The Witcher 3, recensione: il sofferto addio di Cavill allo strigo di Netflix

La terza stagione di The Witcher segna l'addio di Henry Cavill allo strigo di Netflix, è stato un saluto amichevole o un sofferto commiato?

Autore: Manuel Enrico ,

Il lungo addio di Henry Cavill al ruolo di Geralt di Rivia si è completato con la seconda parte della secondaparte della terza stagione di The Witcher, arrivata su Netflix il 27 luglio. Un momento a lungo atteso dai fan della serie, già idealmente orfani del volto di Cavill dopo l’annuncio del suo ritiro dalla produzione negli scorsi mesi e rimasti spiazzati da una prima parte tutt'altro che entusiasmante . Un ultimo viaggio assieme, dunque, alla ricerca di un addio che sia al contempo saluto rispettoso agli appassionati e passaggio di consegne con l’erede designato, Liam Hemsworth.

Soprattutto considerato come il fandom non abbia accolto positivamente questa transizione. Dalla prima stagione, The Witcher si è inevitabilmente appoggiato alla fama di Cavill, che da Superman cinematografico si è tramutato in simbolo della nerd culture, svelando passioni che lo hanno avvicinato a questo mondo.

The Witcher 3, il lungo addio di Henry Cavill

Una dimostrazione ribadita dalla sua totale dedizione al ruolo, che lo ha spinto ad offrire un Geralt di Rivia appassionante e imperioso, capace di spiccare all’interno di una produzione che, va ammesso, non è stata sempre all’altezza delle aspettative.  

È stato Cavill a convincere il pubblico a rimanere legato alla serie, nonostante le prime due stagioni abbiano mostrato criticità importanti. Quanto fatto con la seconda stagione, nata sotto il Covid, aveva mostrato un timido tentativo di correggere la rotta, supportata anche da prodotti derivati come il film animato Night of the Wolf o la miniserie prequel Blood Origin. Netflix ha cercato in ogni modo di dare spessore a The Witcher, emancipandosi anche dalla figura di Cavill, ma la volitiva mascella del kryptoniano cinematografico é rimasto il vero punto di forza della serie.

Compito non semplice, considerato come la trama orizzontale della serie si è scontrata con una serie di criticità evidenti.

Pur riconoscendo che anche l’originale letterario firmato da Sapkowski abbiamo mostrato una certa fragilità in termini di coerenza e linearità, dall’adattamento seriale ci si sarebbe attesa una maggior coerenza e cura sotto questo aspetto.

Dopo aver superato la difficoltà della prima stagione, viziata da una mala gestione dei diversi orizzonti temporali, il successivo arco narrativo si è presentato come una più solida costruzione del mondo di The Witcher, portando Ciri al centro delle vicende, facendo emergere una prima crepa nel telaio narrativo che con il primo blocco di episodi della terza stagione diviene evidente: una mancanza di identità.

Per sua natura, The Witcher sposa le atmosfere di un fantasy lontano dalla tradizione e vicino alle suggestioni del folklore dell’Est Europa. Questo spunto dovrebbe rendere la produzione di Netflix un titolo capace di scardinare l’apparente maledizione del fantasy seriale attuale, in cui la ricerca di una forzata rielaborazione di opere letterarie, come dimostrato da La Ruota del Tempo. Anche nella sua iniziale, traballante incertezza, la prima stagione di The Witcher era riuscita a lasciarci l’illusione che le imprese di Geralt potessero divenire un nuovo punto di riferimento del fantastico su Netflix.

Dopo una seconda stagione che ha seriamente compromesso l’affetto dei fan dello strigo, c’era bisogno di una sferzata, di un momento in cui si tornasse a respirare quell’atmosfera di machiavellica tensione che dovrebbe dare il cambio alla più dinamica caccia al mostro.

Se la prima parte della terza stagione di The Witcher sembrava non avere bene a fuoco questo obiettivo, i capitoli conclusivi di questo arco narrativo mostrano un tentativo di correggere la rotta, ma la buona volontà degli sceneggiatori non trova, sfortunatamente, una lucidità narrativa tale da risollevare le sorti della saga. Il cuore della storia dovrebbe essere il destino di Ciri, sulla figura della giovane ruotano i destini di regni e imperi, tutto dovrebbe convergere su di lei. Ma questa centralità ci viene trasmessa con forza, risultando a tratti manichea, non trasmettendo invece la necessaria spontaneità di questo suo destino. La presenza di un intero episodio dedicato alla giovane non riesce a dare carisma a questa figura così centrale, ma anzi sembra una forzosa investitura di un ruolo fondamentale che dovrebbe, idealmente, acquisire maggior importanza nei prossimi eventi. Peccato che manchi una visione organizzata di come sviluppare questa crescita di Ciri, che risulta quasi sbrigativa. 

Ciri, Geralt e un destino sfocato

Colpa di una scrittura che non sembra ricordare come, in questa fase, The Witcher sia un racconto corale, e non più solamente il racconto della vita di Geralt. La colpa principale della serie Netflix è il cadere continuamente nella tentazione di ricondurre lo spettatore a Geralt privando altre figure chiave del giusto spazio per emergere.

Gli eventi sembrano muoversi su una narrazione schizofrenica, con repentini scatti che paiono stridenti, per la loro realizzazione. In un racconto corale di questo tipo, insomma, viene a mancare l’equilibrio delle diverse voci coinvolte, traspare una mancanza di lucidità che a lungo andare si fa sempre più assordante.

E il voler mettere sempre al centro Geralt, ironia del destino, complica ulteriormente questa precarietà. Lo spettatore si aspetterebbe di vedere lo strigo lottare contro mostri, affrontare avventure simili a quest epiche, invece Cavill ha poche occasioni in cui mostrare la sua vis da guerriero, venendo più utilizzato come elemento necessario per ricordare allo spettatore che questa è The Witcher, e non una serie misconosciuta.

Con buona pace del povero Cavill, che fino all’ultimo cerca di dare vita a un Geralt di Rivia vivido e credibile, ma che allo stesso tempo pare arrivare a un punto in cui anche la sua visione di appassionato di nerd culture lascia spazio alla delusione di un attore che sembra percepire l’assenza di vera passione dal resto della produzione.

E qui, si potrebbe aprire un dibattito su come sapere di essere prossimo all’abbandonare il suo ruolo possa avere influito sulla volontà di Cavill, o di come la consapevolezza da parte della troupe di perdere il volto del protagonista, il vero richiamo, possa segnare la fine di una serie nata sotto grandi auspici mai concretizzatisi.   

La conclusione della terza stagione di The Witcher rinforza i dubbi e i timori sul futuro della serie. Idealmente, gli eventi visti negli ultimi episodi dovrebbe ribaltare in modo evidente lo sviluppo della trama della serie, ma questo sconvolgimenti e i nuovi ruoli assunti da personaggi chiave di The Witcher rischiano di non venire degnamente caratterizzati all'interno di una scrittura sfocata e priva di personalità. 

Commento

Voto di Cpop

65
The Witcher 3 prosegue la narrazione della saga di Geralt di Rivia, legando le sorti dello strigo al destino di Ciri. Una narrazione spesso sincopata priva di lucidità, che vive grazie al carisma di Henry Cavill

Pro

  • Cavill è sempre credibile come Geralt
  • Coreografie dei combattimenti credibili

Contro

  • Poca lucidità nel ritmo narrativo
  • Mancanza di approfondimento per personaggi centrali
  • Conclusione di arco narrativo poco ispirata
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