visione politica sbagliata e portata al suo estremo.

Parlare attraverso lingue differenti

Oltre alla scrittura e alla caratterizzazione dei protagonisti, Civil War resta prima di tutto un film che si nutre e si sviluppa attraverso il mezzo cinematografico e le sue possibilità. Sono le immagini a parlare prima di tutto il resto, mettendo in scena un contesto che funziona proprio nella sua credibilità di fondo. Nell'incubo di una nazione in rovina troviamo tantissimi dettagli catturati da una macchina da presa attenta e ferma quando serve, capace di inquadrare la sensibilità specifica e più puramente umana anche nei momenti in cui la brutalità della violenza prende il sopravvento.

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L'amore per le immagini e il loro potere innegabile imprimono un sapore forte e contrastante di testimonianza all'incedere del racconto, lavorando a stretto contatto con una colonna sonora disarmante fin dai primissimi istanti. Voci, suoni, esplosioni, dolore, sussurri e spari si avvicendano in un viaggio dal sapore amarissimo, in cui gli equilibri di una crisi umanitaria profonda, senza limiti e comune, si canalizzano attraverso lo sguardo dietro all'obiettivo, sensibilizzando e lasciando un segno indelebile.

Civil War è anche un film sui rapporti umani oltre le grandi cose, sui legami e sulle ipocrisie in questo senso. Poggiandosi sull'estro dei suoi stessi protagonisti, Garland distrugge ogni illusione nei confronti di un'America spogliata dalle sue stesse credenze, messa a nudo da una lucidità importantissima nel panorama cinematografico attuale.

Commento

cpop.it

90

Civil War è un film che parla sia la lingua del cinema che della nostra stessa realtà. Nell'affresco spietato di un contesto distopicamente crudele si annidano alcune riflessioni molto vicine all'attualità, nel modo più inquietante possibile. Così la macchina da presa, nelle mani di Alex Garland, diventa uno sguardo altro, un'occhio interessato e impegnato a discutere con gli spettatori in sala, mettendo a loro disposizione un contesto fittizio che impatta sia per la sua narrazione che per la costruzione formale.

Pro

  • La regia e la scrittura di Alex Garland.
  • L'amore folle e spassionato per le immagini e per questa voglia di testmoniare qualcosa in modo sia diretto che indiretto.
  • Il cast la loro costante presenza scenica.
  • Il sound design, la colonna sonora e la fotografia parlano una lingua a sé.
  • La messa in scena di alcuni momenti indelebili.

Contro

  • Le parti più forti potrebbero disturbare a livello d'impatto.
  • Pur se l'idea di fondo non risulta innovativa lascia comunque un segno profondo.
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