Enzo Ferrari, il mito, la leggenda irraggiungibile e l’uomo impenetrabile. Cosa si celava dietro al suo sguardo spesso nascosto dagli occhiali da sole scurissimi? Dov’è che i racconti cedono il passo alla realtà effettiva dei fatti? Dov’è che l’essere umano subentra all’immaginario intangibile? Forse sono state proprio queste le domande a ispirare la visione di Michael Mann durante la realizzazione di Ferrari, film presentato in concorso all'80ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia il 31 agosto 2023, giunto nelle sale cinematografiche italiane il 14 dicembre dello stesso anno e successivamente approdato su Sky, NOW e Prime Video a marzo 2024.
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Tutto si muove in Ferrari, e lo fa seguendo diverse velocità senza mai fermarsi in un dinamismo continuo oscillante fra la materia tangibile e quella umana. La vita privata e la volontà di dimostrare qualcosa, il rischio continuo durante le corse sull’asfalto per una terribile passione difficile da descrivere, e le battaglie personali di un uomo che ha segnato la storia delle corse automobilistiche. Un cognome come tanti, poi marchio e vero e proprio status symbol alla ricerca di quell’equilibrio cinematografico che tiene conto anche delle piccole cose in corso d’opera, riallacciandosi allo sguardo implacabile di un regista che non lascia scampo a nulla.
Ferrari: la vita e la strada
Il 1957 è stato sicuramente un anno chiave nella storia di Enzo Ferrari, sia in senso negativo che positivo. Il biopic di Michael Mann sviluppa le proprie intenzioni seguendo una struttura narrativa che, in medias res, non si limita a introdurci il protagonista, preferendo presentarcelo in un momento specifico della sua vita. Così facciamo conoscenza del mito ed entriamo a gamba tesa nella sua esistenza relazionandoci immediatamente con un dualismo che proseguirà durante l’intero svilupparsi del film. Già, perché il limitarsi a interagire con il Ferrari delle corse e delle automobili non avrebbe avuto senso fino in fondo, ragionando solamente sulla metà che tutti conoscono, ricordano e idolatrano da sempre.
Michael Mann, invece, cerca di superare l’immaginario più comune approdando fin da subito nelle ombre personali dello stesso Enzo, mostrandocelo diviso fra la sofferenza familiare e personale (derivante da un matrimonio infelice, dalla recente perdita del figlio Dino, da una relazione extraconiugale e un secondo figlio segreto ancora non riconosciuto) e le difficoltà economiche di un marchio che deve tentare il tutto e per tutto pur di salvarsi. Quello stesso anno, infatti, coinciderà anche con l’iscrizione della Ferrari alla famosissima Mille Miglia (una competizione automobilistica stradale che ha fatto la storia del settore, in cui la partenza e l’arrivo erano segnati nella città di Brescia, passando per Roma e il Centro-Nord Italia), e a un evento che diede da riflettere all’intera nazione.
Ferrari: vivere sospeso fra due mondi
Sulla strada può accadere di tutto se si perde la concentrazione e le divinità delle corse sanno essere impietose con coloro che ci mettono il cuore in una passione del genere. Ferrari si approccia al materiale biografico in corso cercando continuamente di andare a fondo, e nel fare ciò Michael Mann non ha nessun rimpianto quando strappa via tutta l’epica del suo stesso protagonista, restituendo l’affresco di un uomo apparentemente infrangibile, eppure fragile ed esposto alle sue stesse debolezze. La narrazione, non a caso, procede seguendo due dimensioni ben precise: quella della mitica scuderia che ha fatto la storia delle competizioni automobilistiche italiane, e quella della vita privata e delle battaglie personali in questo senso.
Pur se inebriato dall’amore incondizionato per le automobili, come lo stesso Ferrari sottolineerà più volte nel corso del racconto, dovrà sempre e comunque fare i conti con le persone che compongono la sua vita anche fuori dalle corse, tasselli fondamentali nell’umanizzazione di uno sguardo impenetrabile e difficile da tradurre in toto. Da una parte abbiamo l’Enzo spietato e determinato, quasi freddo e inumano, e dall’altra il padre sofferente e spezzato, l’amante innamorato ma timorato, e il marito problematico. Tutti questi elementi sono alla base di Ferrari, di un lungometraggio che si bagna di luci e ombre mettendo in scena un dramma sia storico che innanzitutto umano.
Nello sguardo sempre distaccato e imperscrutabile di Ferrari, quindi, si riflette la storia vera e intima di un mito ancora oggi citato, ammirato e studiato in tutto il mondo. Non solo, Mann trasforma l’obiettivo della macchina da presa in uno sguardo implacabile e tagliente, pronto ad osservare e analizzare quanto accade senza mai voltarsi dall’altra parte. Solo così riusciamo a separare la persona dall’immaginario costruito attorno alla sua vita, solo così è possibile andare oltre l’ingombrante e leggendario cognome che dà titolo alla pellicola cercando di esplorare l’esistenza, anche introspettiva, di un essere umano a contatto con se stesso e i propri affetti. Per tutte queste ragioni, non a caso, risultano fondamentali anche le donne nella vita di Ferrari, almeno quelle nel film. Sono loro a bilanciare e vivere appieno l’esistenza di un uomo diviso fra passioni romantiche e l’amore per le proprie automobili in pista, delineando un andamento narrativo cruciale negli equilibri complessivi del film.
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Dare tutto per il tutto
Correre e dare tutto di sé pur di arrivare primi al traguardo. Il sacrificio eroico in funzione di un obiettivo altro, di un arrivo disseminato dalla concentrazione del pilota stesso e dalla messa a punto dei mezzi che vengono letteralmente consumati con il procedere dei chilometri. Questo resta uno dei concetti chiave in Ferrari, un vero e proprio ideale indomabile raccontato dallo stesso protagonista ai suoi piloti per motivarli, e soprattutto per definire una visione che non ammette scuse una volta in macchina. Nella tensione evidente e palpabile di una prospettiva del genere si sviluppa tutto il ritmo del film, chiudendosi gradualmente in una morsa silenziosa e inesorabile che trova tutta la sua ferocia inspiegabile e distruttiva nel climax finale.
La vittoria a costo della vita, e il valore della vita stessa soppesata da momenti come questo, da quei fuggevoli istanti a tutta velocità in cui il minimo errore potrebbe cancellarti per sempre. Non a caso il regista sceglie di ambientare Ferrari nel 1957, anno in cui una immane tragedia colpì sia lo stesso protagonista che l’Italia, portando a successivi ragionamenti e speculazioni nell’ambito sportivo automobilistico. Allineandosi a un evento a dir poco traumatico, il lungometraggio definisce fin da subito la sua anima nera, il suo inevitabile percorso drammatico prendendo in esame un momento preciso nella storia vera oltre le immagini a schermo, e riportandolo senza troppi fronzoli.
L’ineffabilità di un mito intangibile diventa materia cinematografica, quindi, plasmata dalle mani di un regista e del suo cast. La corporeità di Enzo Ferrari modellata da un Adam Driver perfettamente convincente nei suoi panni, e forte di un’attenzione ai dettagli che ne conferma ancora una volta il valore di attore. Con lui Penélope Cruz nel ruolo della moglie Laura spezzata e fondamentale nell’equilibrare il binomio uomo/icona, capace di strappare via la patina dorata che tutti conoscono. Così il profilmico si tinge del dolore incontenibile di una donna forte e rotta a sua volta, ma comunque importante nell’economia fondamentale di Ferrari.
Commento
Voto di Cpop
80Pro
- Le interpretazioni di Adam Driver e Penélope Cruz.
- La regia distaccata e spietata di Michael Mann.
- Il lavoro fatto in termini di messinscena e costumi.
Contro
- Alcune piccole cadute di stile nell'ambito trucchi e CGI.
- Alcuni personaggi fuori fuoco e soltanto abbozzati.
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