Sono diventato morte, il distruttore di mondi. Troverete questo come risultato se su Google cercate Oppenheimer. La storia ha scelto di ricordare con questa citazione del Bhagavadgītā il ‘padre dell’atomica’, considerando come una simile scelta possa ben conciliarsi con le nefaste conseguenze dell’esito del Progetto Manhattan.
E ovviamente non poteva mancare questo riferimento nel biopic di Nolan dedicato al fisico americano, che due volte cita questo passaggio del testo indù. Non per piaggeria al ricordo scolpito nella Storia, quanto per ribadire un aspetto che rischiamo di dimenticare guardando il film del regista inglese: sullo schermo viene raccontata la perdita dell’innocenza di un uomo.
Un uomo che, sia chiaro, non è buono, ma rappresenta luci ed ombre del suo tempo. Il ritratto che Nolan, che si cimenta anche alla scrittura, vuole dare di Oppenheimer è basato su American Prometheus di Kai Bird e Martin Sherwin, che hanno indagato nella vita del fisico americano oltre alla sua rilevanza nel Progetto Manhattan.
Oppenheimer: Nolan, magister vitae
Non è un caso che Nolan si sia affidato a questo percorso di scoperta di una delle figure più controverse del Novecento, santo per alcuni e diavolo per altri, incastrato in un circolo vizioso di coscienza e ambizione. Una dicotomia interiore che si è rivelata essere anche il motore della pellicola di Nolan, che vive proprio sul contrasto, che sia interiore, sociale o politico.
D’altronde, se racconti la Storia, devi cercare un equilibrio tra la veridicità e il romanzato, perché comunque la si veda, seduti in platea ci sono spettatori che non vanno solo educati ma anche emozionati, intrattenuti. Nolan sceglie questo approccio spingendo al massimo la sua vena creativa, si circondo di un gruppo di lavoro impressionante, capace di offrire interpretazioni di altissimo profilo e di creare un sottotesto sonoro che ti scava nell’anima, tanto nelle silenziose assenze quanto nelle graffianti, cacofoniche musiche.
Ma questo è un discorso tecnico, che dovrebbe spingersi nel premiare la maniacale attenzione di Nolan al dettaglio, come vi abbiamo raccontato nella nostra recensione di Oppenheimer.
Quello che vorremo scoprire ora è, scusate il gioco di parole, come la Storia di Oppenheimer sia divenuta la storia di Oppenheimer. Non semplice come transizione, considerato come una figura così controversa abbia animato un dibattito politico nel suo tempo per poi passare a paragrafo della Storia, utilizzato alla bisogna come simbolo della potenza americana, incarnazione impietosa del male atomico.
Tra documenti secretati, macchinazioni politiche e dichiarazioni sibilline, per Nolan dare una visione dell’individuo Oppenherimer era essenziale, è divenuta il fulcro di un racconto che lo vede passare dall’essere lo studioso a un ruolo insolito: la cavia, l’oggetto studiato e scopetto. E il fine dell’esperimento è chiaro: morale ed etica.
Nolan non mira a raccontare la nascita della bomba atomica rendendola il cardine del suo lavoro. Lascia questo compito ad altre opere, come L'ombra di mille soli, la sua ricerca mira a scavare nell’animo di Oppenheimer per capire esattamente come si possa convivere con la consapevolezza di avere dato all’uomo lo strumento definitivo per sterminare la vita.
In tal senso, più che il citato passaggio del Bhagavadgītā, sarebbe da ricordare la dichiarazione di Oppenheimer dopo il test di Trinity:
Sapevamo che il mondo non sarebbe stato più lo stesso. Alcuni risero, altri piansero, i più rimasero in silenzio
Little Boy e Fat Man arriveranno un mese dopo, Hiroshima e Nagasaki sono a una manciata di settimane da diventare il simbolo della follia umana, ma Oppenheimer ha già capito quale sarà il suo retaggio.
Secondo alcuni, contrariamente a quanto mostrato da Nolan, è da questa consapevolezza che lo scienziato troverà rifugio nell’induismo, vedendolo comunque attraverso la lente deformante di un senso di colpa che trasforma la sua percezione del mondo. E un simile percorso interiore non può che affascinare Nolan, che ha mostrato di avere una predilezione per le anime tormentate e ossessionate, siano tizi in costume o incantatori di platee.
La cieca lucidità nel perseguire un fine e la brutale consapevolezza che a volte certe finalità sono incubi realizzati è parte della grammatica narrativa di Nolan, ma finora è sempre rimasta vincolata alla dimensione fantastica, ma con Oppenheimer il cineasta inglese ha un’occasione troppo ghiotta per non assaggiare la possibilità di trasformare la sua visione in un racconto del reale.
L'uomo dietro il mito
Chi meglio del creatore dell’arma più distruttiva concepita da mente umana poteva farsi tramite del corpus narrativo di Nolan? Oppenheimer, nella sua complessità e nel suo ruolo di simbolo di potenza e caducità, era destinato a finire nelle mani di Nolan, che lo sfiora, delicatamente ne mostra i tratti quasi ingenui nei suoi primi passi nel mondo dell’atomo, romanzando un evento veementemente negato dagli eredi del fisico, per poi spogliarlo spietatamente di ogni mitologia per mostrane le pecche umane.
Oppenheimer. Trionfo e caduta dell'inventore della bomba atomica
Oppenheimer. Trionfo e caduta dell'inventore della bomba atomicaNe esce un ritratto poco ideale ma potentemente concreto, storicamente accurato, nei limiti del romanzato, che ci consegna un uomo imperfetto, prono al tradimento, egocentrico eppure ingenuo, incapace di comprendere certe dinamiche sociali alla base di una politica che lo ha mal tollerato, masticato e spremuto, che Oppenheimer si illudeva di comprendere e poter indirizzare.
Nolan chiede questo a Murphy: un uomo dai mille lati, in costante contrasto con la sua natura e con il mondo che lo circonda. Cuce addosso all’attore i panni dello scienziato, ma anche quelli della creatura fragile, gli impone una progressiva disfatta umorale perché fa parte dello spirito del personaggio storico, perché è ciò che affascina davvero Nolan non è tanto l’esplosione, non è la nascita dell’era atomica (non a caso non mostra Hiroshima né Nagasaki), il suo fine ultimo è assistere alla consapevolezza di Oppenheimer di avere potenzialmente distrutto il mondo.
Oppenheimer è un film sulla perdita dell’innocenza di chi non è mai stato pienamente innocente, ma solo illuso di esserlo, protetto da una presunta etica che lo porta a ingannare sé stesso. Un’indulgenza autoriferita che si infrange nelle perdite che costellano la propria vita, fisiche e umorali, nella sempre più marcata evidenza di essere non un protagonista ma una pedina sacrificabile. Come diceva giustamente la nostra Elisa nella recensione di Oppenheimer, non ci son eroi o cattivi, solo uomini e donne, creature di sangue, carne e passioni.
Ed ecco come la Storia di Oppenheimer diventa la storia di Oppenheimer. La trasformazione si compie nel momento in cui Nolan lega inesorabilmente la caduta interiore di Oppenheimer alla ragione di stato, alle ripicche del machiavellico Lewis Strauss (un superlativo Robert Downey Jr.), dando il colpo di grazia all’ego dello scienziato. Muoversi fluidamente nella vita di Oppenheimer consenta di creare un flusso narrativo simile più al thriller, in cui flashback e flashfoward diventano indizi svelati, sprazzi di umanità ferita e tagliente che cercano di emergere, contrastando con il disperato tentativo di Oppenheimer di richiudere il vaso di Pandora.
Apprezziamo ogni sfumatura tecnica di un maestro del medium come Nolan, ma non dimentichiamo di riconoscergli la sensibilità di narratore attento, soprattutto ora che, pur lavorando su una sceneggiatura non originale, ha saputo come ordire intrecci emotivi più saldi dei legami atomici, spezzandoli con la stessa intensità delle esplosioni che vediamo su schermo.
Il secondo atto di Oppenheimer è la reazione a catena di cui il fisico era tanto intimorito, ma non assistiamo a un’esplosione, bensì a un’implosione di un uomo che capisce come il Paese come ha cercato di servire lo stia tradendo (‘forse dovrebbe voltare le spalle al suo paese’ lo ammonisce un disincantato Einstein), schiacciato tra maccartismo e Guerra Fredda.
Non è un caso che delle due linee narrative che compongono Oppenheimer, quella riservata espressamente al fisico sia battezzata Fissione, un processo per decadimento, un progressivo sgretolarsi che diventa l’allegoria della caduta emotiva di Oppenheimer, che diventa un atomo malevolmente sgretolato, sezionato in una camera angusta e claustrofobico.
Oppenheimer e Strauss, due lati della stessa medaglia
Per gli inglesi evidenziare le pecche dell’american way è un sapore di cui non sono mai sazi, e Nolan assapora ogni istante. Fusione, il racconto bicromatico dedicato a Strauss, si basa sul principio divergente a indicare una spinta narrativa diametralmente opposta, più meschina e pragmatica, figlia della Storia scritta dai politici e dagli arrivisti. Downey Jr è maestoso nel mostrare la lenta rivelazione del ‘verso’ Strauss, animale politico e uomo meschino, rendendolo il nostro appiglio alla società americana del periodo, molto più di ogni altro personaggio.
È Strauss a darci il senso delle paure di Oppenheimer, è il suo lavorio nell’ombra a validare il rimorso di un uomo che cerca di salvare il mondo prima della sua fine, con idee che anticipano i tempi non per intuizioni da futurista, ma perché consapevole della pericolosità dell’animale uomo. La sua lotta vendicativa contro Oppenheimer viene presentata in bianco e nero per scelta precisa di Nolan, che vede in questo arco narrativo la Storia, quella oggettiva, contrapposta al colore della racconto emotivo, quasi soggettivo, della story line di Oppenheimer.
Emerge, quindi, nuovamente quella vena di cinica rassegnazione di Nolan che spesso traspare nei suoi film, una malinconica consapevolezza. A spezzare questa visione graffiante arriva, curiosamente proprio nella storyline dedicata a Strauss, un momento di speranza nella rivelazione di chi ha impedito, col proprio voto, l’ascesa del politicante: un giovane senatore, tale John F. Kennedy. Quel Kennedy, l’incarnazione del nuovo corso che, in un certo senso, ha salvato l'umanità, ispirando con il suo Ich bin ein Berliner una nazione e il mondo intero, pagandone il prezzo più alto.
Oppenheimer è Nolan che racconta la Storia alla sua maniera, con le sue regole, mescolando realtà e lisergica visionarietà, aprendo mondi nascosti nella mente dei suoi personaggi con cui interrogare le nostre coscienze. Andare al cinema, in questo caso, è quanto mai necessario, non solo per assaporare il medium nella sua forma più autentica, ma soprattutto per comprendere, per ascoltare dalla voce interiore della Storia come è nato il mondo in cui oggi viviamo, per evitare di desensibilizzarci, sperando che le ultime, inquietanti parole dell’Oppenheimer di Muprhy non diventino mai una profezia avveratasi.
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