M. Il figlio del secolo, recensione: la mostruosità della storia secondo Joe Wright

Un ritratto implacabile del potere e della violenza nel Novecento. M. Il figlio del secolo trasforma la storia in un dramma epico e spietato.

Autore: Nicholas Massa ,

“Io sono come le bestie: sento il tempo che viene”. Queste le parole pronunciate durante tutto il suo percorso dal Benito Mussolini portato sul piccolo schermo da un Luca Marinelli trasformista e totalmente trasfigurato in uno dei volti più terribili, spietati e mostruosi che la storia umana abbia mai custodito, raccontato e insegnato, in M. Il figlio del secolo, la nuova serie Sky Original in otto episodi prodotta da Sky Studios e da Lorenzo Mieli per The Apartment, società del gruppo Fremantle, in co-produzione con Pathé, in associazione con Small Forward Productions, in collaborazione con Fremantle e con CINECITTÀ S.p.A.

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In queste parole è custodito tutto il segreto di un progetto del genere che, partendo da un romanzo che ha scosso gli intellettuali e i pensatori del nostro tempo, traspone innanzitutto un periodo preciso della storia dell’Italia, servendosi del talento di alcune maestranze formali che elevano il linguaggio seriale. 

La serie, quindi, pone le basi di un racconto mai didascalico e dai moti avvincenti, mai logorante ma sempre e comunque interessante, al cui centro troviamo un argomento sicuramente difficile, complesso e dai tratti ambigui che ci tocca tutti inevitabilmente da vicino. M. Il figlio del secolo, tratto dal romanzo omonimo di Antonio Scurati, debutterà su Sky e NOW, in esclusiva, il 10 gennaio 2025.

La storia e la sua importanza

M. Il figlio del secolo racconta, nella sua prima stagione, il periodo di ascesa di Benito Mussolini, concentrandosi sugli eventi che vanno dal 1919 fino al 1925 circa. Quello con cui ci si interfaccia è un uomo insoddisfatto e alla ricerca di una rivalsa, a seguito degli eventi che lo hanno visto schierarsi inizialmente dal lato socialista della politica dell’epoca. In un periodo storico di tumulti e generale insoddisfazione, lo vediamo quindi associarsi e frequentare quelli che si potrebbero tranquillamente definire “gli ultimissimi”, esseri umani che di umano hanno poco, senza un posto a cui tornare dopo la Prima Guerra Mondiale, e legati a ideali che l’Italia dell’epoca stava tentando di lasciarsi alle spalle, forse una volta per tutte.

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Nella rabbia e nel caos cominciano a sorgere i primi moti associativi fra individui insoddisfatti, e nell’ira generale emerge un’ombra che piano piano diventa sempre più tangibile e riconoscibile. Dalla nascita dei “Fasci di combattimento” agli scontenti nei confronti di un governo, prima quello di Francesco Saverio Nitti e poi quello di Giovanni Giolitti, fino agli ideali “rivoluzionari” fallaci e privi di una solida base, emerge chiaramente la brutale violenza di una generazione – non tutta, ovviamente – capace solamente di distruggere senza costruire mai veramente nulla.

In un clima del genere M. Il figlio del secolo inserisce un protagonista che sembra vedere e percepire qualcosa, muovendosi attraverso un viaggio fra l’umano e il disumano, nel sangue di una visione che cambia continuamente a contatto col tessuto politico, sociale e personale vigente. È un gioco di ombre, citazioni e misteri che trova una sua direzione nel ritmo serrato di un racconto che fa luce, riuscendo sempre e comunque a intrattenere.

Un piccolo gioiello

Andando oltre il fascino maledetto della narrazione in sé, M. Il figlio del secolo lascia subito il segno attraverso un comparto formale invidiabile nella sua struttura, comprimendo e sorreggendo il peso di un personaggio oscuro, per poi stemperarne i concetti scolastici sia attraverso l’interpretazione di un Marinelli perfettamente in parte, sia attraverso la continua rottura della quarta parete che avvicina e allontana, ma anche intimorisce, disturba e lacera nel profondo per alcuni suoi aspetti.

In parallelo troviamo la regia di Joe Wright, sempre dinamica e in movimento, attenta a mettere in luce le ombre e a imprimerle in un processo creativo sia disinibito che capace di smitizzare le controversie del protagonista del racconto.

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Il tocco del regista è sicuramente fondamentale, così come il continuo distanziarsi da ciò che accade sullo schermo, offrendo le due facce di una mostruosità storica che non andrebbe mai dimenticata. Essenziali, nella costruzione di un vero e proprio gioiello per il piccolo schermo, anche il montaggio di Valerio Bonelli, sempre concettuale e intellettuale, ma anche grottesco e pronto a misurare il controverso incedere di M. Il figlio del secolo, e la fotografia firmata da Seamus McGarvey.

Queste componenti restituiscono un prodotto che parla innanzitutto per immagini, oltre che attraverso la sceneggiatura, scolpendone l’impatto attraverso una cura tangibile fin dai primissimi momenti del primo episodio.

Un periodo storico innanzitutto

Negli otto episodi complessivi di M. Il figlio del secolo vediamo prendere vita e forma un’Italia lontanissima da quella dei nostri giorni, sfaccettata in modo differente e amareggiata a seguito dei risultati ottenuti dopo la Prima Guerra Mondiale. Tutto ciò traspare dalle scelte cromatiche dei luoghi in cui le idee del protagonista prendono forma e piede, scolpendone l’amaro e rabbioso malcontento attraverso una scala di neri bagnati dal disagio e dalla ricerca di qualcosa che pare non esistere.

Ecco che la serie Sky, come faceva anche il romanzo di Scurati, tenta di tratteggiare una serie di riflessioni che si connettono direttamente e innanzitutto al contesto di Mussolini, prima ancora che al suo personaggio e alle idee venute in seguito.

Non soltanto: la storia cui assistiamo non si pone mai a elogio del suo protagonista, preferendo un approccio che tende invece a smitizzarlo in tutto e per tutto, un processo che vuole distruggere un immaginario preciso “dal di dentro”, partendo dalla stessa interpretazione di Marinelli e dai momenti chiave di un percorso sempre e comunque tragicomico, ma anche potente nel male che mette in scena.

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Nel grottesco di un protagonista dal peso storico impossibile da ignorare, però, si origina tutto il lavoro di “reportage romanzato” che un prodotto del genere vuole lasciare negli spettatori. Testimonianza, quindi, di un periodo storico e di tutte quelle sue incoerenze e ipocrisie, di quelle problematiche che hanno portato il male in alto sopra ogni altra cosa.

A valorizzare ulteriormente la fruizione di M. Il figlio del secolo è la colonna sonora di Tom Rowlands, inaspettatamente sovversiva e in perfetto connubio/contrasto con gli eventi della storia a schermo, accompagnata da un ritmo serrato, con qualche momento di calo, ma sempre e comunque concentrata a mantenersi alta e imprevedibile tanto quanto alcune frasi e momenti della serie stessa.

Commento

Voto di Cpop

90
M. Il figlio del secolo è una serie ambiziosa che si distingue per il suo ritratto implacabile del potere e della violenza che hanno segnato in modo indelebile il Novecento. Attraverso una narrazione ritmata e romanzata questa trasforma eventi storici cruciali in un dramma epico, intenso e spietato, dove le dinamiche di ascesa del fascismo e le sue implicazioni vengono esplorate con una forza segnante. La regia, attenta e le interpretazioni dei protagonisti, in particolare quella di Luca Marinelli, contribuiscono alla costruzione di un'opera visivamente affascinante e narrativamente coinvolgente. Ogni elemento della serie si unisce per creare una riflessione profonda e disturbante sulla storia, mantenendo sempre un ritmo serrato che sfida lo spettatore a confrontarsi con le ombre di un passato oscuro.

Pro

  • La regia di Joe Wright.
  • Il lavoro in termini di fotografia e colonna sonora.
  • Il montaggio di Valerio Bonelli.

Contro

  • Alcuni cali anche se non troppo gravi.
  • Il dialetto in alcuni casi abbastanza artificioso.
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