Venom: The Last Dance riconferma immediatamente la verve goliardica e caotica che aveva distinto i primi due film di questo racconto cinematografico, facendoci ritrovare i due protagonisti principali, questa volta braccati, e approfittandone per trasporre i loro modi e attitudini lungo un viaggio che sa di romantico e drammatico, nel suo porsi al pubblico al cinema. Non fraintendete, però: qui non si parla dell’amore inteso in senso convenzionale, ma del legame, anche tossico, simbiontico appunto, fra due entità che non hanno mai veramente trovato un proprio equilibrio nella vita.
Una connessione, però, c’è, ed è in questa che si muove l’intera narrazione del primo film da regista di Kelly Marcel, che inserisce anche una storia piuttosto semplice nel suo sviluppo, abbastanza raffazzonata e sbrigativa per alcune cose, e non troppo incisiva al di fuori del legame fra Eddie e Venom.
Come anticipato, Venom: The Last Dance non riesce nuovamente a convincere, infarcendo l’intera narrazione di trovate abbastanza casuali, inquadrate da una scrittura che non sa mai, fino in fondo, trovare una direzione propria, se non nella parte finale. Tornano il no sense e la sospensione dell’epica, ma casuali e, in alcuni momenti, abbastanza ripetitive; tornano i personaggi stereotipati con, in questo caso, “spiegoni” malamente celati, torna un certo tipo di scrittura che, oltre a tentare di strappare qualche risata, non riesce purtroppo a fare di più.
Basta col multiverso
Venom: The Last Dance si apre con la scena, già vista in precedenza, in cui Eddie (Tom Hardy) si ritrova in una realtà differente dalla sua, cercando di capirne le ragioni mentre si sbronza. Questa “trovata narrativa”, però, muore sul nascere quando lo vediamo subito tornare nel suo mondo, mettendo in chiaro la fine di un’opzione che forse non è mai stata veramente tale. Si torna quindi al presente che tutti conosciamo e alle vicissitudini che hanno coinvolto il protagonista nei film precedenti. Sembra proprio, infatti, che lo scontro con Carnage abbia avuto delle conseguenze dirette, portando il volto di Eddie su tutti i notiziari a causa di un’indagine nei suoi confronti.
Braccato dalle forze dell’ordine statunitensi, a Brock non resta che cercare un posto in cui nascondersi, un rifugio che lo metta al sicuro da sguardi indiscreti, affinché nessuno possa arrestarlo o accusarlo ulteriormente di qualcosa. L’idea che accende gli eventi di Venom: The Last Dance diventa quindi quella di dirigersi dal Messico a New York. La Grande Mela si trasforma simbolo di salvezza (accoglienza per tutti coloro che cercano un posto in cui andare, giocando con la natura migratoria dello stesso simbionte) per Eddie e per Venom, convinti che lì potrebbero non soltanto riuscire a scappare, ma anche tentare di costruire qualcosa.
Nell’oscurità di un mondo lontanissimo dai fatti che conosciamo, un’antica e potente entità di nome Knull, colui che pare abbia dato vita e forma agli stessi simbionti tempo prima, brama di fuggire dalla prigione in cui è stato rinchiuso in seguito al tradimento dei suoi stessi figli. Per farlo ha bisogno di un oggetto chiamato Codex, curiosamente in possesso proprio dello stesso Eddie, e decide di sguinzagliare nell’universo alcuni esseri bestiali in grado di individuare ciò di cui ha bisogno per guadagnarsi la libertà.
Così Venom: The Last Dance si trasforma in un viaggio folle e dalle sfumature inaspettate. Da una parte due fuggitivi senza un reale piano per la propria sopravvivenza, e dall’altra un’entità aliena affamata di libertà e antichissima. Se al gioco ci aggiungiamo una sezione segretissima dell’esercito americano, che si sta specializzando nella cattura e nello studio dei simbionti individuati sul pianeta, il gioco è fatto.
Esagerazione e tante sospensioni
La prima cosa che salta all’occhio durante la visione di Venom: The Last Dance è proprio la sua scrittura e quella natura introduttiva che non si risolve mai del tutto nel corso degli eventi, lasciando in sospeso alcune circostanze che sembrano rimandare al futuro, o comunque a un altrove per ora incerto. Il lavoro fatto in termini di caratterizzazione in generale, ad esempio, non è mai incisivo nel suo porsi al pubblico in sala, preferendo presentare una manciata di personaggi, sia positivi che negativi, che restano inevitabilmente sospesi senza una ragione apparente.
Un approccio creativo del genere non trova mai una giustificazione diretta, tratteggiando un lungometraggio che concentra tutto il suo potenziale d'intrattenimento sui due protagonisti principali e su alcune sequenze d’azione anche niente male.
Per il resto, però, Venom: The Last Dance non va mai in profondità, preferendo adottare un approccio narrativo sempre e comunque sulla superficie, rielaborando una serie di “spiegazioni” e stereotipi narrativi che restano tali dall’inizio alla fine, proprio perché non si va mai oltre quel poco che si vede a schermo.
Questo vale sia per i personaggi positivi, di cui abbiamo soltanto qualche accenno, in alcuni casi poco e niente, sia per il villain principale, questo famigerato Knull, che si mostra più come una presenza secondaria che non come altro. Una scelta del genere sembra cambiare la natura stessa di Venom: The Last Dance e di ciò che potrebbe rappresentare con un titolo del genere, puntando forse a un futuro incerto per un franchise mai del tutto incisivo.
Tantissime cose risultano del tutto casuali e piuttosto irrilevanti con il formarsi del viaggio al centro della pellicola. Venom: The Last Dance guarda in questo caso a un’esagerazione, visiva e action, piuttosto caciarona e fine a se stessa, mai del tutto approfondita e pregna di momenti (che non vi anticipiamo), anche senza senso, che lasciano il tempo che trovano, allungando un racconto che avrebbe potuto tranquillamente essere più breve. Non c’è coesione narrativa nella pellicola firmata da Kelly Marcel, ma piuttosto un tentativo di strutturare questa commedia romantica dai tratti drammatici, plasmandone le attitudini attraverso gli elementi più tipici dei film di supereroi che si prendono molto sul serio.
Se alcune scelte risultano abbastanza casuali, è proprio nella risoluzione finale che Venom: The Last Dance fa del suo meglio per chiudere il cerchio, confondendo però il pubblico. Da qui l’incertezza sulla natura stessa di questo progetto e su alcune specifiche scelte in termini di narrazione e spiegazione, di approfondimento e comprensione, di pari passo con un film che non convince, se non per alcune trovate sopra le righe e un particolare sentimentalismo di fondo.
Commento
Voto di Cpop
50Pro
- Alcune idee e momenti intrattenenti.
- La performance di Tom Hardy ancora in parte anche se più stanco del solito.
Contro
- La scrittura raffazzonata e superficiale.
- La caratterizzazione in generale resta sempre sulla superficie.
- Alcune sequenze, sviluppi e battute abbastanza casuali.
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