Parthenope, recensione: un affresco di Napoli che sa di disillusione e amaro

Parthenope, il nuovo film di Paolo Sorrentino nei cinema dal 24 ottobre 2024, ci porta in una Napoli agrodolce i cui anfratti sono tutti da scoprire.

Immagine di Parthenope, recensione: un affresco di Napoli che sa di disillusione e amaro
Autore: Nicholas Massa ,

Parthenope nasce nell’acqua e in essa trova le sue ragioni più dirette e reali, quasi tangibili attraverso le immagini di Paolo Sorrentino. Nella sapidità del mare vive la sua essenza, che come gli sprazzi marini scroscia e si perde nell’infinito orizzonte di una vita difficile da definire, catturare o anche solo sfiorare. Nei movimenti imprecisi ma costanti delle onde si colgono i rimandi a un mito connesso direttamente con la città e la cultura di Napoli, e alle diverse interpretazioni che, in ambito accademico, sono state date a questa figura, tanto lontana quanto vicinissima, ancora presente in qualche modo negli usi e costumi. Parthenope era una sirena, ma anche simbolo di lascivia e sensualità, una figura fugace presente pure nella retorica di Virgilio, immagine sfuggente e indistinta.

Dalla visione di una donna bellissima si sviluppa l’aspetto antropologico di Parthenope, il nuovo film di Paolo Sorrentino presentato in anteprima il 21 maggio 2024 al Festival di Cannes (in concorso per la Palma d’Oro), e disponibile nei cinema dal 24 ottobre 2024 (preceduto da alcune anteprime nel mese di settembre).

Nello sguardo disincantato di Celeste Dalla Porta (perfetta per il ruolo) si materializza la Napoli dei desideri, della giovinezza rubata, degli amori estivi e ingenui, sporcati dalla salsedine e dalla sabbia, ma anche quella della povertà, dell’ipocrisia, del dolore e della fuga che, ancora una volta, diventa una possibilità concreta quanto lapidaria di una visione che già in È stata la mano di Dio era divenuta una conseguenza naturale e necessaria, anche se estremamente privata.

Parthenope: tra crescita e disillusione

Parthenope si presenta al pubblico come un “racconto di formazione” (le virgolette non sono casuali), anche se non nel modo in cui ci si aspetterebbe di affrontare una storia del genere. Sorrentino, infatti, si avvale di una scrittura, anche per immagini, che frammenta e cela, alternando momenti fugaci e delicati a un’amarezza di fondo che lascia senza parole.

La narrazione del lungometraggio si sviluppa lungo una struttura orizzontale per tracciare gli eventi (partendo dalla nascita della protagonista negli anni ’50, per poi proseguire fino all’età adulta), scegliendo però di verticalizzare i moti interiori della stessa Parthenope, analizzandone i passi a poco a poco.

PUNTOeVIRGOLA/photo by GIanni Fiorito.
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Così, dalla nascita, passiamo al periodo universitario, alle letture private di formazione, alla scelta di studiare antropologia, al confronto col mondo accademico e con il suo immaginario, in parte rappresentato dal professor Marotta (interpretato da un Silvio Orlando che lascia il segno) e dalle sue risposte amare alla vita, fino a tutte le decisioni successive. Dalla bellezza di una ragazza che muove i suoi primi passi nel mondo, Parthenope seduce con immagini e frasi a effetto, spingendosi sempre oltre nella vita di un essere umano a contatto con l'inspiegabile dell'esistenza di ognuno, tra grottesco, sporco ma anche amaramente poetico.

Alla mitologia tutto torna

L’intangibilità di un mito legato a un immaginario culturale preciso, diventa per Sorrentino motivo di sviluppo di un'opera in cui la giovinezza e la sua fragilità diventano il cuore pulsante di un’esperienza di crescita. Mentre il tempo scorre inesorabile, è proprio nell’ingenuità di Parthenope che si muovono i moti sottocutanei di un’esperienza cinematografica che comunica attraverso le immagini, senza mai rivelarsi del tutto, privando così lo spettatore di una visione d’insieme. 

Questo allontana continuamente i significati e le interpretazioni dagli spettatori, obbligandoli a sporgersi ancora un po’ sul baratro oscuro che la vita di tutti noi potrebbe rappresentare o abbracciare. Così il concetto di tempo spacca in due tutte le credenze che il periodo dell’infanzia/adolescenza si trascina dietro, disilludendo sull’inesorabile e ingovernabile passaggio verso l’età adulta.

Prendere alcune decisioni obbligate (lavoro e studio) non basta per mettersi in pari con l’inaspettato dell’esistenza, tratteggiando uno sguardo che si concretizza soprattutto attraverso le inquadrature dirompenti e abbaglianti, merito non solo della regia di Sorrentino, ma anche della fotografia di Daria D’Antonio. L’identificazione cromatica di alcuni momenti chiave di Parthenope si connette direttamente con gli strati esistenziali ad essi legati, in un'opera che aggiunge continuamente nuovi elementi, non troppo dissimile da quanto visto in La Grande Bellezza, per fare un esempio. Il viaggio procede spedito, ma attraverso un confronto che tinge di ombre e malinconia gli occhi della giovane protagonista, in un processo di sovrapposizione con la stessa essenza di Napoli.

PUNTOeVIRGOLA/photo by GIanni Fiorito.
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Questa è la “seconda” protagonista del film: la Napoli magnifica ed estiva, solare e coloratissima, illuminata da un’estetica che cela continuamente, invece di mostrarsi apertamente. Ma anche la Napoli più povera e umile, in un certo senso, con i suoi vicoli labirintici fatti di sguardi affamati e distanti da quel sole acceso che tocca continuamente la sabbia delle spiagge e l’acqua cristallina. Dietro la bellezza ammaliante e seducente, dunque, c’è qualcosa che non vuole essere scoperto, o che comunque sfugge a ogni definizione concreta, restando nell’astratto di una caratterizzazione più sfumata che tangibile.

La stessa Parthenope, non a caso, si ammanta di frasi a effetto e sembra non mostrarsi mai per quello che è realmente, in un processo di scrittura che pare fuggire in continuazione, mettendo gli stessi spettatori nella situazione di doverla inseguire fino alla fine. L'intento della fuga e il suo atto non concretizzano mai la figura femminile al centro della pellicola, ponendola quasi come se fosse lei stessa la metafora di qualcosa, l’ennesimo rimando di un regista che gioca con la propria esperienza personale, scrivendo attraverso un linguaggio cinematografico in movimento.

PUNTOeVIRGOLA/photo by GIanni Fiorito.
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Al fianco di Parthenope, poi c’è un agglomerato di volti, di maschere che lasciano il segno proprio grazie al lavoro di caratterizzazione e alla loro lettura immediata. Il muoversi negli anfratti della vita della giovane ci spinge a confrontarci con le persone che lei stessa incrocia e con quello che le insegnano, direttamente e indirettamente. È così che il puzzle esistenziale della pellicola si completa, facendosi via via più complesso e inaspettato, imprevedibile nel mettere in scena anche il dolore e le incoerenze degli esseri umani, la loro mostruosità e ipocrisia, e quella fragilità che si trasforma prima in dolcezza e poi in malinconia e insolenza, ma anche in vecchiaia e disillusione.

Parthenope non è sicuramente un’opera di facile fruizione. Nella sua magniloquente solennità, ammalia e lascia senza parole, presentando un racconto che necessita di uno studio più approfondito e accurato. Sono tante le possibili letture cui un lavoro come questo si presta, e sono da sempre i rimandi e i dettagli specifici a fare la differenza nei film di Sorrentino. Non si tratta, ovviamente, di un lungometraggio esente da difetti, ma nella sua voce è possibile trovare più risposte alle domande che la pellicola pone e si pone continuamente, passando dallo sguardo del regista a quello della stessa protagonista, nel suo muoversi e rifuggire ogni definizione netta, e nell’incantesimo che trapela dai suoi occhi bagnati dallo scorrere del tempo inesorabile e impietoso.

Commento

Voto di Cpop

80
Il nuovo film di Paolo Sorrentino conferma nuovamente il talento di un regista che rapisce e frastorna attraverso il proprio cinema. Parthenope è un'opera complessa e dalle molteplici letture, un film difficile che rapisce e consuma col suo scorrere, meritevole di un'attenzione ulteriore. Nella fuggevole essenza di una protagonista che rifugge ogni definizione netta, lo sguardo antropologico del lungometraggio ne invade facilmente gli anfratti, in un susseguirsi di volti, delicatezze e rimandi che si connettono direttamente con la Napoli del regista, sia personale che inevitabilmente universale.

Pro

  • La regia di Paolo Sorrentino, ormai da tempo e nuovamente voce riconoscibile e forte di una poetica ancora in movimento.
  • La fotografia di Daria D'Antonio.
  • Il lavoro di Celeste Della Porta nello scrivere una protagonista semplicemente complessa.

Contro

  • Parthenope non è un film facile e facilmente accessibile.
  • Alcuni momenti forse troppo eccessivi, ma comunque coerenti con la poetica del regista.
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