The Witcher: mostri, mutanti e imperi in guerra

Autore: Manuel Enrico ,

Due lame, una in argento per i mostri e una di ferro, per una minaccia ancora peggiore: gli umani. Sono queste le armi con cui Geralt di Rivia affronta la sua missione di cacciatore di mostri. Perché Geralt non è uomo qualsiasi, lui è uno strigo, un witcher, appartiene a un gruppo di uomini dotati di capacità sovrumane addestrati sin da piccoli al combattimento contro creature mostruose, con il compito di proteggere gli uomini comuni da questi esseri oscuri.

Le gesta di Geralt sono divenute leggenda, quantomeno nel nostro mondo, grazie alla fortunata saga di The Witcher, epopea fantasy che è riuscita a passare dal contesto letterario a quello videoludico, imponendosi come un cult immediato che ha spinto nientemeno che Netflix a lanciarsi nella produzione di una serie dedicata al cacciatore di mostri.

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Il primo, travolgente impatto di Geralt di Rivia sull’immaginario pop è avvenuto con il primo capitolo della versione videoludica del personaggio, realizzato da CD Projekt Red. Tuttavia, prima di associare il volto dello strigo a quello di Henry Cavill come ci ha insegnato Netflix, andrebbe riconosciuta al romanziere polaccio Andrzej Sapkowski la genesi di uno dei simboli del fantasy contemporaneo.

The Witcher: dalla saga letteraria alla serie di Netflix

Come è nato The Witcher?

Come spesso accade, la nascita di Geralt di Rivia avviene quasi per caso. Grande appassionato di letteratura fantasy, Sapkowski aveva seguito una carriera lavorativa tradizionale sino al 1985, anno in cui decide di testare la propria passione partecipando a un concorso indetto da Fantastyka, rivista di settore polacca.

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A spingerlo a questa sfida fu il figlio, lettore assiduo di Fantastyka, che incoraggia il padre a inviare il suo manoscritto di trenta pagine in cui viene presentato il racconto breve Lo strigo (o Wiedzim, in polacco), con cui il futuro scrittore rielabora una leggenda popolare, dove una principessa viene trasformata in un mostro come punizione per l’amore incestuoso dei suoi genitori.

Dopo un’attesa lunga un anno, Sapkowski scopre di essersi piazzato al terzo posto della competizione. Anziché gioirne, tuttavia, rimane abbastanza sconcertato di non aver vinto, consideratosi vittima di un preconcetto da parte della giuria: il fantasy è roba da ragazzini.

A radicarlo in questa sua convinzione è l’incredibile successo che Lo strigo ottiene con il pubblico, un ritorno che spinge l’ex venditore di pellicce a dare un futuro al proprio cacciatore di mostri.

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La scelta di Sapkowski fu quella, almeno in una prima fase, di continuare la narrazione sulla base di racconti che fossero rielaborazioni di storie del folklore tradizionale. Questo sviluppo di Geralt di Riva continua ad appassionare i lettori, che alimentano la sicurezza di Sapkowski, che nel 1990 riesce a pubblicare il primo libro di raccolte di racconti dedicati al suo strigo.

Lavorando su racconti brevi, per Sapkowski lo sviluppo di un’ambientazione coesa e approfondita non era al centro delle sue priorità. Contrariamente ad altri autori contemporanei come Sanderson, che per il suo Mistborn ha subito lavorato sulla cosmogonia del suo ciclo, Sapkowksi ha dato maggior concretezza alla dimensione avventurose del suo personaggio, lasciando che l’ambientazione fosse uno sfondo minimale.

Una visione decisamente chiara per Sapkowski:

Ho cominciato scrivendo storie breve, e non si crea un universo con le storie brevi, non c’è, letteralmente e metaforicamente, spazio in quei racconti. Passando a racconti più articolati, la necessità di un background più coerente divenne fondamentale. E lentamente, un passo alla volta, qualcosa che assomigliava a un universo stava prendendo forma. Ma rimaneva comunque in background, doveva avere un’importanza secondaria rispetto al protagonista

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Questa predominanza del protagonista rispecchia un rapporto estremamente stretto tra autore e creazione, che, almeno nelle prime fasi della vita di Geralt, era più emotivo che strutturale.

Per Sapkowski, il suo strigo era quasi un alter ego avventuroso, da utilizzare a piacimento, tanto che nel 1992 decise di omaggiare una coppia di amici regalando loro un racconto di The Witcher, Something Ends, Something Begins, ideato come un finale alternativo della saga dello strigo in cui Geralt infine sposa Yennefer.

Il mondo di The Witcher

La necessità di creare un’ambientazione coerente che divenisse più di un semplice sfondo si fece man mano più pressante per Sapkowski.

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L’evoluzione di Geralt di Rivia andava oltre il limite del racconto breve, dando vita a una progressiva continuity narrativa, in cui gli eventi che coinvolgevano il witcher fossero parte di una più articolata dimensione narrativa.

Se per i racconti brevi era stato sufficiente adattare delle leggende folkloristiche, il crescente successo del personaggio impose a Sapkowksi di creare un sistema sociale e culturale che fornisse un solido appoggio alle imprese di Geralt. Come testimoniano le opere di autori precedenti, nel dare vita a una nuova saga fantasy le ispirazioni tendono ad arrivare dal folklore precedente.

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La necessaria base di un fondamento immaginario per The Witcher ha spinto Sapkowski a non limitarsi alle tradizioni polacche, ma di rivolgersi anche a da altri spunti. Pur avendo un evidente legame con la mitologia slava, considerata ricca e in linea con i gusti dell’autore, Sapkowski decise di lasciare libera la propria fantasia.

Partendo da una base comune a lettori di diverse estrazioni folkloristica, diede vita a un serraglio di diversi esseri mostruosi in primis. Se da un lato alcune creature derivano da conoscenza condivise tra autore e lettori, Sapkowski ha creato anche esseri che siano ben inseriti nel mondo di The Witcher, mostrando un blando richiamo a elementi realistici, completando questa fauna con creature completamente creata da zero.

Seguendo questo principio, Sapkowski ha imbastito un mondo di stampo fantasy legato alla connotazione medioevale, creando un continente privo di nome in cui diversi regni e imperi sono in uno stato di continuo conflitto. Ispirandosi al periodo tardo-medioevale, in questa congiunzione sociale i confini sono in costante mutamento, impattando direttamente sul popolo basso, vittima tanto di creature mostruose quanto di meschini signori locali.

Sul piano politico, Sapkowki ha puntato a una caratterizzazione curata ma non primeggiante, lasciando che questo aspetto sia parte del mondo in cui si muove Geralt senza renderlo un cardine essenziale, come accaduto in altre saghe come Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco.

Pur animando un intrigante gioco politico che coinvolge congiure e macchinazioni nell’ombra, The Witcher riesce sempre a mantenere l’attenzione sulla componente umana di questo mondo.

Occasione per affrontare anche temi contemporanei, considerato come la presenze di altre specie diventa parte di un’allegoria sul razzismo. Elfi e nani, razze antiche presenti in queste terre da prima dell’arrivo degli uomini, sono state lentamente soppiantate dagli umani, che non hanno tardato a relegarli a mal tollerate presenza nella vita sociale.

Un contrasto che porta alla nascita di malumori e odi, che sfociano in movimenti di ribellione che mirano a detronizzare le grandi corone umane per ripristinare i regni originari, specialmente quello elfico.

Dai ghetti delle grandi città ai piccoli villaggi, elfi e nani cercando di preservare la propria identità culturale, sopportando le angherie degli umani, alcuni scegliendo di trarre quanti più vantaggi possibile da queste situazioni, altri alimentando un fuoco pronto a divampare.

Come ogni buon fantasy, anche in The Witcher non manca l’elemento magico. L’intuizione di Sapkowski è quella di rendere maghi e streghe non solamente esseri portatori di poteri preclusi ad altri, ma anche una sorta di forza politica.

Tramite la presenza di centri poteri gestiti dai più potenti maghi, infatti, viene estesa un’influenza nelle azioni dei governanti, supportati, o più spesso fermamente guidati, da maghi e streghe.

In tutto questo, Geralt di Rivia e i suoi simili sono un elemento di rottura. La presenza di creature mostruose che hanno invaso il Continente, in un evento perduto nel tempo noto come la Congiunzione delle Sfere che ha messo in contatto tra loro diversi mondi, ha fatto sì che queste nuove minacce richiedessero combattenti che sapessero fare loro fronte: gli strighi.

Come si diventa un Witcher?

L’origine del nome Witcher, tradotto spesso in italiano come strigo, affonda le proprie radici nella tradizione polacca, punto di partenza per Sapkowski. Per il suo cacciatore di mostri, l’autore ha preso il termine strega, o wiedzma in polacco, creandone una versione maschile, che dal polacco wiezdmin è divenuto strigo per i lettori italiani e ‘witcher’ per il mondo anglosassone.

A consacrare The Witcher come nome internazionale per Geralt è stata CD Projket Red, software house creatrice del videogioco tratto dai romanzi. Nonostante precedenti iterazioni dei personaggi in altri media avessero presentate diverse versioni del nome, come hexer, nel designare Geralt come witcher, il videogioco, grazie al suo straordinario successo, ha definitivamente sancito come il grande pubblico ha imparato a conoscere il personaggio.

Più articolata e completa la genesi epica del personaggio. Geralt di Rivia fa parte degli strighi, una casta di mercenari assoldati da villaggi o signorotti per affrontare minacce sovrannaturali o legate a bestie mostruose. Le origini degli strighi si perdono nel tempo e risalgono ai giorni successivi alla Congiunzione delle sfere, un evento che ha messo in contatto tra loro diversi mondi, consentendo di spostarsi tra di essi.

In questa occasione, creature mostruose hanno trovato la propria strada nel Continente, sorprendendone gli abitanti. Impreparati a questa invasione, gli umani e le altre razze furono salvati da un mago che, tramite un rituale, riuscì a conferire attraverso magia e pozioni ottenute da funghi mutageni dei poteri sovrumani a un guerriero.

Questa pratica, dimostratasi efficace, spinse a creare altri combattenti dediti alla caccia dei mostri. Tramite mutazioni indotte da magia ed elisir, cui si aggiunge un addestramento rigido a cui i futuri strighi vengono sottoposti sin dalla prima infanzia, si diede vita a una serie di congreghe di cacciatori di mostri.

La procedura utilizzate ha però come esito anche rendere impotenti gli strighi, oltre a conferire loro un aspetto inquietante. Nonostante siano dediti al salvare gli altri dai mostri, per questi motivi gli strighi sono chiamati ‘mostri’, vengono considerati una male necessario e il loro passaggio è accompagnato da odio e sospetto.

Considerata la necessità di avere sempre nuovi allievi per le loro congreghe, gli strighi accolgono nelle loro fila orfani e bambini indesiderati, ma nella concezione popolare in realtà i witcher non esitano a rapire bambini per nutrire le proprie fila.

In che ordine leggere i libri di The Witcher?

Seppure punto di partenza del mito di The Witcher, i libri di Andrzej Sapkowski sono stati a lungo un fenomeno editoriale solamente nel paese natale dell’autore. Il successo internazionale di Geralt è frutto, come per altri casi editoriali dell’Est Europa del calibro del Metroverso, è arrivato dopo l’uscita del primo videogioco.

Dopo una prima serie di racconti che seguivano in modo confuso le avventure di Geralt di Rivia, il progressivo interesse del pubblico spinse Sapkowski a creare una saga vera e propria, con una continuity più strutturata e in cui dare alla storia di Geralt sempre più solidità.

In Italia, i volumi di The Witcher sono editi da Editrice Nord. Per una lettura consapevole della saga, è consigliabile questo ordine di lettura:

  • Il guardiano degli innocenti
  • La spada del destino
  • Il sangue degli Elfi
  • Il tempo della guerra
  • Il battesimo del fuoco
  • La Torre della Rondine

Un personaggio come Geralt di Rivia non poteva certo rimanere prigioniero delle pagine di un libro, ma era destinato a raggiungere altri lidi del ricco mondo dell’entertainment.

La crossmedialità con cui sempre più spesso la cultura pop si confronta ha consentito a Geralt di conquistarsi uno spazio anche in un medium le cui meccaniche consentono di sviluppare al meglio la saga di The Witcher: il fumetto.

Dopo un primo passaggio nel mondo delle nuvole parlanti con una pubblicazione diffusa solamente in territorio polacco, il successo di The Witcher spinse altri editori a puntate alle potenzialità del personaggio. Dopo la Egmont, la casa editirce a dare maggior lustro a The Witcher è stata una veterana della crossmedialità: Dark Horse Comics.

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Celebre per avere già dato vita a saghe fumettistiche di amati cult della cultura pop, come Alien o Star Wars, Dark Horse Comics ha dato vita a una serie dedicata allo strigo di Sapkowski a partire dal 2014, una collana ancora in vita e che in Italia è disponibili grazie a Panini Comics.

I videogiochi di The Witcher

Se The Witcher è oggi un simbolo della cultura pop, il merito è di CD Projekt Red, software house che ha visto nel personaggio il perfetto eroe di un action RPG.

Dopo aver acquistato i diritti di Geralt dal suo creatore, CD Prokjekt Red ha realizzato un titolo divenuto un cult immediato, non solo per via della sua perfetta definizione dell’ambientazione, ma perché realizzato con una perizia incredibile, tanto sul piano grafico quanto su quello delle dinamiche di gioco.

Un successo che si è reiterato in altri due capitoli, The Witcher 2: Assassins of Kings (2011) e The Witcher 3: Wild Hunt (2015). Una saga videoludica capace di fare incetta di premi e generare un interesse incredibile da parte del settore, che ha visto in questi tre giochi un mondo fantastico dai toni adulti prendere una forma raramente sperimentata in precedenza.

Pur essendo ispirato alle opere di Sapkowski, la saga in pixel di The Witcher si concede alcune libertà. Pur ritrovando personaggi presenti nei racconti e assistendo a eventi noti ai lettori dei romanzi, quanto sperimentato sullo schermo rappresenta una variazione della storia immaginata da Sapkowski. Secondo l’autore, quanto raccontato da CD Projekt Red è considerabile come un seguito non ufficiale della saga letteraria, ma queste parole vanno considerate alla luce di un noto contrasto tra le due parti in causa.

Al momento della vendita dei diritti alla software house, Sapkowski aveva ceduto interamente i diritti di The Witcher per meno di diecimila dollari, rinunciando a eventuali royalties sulle vendite, convinto che il titolo non avrebbe mai avuto successo.

Sorpreso dall’inatteso successo del primo The Witcher, la prima mossa dello scrittore fu di avviare una campagna denigratoria ai danni del videogioco, accusandolo di non rendere merito alla sua creazione e criticando apertamente il lavoro di CD Projekt RED.

Il successo della versione digitale dello strigo era talmente solida che nemmeno le parole velenose del suo creatore lo scalfirono, spingendo Sapkowski prima a realizzare un nuovo romanzo della saga letteraria, accolto tiepidamente, e infine ad avviare un contenzioso legale contro la software house, chiedendo un risarcimento per mancato profitto legato ai guadagni legati ai videogiochi.

Causa ovviamente persa, ma che ha reso Sapkowski inviso ai fan di Geralt di Rivia, che considerano CD Projekt RED come il vero responsabile del successo del personaggio.

The Witcher di Netflix

L’incredibile impatto di The Witcher nel mondo letterario e soprattutto nel comparto videoludico non poteva lasciare indifferente il mondo della serialità televisiva. Nella sua continua ricerca di nuovo proposte, Netflix non ha mancato di vedere nella saga di Geralt di Rivia una potenzialità incredibile da sviluppare in una serie.

Affidandosi al carisma di Henry Cavill, il Superman dell’universo cinematografico DC da poco conclusosi con The Flash, Netflix ha portato sul piccolo schermo il mito di The Witcher. Per la creazione di questa serie si è deciso di non affidarsi alla più celebre declinazione videoludica del personaggio, ma si è puntato alla versione originale di Sapkowski.

Una scelta che si è estesa anche alla presenza della meccanica narrativa dei diversi salti temporali, che se era risultata complessa nelle prime letture del personaggio, nella sua dimensione televisiva si è  mostrata di ancora più difficile gestione. Dopo un’iniziale confusione da parte degli spettatori, che hanno criticato anche una non perfetta realizzazione degli effetti speciali.

La presenza di Cavill è stata tuttavia sufficiente a creare una grande curiosità per questa declinazione di The Witcher. Un’attenzione che ha spinto Netflix a non limitarsi alla serie, ma a sviluppare ben due spin-off, il film d’animazione Nightmare of the Wolf, che racconta del maestro di Geralt, Vesemir, e il film prequel Blood Origin, che si prefigge di svelare le origini dei rituali per creare i witcher.

A complicare il futuro della serie di The Witcher è arrivato l’abbandono di Henry Cavill, che dopo la terza stagione non sarà il più volto di Geralt. Si sono teorizzati diversi motivazioni per queste scelte, dalla sua speranza di essere nuovamente Superman nei film DC a contrasti con la produzione, soprattutto considerando come Cavill, noto appassionato del personaggio e nerd dichiarato, abbia sempre mostrato un fortissimo affetto per Geralt.

Ad ereditare le due spade dello strigo sarà Liam Hemsworth, che indosserà il medaglione di Geralt a partire dalla quarta stagione.

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