L'esordio di Dev Patel dietro la macchina da presa è qualcosa di sconvolgente e viscerale, uno sguardo in continuo movimento che, nell'irascibilità repressa del suo stesso protagonista, trova continuo ristoro e modello, arrivando a plasmare un lavoro puramente d'azione e brutale, in un doppio punto di vista personale e furiosamente politico. Questo è Monkey Man, film disponibile nei cinema italiani dal 4 aprile 2024, al cui centro troviamo una storia di vendetta dalle radici culturali, linguistiche e soprattutto religiose.
Nelle barbarie quotidiane di un'India sporca e abbandonata a se stessa, possiamo vedere il percorso di un giovane che cerca la propria pace interiore venendo a patti con alcuni demoni che lo riguardano in prima persona, abbracciando inevitabilmente tutto ciò che lo circonda.
Rabbia e voglia di rivalsa, quindi, sono gli ingredienti primari di un'esperienza cinematografica in continuo fermento, inesprimibile con le parole, ed estremamente prolifica attraverso le immagini che la compongono. Monkey Man è un film con più letture, concentrato sul proprio obiettivo e su un'immediatezza coreografica e violenta che lascia spazio pure a riflessioni più ampie, abbracciando tutte le facce possibili di un contesto profondamente problematico e difficile da accettare sia per noi spettatori che per lo stesso protagonista.
È proprio nella vendetta del singolo che il mezzo cinematografico trova una voce tutta personale che le altre arti non potranno mai avere, veicolando messaggi e riflessioni disturbanti sia coerenti col racconto in corso che ben oltre le sue stesse dinamiche più semplici.
Monkey Man: un uomo e il proprio dolore
La storia di Monkey Man è più semplice che mai. Partendo dagli eventi traumatici di un giovane uomo (interpretato dallo stesso Dev Patel), di cui in realtà non conosciamo il vero nome al di là di un identificativo fuggevole, il film costruisce una delle più classiche storie di vendetta, trovando la sua rabbia e voce nel passato e nel presente in corso sul grande schermo. Partendo dalla brutalità di un protagonista disturbato, quindi, ci si ritrova immersi in un contesto narrativo difficile da comprendere e digerire in toto, muovendoci di pari passo con la stessa irrequietezza sottocutanea di un qualcuno che porge il proprio sguardo sempre altrove, sporcato dalla propria e personalissima storia biografica e da una grande metropoli indiana alienante.
Kid, questo l'identificativo accennato prima, si guadagna da vivere in una sorta di "Fight Club" clandestino in cui viene pagato per confrontarsi con energumeni pazzi tanto quanto lui, indossando ogni notte la maschera di una scimmia. Immergendosi quindi nell'illegalità teatrale di un contesto pilotato da qualcun altro, il denaro diventa l'unica ragione logica a giustificare il dolore fisico provato dal giovane ogni sera. Ma i suoi piani sono ben altri, e quella è solamente una delle pieghe di un uomo determinato a trovare la propria raison d'être altrove, sfruttando i demoni che ha dentro e le conoscenze apprese negli anni per accedere a un mondo ben lontano dalla sporcizia sul ring.
Partendo dal mito Induista di Hanuman (lo abbiamo approfondito cercando di riflettere su Monkey Man), il film ne plasma le simbologie più famose all'interno di una storia che fa della propria attualità una brutalità da cui non è semplice sottrarsi. Nella semplicità narrativa di fondo, quindi, ritroviamo una serie di rimandi sottili, spirituali e palesi, totalmente coerenti con la violenza più diretta e studiata, in un viaggio di vendetta dal sapore sia aggraziato che sfrenatamente sanguinario.
Monkey Man: violenza, religione, politica e musica
Monkey Man è innanzitutto un film melodioso, una vera e propria danza ispirata dall'incedere degli eventi e da una costruzione formale che lascia sicuramente il segno. È proprio parlando di "struttura" che riusciamo a trovare qualcosa d'interessante in un'esperienza narrativa semplicissima nel suo insieme.
Dev Patel sceglie consapevolmente di ridurre al minimo la scrittura, concentrando tutto l'appeal del suo lungometraggio su regia, fotografia, colonna sonora, coreografie action e tematiche di fondo. Nel cercare di stare dietro al viaggio del protagonista, infatti, si viene coinvolti nello sguardo irrequieto di questa macchina da presa sempre in movimento, sempre pronta a muoversi, a correre dietro, ad assumere lo sguardo di Kid, ad allontanarsi da lui, e a seguirlo trasformandosi in un vero e proprio personaggio a sé.
Tutto il dinamismo di Monkey Man deriva proprio dalla sua stessa regia e messinscena, restituendo al pubblico al cinema un'azione frenetica oltre ogni dire e violentissima, ma comunque fresca e attuale (ricordando da vicino la saga di John Wick, per fare un esempio, citata direttamente pure nella narrazione). In tutto questo scopriamo la grande metropoli al cui interno si sviluppa il racconto, sporcata dalla propria e quotidiana realtà e incorniciata da una fotografia che si mantiene sempre su tonalità lievi e scure, quasi diretta proiezione del viaggio dello stesso protagonista.
Nel muoversi fra le stradine scoscese e fatiscenti di questa città, sono le inquadrature a parlare più della stessa storia in corso, concentrandosi, anche di sfuggita, su una serie di dettagli diretti che lasciano sicuramente a bocca aperta.
Nel confronto esasperante fra la povertà più drammatica e la ricchezza di quei pochi che stanno in alto, Monkey Man ci si avvelena fino in fondo, raccontando innanzitutto la storia di un contesto preciso (dal punto di vista sociale, economico, culturale e politico), per poi imbrattarlo col sangue di una vendetta che vuole trovare la propria strada a tutti i costi. In ciò subentra la religione e quella particolarissima spiritualità deviata che diventa ben presto manipolazione e maschera diretta del male più tipicamente umano e individualista.
Niente di nuovo o mai visto prima, ovviamente, ma l'impatto di una costruzione tematica del genere, lavorato in parallelo con una simbologia specificamente connessa con la mitologia Induista, attrae e colpisce, tratteggiando una furia che individua le sue ragioni e modalità in una dimensione creativa impattante fuori da ogni dubbio.
Non è solamente la componente feroce di Monkey Man ad attrarre, ma anche e soprattutto quella più culturale e formale, legata sia al contesto in cui tutto si muove, che alla visione creativa di un regista che si esprime attraverso la propria e personalissima voce. Nella vendetta più semplice, sfrenata e rabbiosa, quindi, scoviamo pure dilemmi e momenti profondamente toccanti, ma mai in modo banale, valorizzando qualcosa che avrebbe potuto rivelarsi semplice e scontato pure con un comparto musicale potentissimo e fondamentale nella costruzione della propria identità creativa e distintiva (l'alternanza fra sonorità distanti dall'Occidente e la riconoscibilità di alcuni motivi commerciali risulta vincente).
Le immagini sono le prime a parlare nel lungometraggio d'esordio di Dev Patel, sono loro che lasciano sgomenti per i dettagli più piccoli e apparentemente insignificanti, disorientando lo sguardo degli spettatori che vengono travolti dal materiale narrativo in corso, e da una specifica rabbia capace di rompere gli stessi limiti fittizi di un racconto con una voce difficile da contenere, che urla, si dispera e cerca risposte difficili.
Commento
Voto di Cpop
90Pro
- La regia frenetica di Dev Patel e le trovate in questo senso.
- La colonna sonora.
- L'eleganza brutale delle coreografie action.
- L'attenzione ai dettagli culturali e sociali intorno alla storia principale.
- La rappresentazione del mito e delle simbologie Induiste in relazione all'azione principale.
Contro
- Non è un film per deboli di cuore.
- Se cercate un film con una trama sviluppata e complessa, questo non fa per voi.
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