RoboCop: vivere o morire a Detroit

Autore: Manuel Enrico ,

Il 17 luglio 1987 il futuro della lotta al crimine invase il grande schermo, con l'arrivo di RoboCop, il primo capitolo di una saga dedicata al poliziotto robotico di Detroit: un'interpretazione intrigante della fantascienza urbana, piena di adrenalina ma anche intrinsecamente inquietante e contemporanea. L'anima del film, che si rivelò il segreto del suo successo, non è mai stata replicata nei suoi seguiti. RoboCop era in parte uomo, in parte macchina, ma interamente simbolo di una legge dimenticata nei violenti sobborghi di una Detroit distopica. Queste poche parole sono sufficienti a identificare RoboCop, uno degli eroi principali degli action movie degli anni '80, incrocio tra la narrativa fantascientifica con sfumature cyberpunk e una critica alla società dell'America reaganiana, con i suoi tassi di violenza urbana che raggiungevano livelli tutt'altro che rassicuranti.

Una sorta di maledizione sembra essere associata non solo a RoboCop, ma anche al suo regista, Paul Verhoeven. L'acclamato cineasta olandese ha realizzato alcuni primi capitoli davvero promettenti, come Starship Troopers e Basic Instinct, ma i seguiti realizzati senza la sua partecipazione si sono rivelati al di sotto delle aspettative. Questa tendenza si è riflessa anche nei seguiti delle avventure del poliziotto robotico di Detroit, il cui mito è comunque sostenuto principalmente dal primo film.

RoboCop: vivi o morti, noi andremo a Detroit

L'origine di RoboCop è intimamente connessa al concetto fondamentale della fantascienza. Da sempre, la sci-fi ha offerto agli autori la possibilità di scrutare la realtà attraverso una lente libera, permettendo di evidenziare alcune delle criticità sociali più evidenti.

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Considerando il contesto degli anni '80 in America, non sorprende che il panorama cinematografico di fantascienza di quel periodo abbia dato vita a cult come Blade Runner, 1997: Fuga da New York e, naturalmente, RoboCop. Questa concezione narrativa è alla base stessa di RoboCop, probabilmente il film di quel decennio che più profondamente esplora le criticità dell'America, amplificandole per creare spettacolo, ma rimanendo uno specchio fedele dell'epoca.

Le origini di RoboCop

Il percorso iniziale per creare RoboCop ha avuto origine dalla curiosità di Edward Neumeier, sceneggiatore e story executive della Universal, il quale si è imbattuto casualmente in un film girato negli studi della Warner Bros, vicino al suo ufficio. Questa pellicola mostrava un poliziotto umano che inseguiva pericolosi androidi in una Los Angeles del futuro. Appassionato di fantascienza e avido lettore di fumetti, Neumeier ha visto un potenziale in quest'idea. Si è avvicinato alla produzione del cult Blade Runner, prendendo parte ai lavori in modo informale ma con grande interesse.

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È stato proprio durante questa intensa (e problematica) esperienza lavorativa che Neumeier ha avuto un'illuminazione, come successivamente raccontò a Dissolver:

Mi venne l’idea di un mondo lontano, sulla falsa riga di Blade Runner, in cui un poliziotto interamente meccanico riuscisse a maturare un’intelligenza umana

Va considerato che la rivoluzione della fantascienza cinematografica, iniziata nel 1977 con Star Wars, ha ispirato l'idea che il genere potesse portare grandi successi al botteghino, pur essendo una produzione estremamente costosa. Per un giovane sceneggiatore, la vera sfida era trovare una formula per creare un'atmosfera futuristica coinvolgente senza essere troppo dispendiosa.

Guidato da questo obiettivo, Neumeier ha continuato a sviluppare il suo progetto, attingendo anche a suggestioni del genere western, trasformando il protagonista in una sorta di eroe solitario che portava la legge in un ambiente in cui questa veniva costantemente disprezzata.

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Mentre Neumeier definiva ulteriormente la sua idea, ebbe l'opportunità di discuterne con Mike Miner, una giovane promessa del cinema desideroso di diventare regista. Quando Miner menzionò di essere coinvolto nella realizzazione di un video musicale con un robot come protagonista, Neumeier accennò al suo progetto, sperando di coinvolgerlo come regista. Alla fine, sebbene Miner sia diventato una parte essenziale nel processo creativo che ha plasmato il mondo di RoboCop, non ha assunto il ruolo di regista.

La stesura della sceneggiatura fu un lungo processo che portò alla formulazione della trama di RoboCop: The Future of Law. Si trattava di una storia ambiziosa proposta a diverse major, e Neumeier, desideroso di vedere il suo progetto realizzato, arrivò persino a rinunciare a un ruolo prestigioso all'interno della Universal Pictures. Dopo vari tentativi, si scelse di proporre il progetto alla Orion, una casa di produzione interessata a realizzare opere non soltanto mainstream, spesso collaborando anche con registi stranieri, come il giovane cineasta olandese Paul Verhoeven.

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La sceneggiatura di RoboCop fu inviata proprio a lui, convinti che avrebbe compreso lo spirito del progetto. Tuttavia, questa convinzione iniziale non trovò immediata conferma, come successivamente rivelò lo stesso regista alcuni anni dopo.

Onestamente, guardai la copertina, lessi RoboCop: Il Futuro delle Forze dell’Ordine e lo gettai in mezzo alla pila di altre sceneggiature

L'insistenza nel cercare un feedback spinse la moglie di Verhoeven a leggere la sceneggiatura, suscitando il suo interesse e spingendola a convincere il marito a dare una possibilità al progetto. Convinto dalla moglie, il regista si incontrò con gli sceneggiatori, esprimendo il desiderio di dare al film un tono più drammatico piuttosto che seguire l'approccio ironico inizialmente proposto.

Per aiutare Verhoeven a comprendere il mondo in cui il poliziotto robot avrebbe dovuto muoversi, Neumeier fornì al regista una vasta selezione di fumetti di fantascienza, in particolare quelli britannici, concentrati su opere come Judge Dredd e Rom, il cavaliere dello spazio. Sebbene il giudice di MegaCity non necessiti di presentazioni, la figura di Rom risulta più interessante: un eroe che, per salvare il proprio mondo, sceglie di trasferire la propria coscienza in un corpo robotico. Questi passaggi furono fondamentali per delineare il contesto sociale di RoboCop.

Il mondo di RoboCop

Era essenziale definire l'ambiente sociale in cui si sarebbe mosso il protagonista per conferire concretezza alla creazione di Neumeier, collocandola in una distopia non così distante, ma strettamente legata all'America dell'epoca.

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Neumeier desiderava dare vita a un contesto che avesse una forte risonanza con la realtà dell'America di quel periodo. I telegiornali di quegli anni riportavano frequentemente episodi di violenza, e l'idea che le forze dell'ordine non potessero più far fronte alla situazione rappresentava un'interessante suggestione narrativa. Non è un caso, dunque, che il primo intervento di RoboCop sia stato ispirato a un evento di cronaca reale. Questo approccio ha contribuito a conferire una connotazione autentica e rilevante al contesto sociale in cui si sviluppa la storia

La scena in cui RoboCop interviene per salvare la giunta comunale di Detroit da un ex consigliere impazzito ripropone fedelmente un evento avvenuto circa dieci anni prima a San Francisco, quando il politico locale Dan White assassinò il sindaco Moscone e il consigliere Harvey Milk. Per far riferimento a questo avvenimento storico, Neumeier fece consumare al suo criminale dei Twinkie, popolari dolci americani, poiché la difesa di White aveva tentato di giustificare la sua follia sostenendo che il consumo eccessivo di cibo spazzatura fosse una delle cause del suo comportamento. Tale linea difensiva passò alla storia con il nome di Twinkie Defense, un termine ancora utilizzato nei tribunali americani per indicare tentativi controversi di scusare o giustificare l'innocenza di un imputato attraverso motivazioni considerate poco plausibili.

Può sembrare una banalità, ma in questo passaggio si cela il nucleo critico di RoboCop. Attraverso influenze tipiche della cultura cyberpunk, la prima storia del poliziotto metallico di Detroit manifesta forti connessioni con le tematiche presenti nella letteratura di autori come Gibson e Sterling. Non solo per l'integrazione tra organico e sintetico, ma soprattutto per la costruzione di un ambiente urbano in cui si percepisce l'influenza economica delle multinazionali, a spese del potere dell'ordine costituito. È difficile non individuare nella colossale OCP (Omni Consumer Products) una versione statunitense delle zaibatsu, tematiche ricorrenti nella narrativa cyberpunk. Questa multinazionale non solo assume il controllo del corpo di polizia di Detroit, ma esercita anche un'influenza politica tale da imporre la propria visione sulla ristrutturazione urbana della metropoli americana.

Nella sceneggiatura di Neumeier e Miner, tutti questi aspetti prendono vita in modo vivido. Pur enfatizzati da una trama d'azione che amplifica gli aspetti meno lodevoli degli Stati Uniti dell'epoca, la storia di Alex Murphy diventa un'allegoria dell'America violenta e dominata da un consumismo esasperato, influenzata dalla presenza di programmi televisivi che plasmavano i gusti e le scelte del pubblico, come evidenziato dagli irriverenti spot inseriti nel film (una caratteristica poi ripresa da Verhoeven in Starship Troopers). RoboCop si inserisce tra i film degli anni '80 che oggi fungono da specchio per l'America iperconsumista, segnata da tensioni sociali particolarmente presenti nei quartieri periferici delle grandi città industriali.

Non è casuale che la storia sia ambientata a Detroit, epicentro dell'industria automobilistica americana e nucleo operaio profondamente influenzato dal potere predominante della OCP. Perché proprio Detroit? Secondo i creatori di RoboCop, un contesto urbano simile rappresentava il palcoscenico ideale per rappresentare l'attuazione delle politiche reaganiane. Tali politiche repubblicane miravano a una graduale privatizzazione di aspetti fondamentali della società, come l'assistenza sanitaria, i trasporti e persino le forze di polizia. È interessante notare come i tagli ai fondi per la polizia portino a una privatizzazione progressiva del dipartimento di Detroit, con agenti pronti a protestare. In sostanza, RoboCop incarna un'America in cui le politiche dell'era reaganiana hanno potuto prosperare senza restrizioni, riflettendo una visione distopica che richiama opere come 1997: Fuga da New York.

Alex Murphy, l'uomo dentro la macchina

Per enfatizzare queste tensioni sociali, era fondamentale avere un protagonista capace di incarnare queste stesse contraddizioni. Alex Murphy, il poliziotto diventato "proprietà" della OCP a seguito delle politiche sociali disastrose di Detroit, risultava perfetto per questo ruolo: un uomo di famiglia, integro, idealista e determinato a far rispettare la legge a qualsiasi costo. La sua trasformazione in RoboCop non è solo il motore narrativo del film, ma rappresenta l'incarnazione di come Verheiden concepisse l'eroe moderno.

Il regista aveva abbandonato l'idea dell'eroe perfetto, sviluppando un concetto più materiale in cui si delineavano personaggi reali, consapevoli che per fare del bene occorreva superare certi limiti morali. Questo concetto era incarnato anche dalla determinazione di Murphy nel bypassare i rigidi protocolli di programmazione imposti dalla OCP, mostrando come, dentro la macchina, ci fosse ancora un uomo capace di interpretare e agire di conseguenza. Questo tema, caro al cyberpunk, assumeva, secondo il regista Verhoeven, una connotazione cristologica, come da sua stessa ammissione, soprattutto in alcune scene come la morte e resurrezione di Murphy, concepite come un'allegoria cristiana.

Nel ruolo di questo personaggio complesso si è imposto Peter Weller, superando due attori già associati a interpretazioni di robot assassini diventati dei cult: Arnold Schwarzenegger, legato a Terminator, e Rutger Hauer, il Roy Batty di Blade Runner. Weller è stato scelto per il suo aspetto fisico snello, ma soprattutto per la sua mimica nella parte inferiore del volto, che ha ispirato il regista, conscio di quanto fosse essenziale per enfatizzare la sottile emotività del poliziotto robotico.

Weller giocò un ruolo cruciale nel rendere RoboCop un'icona. Inizialmente, si pensava di caratterizzare il modo di muoversi del personaggio attraverso movimenti bruschi, ma la difficoltà nell'indossare l'ingombrante armatura del poliziotto cibernetico spinse l'attore a sviluppare un'altra tipologia di movimenti, più adatta e diventata uno degli elementi distintivi del personaggio.

L'armatura di RoboCop era veramente massiccia, tanto che, nelle scene in cui l'agente della OCP si trovava in auto, si doveva evitare di riprendere la parte inferiore del corpo poiché Weller non indossava la parte inferiore del costume, altrimenti non sarebbe riuscito a stare nell'abitacolo. L'armatura, realizzata dall'esperto Rob Bottin, richiedeva più di dieci minuti per essere indossata e le temperature raggiunte all'interno erano così elevate che fu necessario installare un sistema di refrigerazione con una ventola. Per giorni, Weller fu costantemente raffreddato con ventilatori portatili tra una ripresa e l'altra.

RoboCop: tutti i film della saga

Dopo il primo Robocop, il successo del personaggio fu tale che la consuetudine hollywoodiana del periodo di sfruttare instant cult per dare vita a saghe rapide non mancò di coinvolgere anche il poliziotto di Detroit. 

Nonostante questo slancio, i seguiti non furono mai all'altezza della prima pellicola. Nemmeno il tentativo negli anni '90 di creare una serie dedicata a RoboCop ebbe particolare successo, sorte toccata anche al recente remake del primo film. Una debolezza che vede nel tradimento della visione di Verhoeven la causa di questa fragilità, che ha dato vita a storie che puntavano maggiormente a spettacolarità e violenza che non a dare risalto alle tematiche socio-culturali alla base del concept iniziale di Robocop.

RoboCop

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Robocop

Robocop - primo film della saga

Dopo esser stato vittima di un brutale assalto da parte di alcuni criminali, il poliziotto Alex Murphy, dopo l'acquisizione da parte della multinazionale COP del dipartimento di polizia di Detroit, diventa la cavia di un esperimento senza eguali: la creazione di RoboCop, il primo cyber-poliziotto. Nonostante la sicurezza di aver cancellato la memoria di Murphy, all'interno di RoboCop è ancora presente lo spirito dell'uomo, che lo porterà a ribellarsi alla cieca visione della OCP per tenere fede al suo giuramento di poliziotto: proteggere e servire.  

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RoboCop 3 - terzo film della saga

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RoboCop 2014 - remake originale

Siamo nel 2028. La Omnicorp, una società leader a livello globale nel campo della tecnologia robotica, trova un'occasione d'oro per guadagnare miliardi di dollari. Quando Alex Murphy, marito e padre premuroso che si adopera in tutti modi per combattere la dilagante ondata criminale di Detroit, viene ferito gravemente, la Omnicorp ne approfitta per costruire un agente di polizia formato in parte da un robot e in parte da un uomo in carne ed ossa. La società immagina un RoboCop in ogni città e non si fermerà davanti a nulla per far funzionare il suo piano, neanche davanti allo stesso Alex. Ma non ha considerato un fattore importante: dentro alla macchina c'è pur sempre un uomo.

L'eredità di RoboCop

Nonostante il forte sottotesto sociale, RoboCop ha lasciato un'impronta indelebile nell'immaginario collettivo, specialmente per il suo aspetto fantascientifico e il genere d'azione. Nonostante la produzione del film sia stata estremamente faticosa per l'attore Weller, la sua interpretazione convincente ha consacrato il personaggio del poliziotto robotico nell'Olimpo di Hollywood. Forse perché dietro la maschera del robot poliziotto si intravedeva uno spirito autentico, una visione precursoria di un possibile futuro. Questo potrebbe essere stato rafforzato dal fatto che nel 2013 Detroit ottenne il poco invidiabile titolo di città più pericolosa d'America, a causa dell'alto tasso di criminalità e della bancarotta dell'amministrazione cittadina.

RoboCop è diventato immediatamente un prodotto su cui capitalizzare al massimo. Prima ancora dei fallimentari seguiti, tra cui una serie televisiva, c'era un notevole interesse per questo personaggio, tanto che persino un maestro del fumetto come Frank Miller espresse interesse nel creare la sceneggiatura di un sequel. Nonostante questo progetto non sia mai stato realizzato, è stato in seguito riportato alla luce sotto forma di fumetto, disponibile anche in italiano grazie a saldaPress, nel volume Robocop di Frank Miller – Edizione Definitiva, il quale si integra con il filone narrativo di Vivo o Morto, ambientato anch'esso poco tempo dopo gli eventi del primo film.

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RoboCop. Vivo o morto (Vol. 1)

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Meglio tralasciare la deludente miniserie a fumetti ispirata al film realizzata dalla Marvel, anche se affidata a un maestro del calibro di Alan Grant. Quest'opera può essere considerata come una pagina molto negativa nella storia del personaggio (e forse anche dei fumetti in generale).


Escludendo il mondo dei videogiochi, che ha accolto prontamente il poliziotto robotico di Detroit in molte produzioni, è interessante notare come la popolarità raggiunta da RoboCop si sia estesa anche a un ambito sorprendente, quello dell'animazione per bambini. È innegabile che proprio l'alter ego robotico di Alex Murphy abbia ispirato Robopap (Gizmoduck nell'originale), l'identità supereroica di Fenton Paperconchiglia in Duck Tales, una serie animata della Disney uscita quasi contemporaneamente a RoboCop. Robopap condivide molti tratti con il personaggio interpretato da Weller, come il design, mentre altri elementi legati al mondo dei supereroi, come l'assemblaggio dell'armatura, sembrano richiamare caratteristiche tipiche dell'iconico Iron Man dei fumetti Marvel.

Le esperienze legate a questo film hanno avuto risvolti diversi per coloro che vi hanno preso parte. Peter Weller lo considerò la sua esperienza più impegnativa a causa dell'ingombrante armatura, mentre Verhoeven, in seguito, non nascose una certa insoddisfazione quando tornò a parlare del film, principalmente per le limitate risorse tecniche disponibili all'epoca della sua realizzazione. Nonostante ciò, RoboCop segnò un'importante tappa per il regista olandese, il quale tornò al genere della fantascienza nel 1990 con Atto di Forza e successivamente, in collaborazione con Neumeier, con Starship Troopers (1997), riaffermando un rapporto consolidato con il compositore delle musiche di RoboCop, Basil Poledouris (noto per opere come Un mercoledì da leoni, Caccia a Ottobre Rosso, Conan il distruttore). È interessante notare che Neumeier, grazie al suo lavoro nella creazione di RoboCop, venne assunto come consulente per progetti futuristici dall'U.S. Air Force.

Per gli appassionati di fantascienza cinematografica, RoboCop rimane ancora oggi un personaggio amato, degno di essere ricordato accanto ai grandi eroi degli action movie degli anni '80, celebre per il modo in cui impugnava la sua pistola d'ordinanza e per le indimenticabili battute con cui anticipava ogni arresto:

Vivo o morto, tu verrai con me

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