Ogni volta che apri il catalogo Netflix vieni sopraffatto dalla vastità dell'offerta. Volevi vedere un film ma tra vecchie glorie e novità, non sai cosa guardare stasera? Lasciati consigliare da chi il cinema lo fa, guarda e premia da oltre 90 anni: l'Academy of Motion Picture Arts and Sciences, ovvero l'istituzione che ogni anno organizza gli Academy Awards, meglio noti come Oscar!
Non sempre le pellicole che hanno trionfato nella notte delle stelle si sono rivelate in grado di superare l'esame del tempo, anzi: alle volte è apparso da subito evidente che chi è tornato a casa con la statuetta non fosse il miglior film in competizione o dell'annata. Tuttavia vincere uno o più Oscar (soprattutto quello come miglior film e le quattro statuette delle categorie attoriali) è un avvenimento che ha un peso enorme nella carriera di chi fa cinema, che aiuta un film a entrare nella memoria collettiva globale. L'impatto è tanto forte che alle volte il malcapitato non riesce ad evitare "la maledizione" degli Oscar, ovvero l'incapacità di mantenere lo stesso livello grazie a cui si è raggiunto la vittoria.
Per meriti intrinsechi al film, per glamour, per aver rappresentato o segnato un'epoca o semplicemente per aver strappato la vittoria nell'annata di riferimento, questi 15 film sono rimasti nella memoria collettiva e hanno scritto un pezzetto di storia del cinema. Alcuni sono autentici capolavori da vedere assolutamente, altri sono discreti ma per esempio contengono interpretazioni memorabili che hanno (ri)lanciato carriere e star. Alcuni infine sono semplicemente "buoni" film, ma raccontano come nessun altro l'epoca in cui sono stati girati e in cui hanno vinto la statuetta.
Riscopriamo insieme - in rigoroso ordine alfabetico - questi 15 film vincitori di Oscar attualmente disponibili sul catalogo di Netflix, da vedere e rivedere:
- 12 anni schiavo
- American Beauty
- Chiamami col tuo nome
- Il discorso del re
- Il petroliere
- La teoria del tutto
- La grande scommessa
- Lei
- Ragazze interrotte
- The Hurt Locker
- The Social Network
- Se mi lasci ti cancello
- The Departed - Il bene e il male
- Whiplash
- Will Hunting - Genio ribelle
12 anni schiavo
Prima di Jordan Peele e Barry Jenkins, è stato il regista afroamericano Steve McQueen a bussare con forza sulla porta dell'Academy, anzi, a prenderla ad accettate, prima di abbattere il muro d'indifferenza e ostilità di una parte dei giurati verso le pellicole afroamericane. La sua arma di offesa e difesa è stato il bellissimo 12 anni schiavo, il terzo lungometraggio della sua nascente carriera, il primo incentrato sulla questione razziale.
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Basato sull'omonima autobiografica di Solomon Northup, il film è una grande opera di cinema ma anche un grande titolo di denuncia. Infatti s'inscrive nel tentativo di correggere un certo modo di raccontare gli anni precedenti alla guerra di secessione statunitense e alla successiva abolizione della schiavitù. La storia di questo musicista è esemplare per capire cosa volesse dire davvero per un nero vivere in America in quell'epoca. Il protagonista, pur in una società lontana dall'essere paritaria, vive da uomo libero a Saratoga Springs, nello stato progressista di New York. Qui verrà ingannato e rapito da due criminali, che lo imbarcheranno su una nave schiavista diretta negli stati confederati. L'uomo trascorrerà 12 anni d'inferno come schiavo in Louisiana, testimone e protagonista di atti terribili ai danni della popolazione afroamericana.
Doverosa premessa: nei suoi 134 minuti di durata, 12 anni schiavo non è mai un film leggero o facile. Tuttavia la straordinaria potenza visiva della regia di Steve McQueen e l'incredibile cast di interpreti bianchi e neri che impreziosisce il film (il protagonista Chiwetel Ejiofor, i crudelissimi Michael Fassbender, Benedict Cumberbatch e Paul Dano e la strepitosa Lupita Nyong'o) regalano a un film senza compromessi e senza facili soluzioni una forza che troverete in pochi altri film del catalogo Netflix. Quella della verità che è stata taciuta troppo al lungo e le cui lunghe radici sono alla base degli Stati Uniti di oggi.
Vinse tre Oscar, tra cui quello per miglior film, che consentì a Brad Pitt di vincere la sua prima statuetta in veste di produttore. Anche Lupita Nyong'o vinse come miglior attrice non protagonista, nell'anno che la incoronò come grande attrice e icona di stile a Hollywood.
American Beauty
American Beauty è davvero una pellicola che ha vinto l'Oscar come miglior film, segnando per sempre la sua epoca di riferimento. Non a caso il nuovo millennio cinematografico statunitense si aprì proprio con il lungometraggio di Sam Mendes che portava a casa 5 statuette (tra cui quella di miglior film), raccontando l'oscurità della società statunitense, appena nascosta sotto la superficie perbenista e fintamente normale.
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La storia di American Beauty è quella sempreverde della crisi della borghesia, ma rivista in ottica intrinsecamente statunitense. Sospeso tra Nabokov e Roth, il lungometraggio racconta dell'ossessione di un uomo maturo e padre di famiglia modello per una giovane adolescente bionda, bellissima e provocante. Il desiderio irresistibile verso la ragazza porterà tutte le inquietudini che ribollono all'interno della famiglia del protagonista a scoppiare in un finale di grande impatto. Insomma, allora come oggi (vedi il successo di 1917) il cinema di Sam Mendes si è sempre presentato come un di fattura autoriale eppure in grado di parlare a grande pubblico: American Beauty fu un enorme successo di critica, ma incasso anche qualcosa come 350 milioni di dollari.
Il suo impatto sull'immaginario collettivo è misurabile non solo grazie agli Oscar vinti (memorabile quello andato a Kevin Spacey per la sua intensa interpretazione drammatica) ma anche per il grandissimo numero di rifacimenti, citazioni e parodie delle sue due scene più iconiche: quella della ragazza sul soffitto circondata da un marea di petali di rose rosse e quella della registrazione del sacchetto di plastica che si solleva da terra vorticando, spinto dal vento.
Chiamami col tuo nome
Alla fine di una lunga campagna di promozione il film diretto da Luca Guadagnino si è portato a casa una sola statuetta, ma l'impatto cinematografico (e non) sui suoi protagonisti è stato enorme, epocale. A partire dallo stesso regista: aspramente criticato in patria e amato solo nelle nicchie cifinefile all'estero, dopo il successo di Chiamami col tuo nome il nome di Luca Guadagnino fa notizia ed è sempre al centro dell'attenzione. Si può dire senza remore che, grazie al successo di questo film, sia passato dall'essere quasi uno sconosciuto nel suo stesso paese ad essere nel ristretto gruppo di registi italiani viventi noti al grande pubblico internazionale.
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Che dire poi delle carriere dei due protagonisti, Armie Hammer e il giovanissimo Timothée Chalamet? Il primo Hollywood stava provando a lanciarlo come superstar di primo livello ormai da anni e senza grande successo, mentre il secondo da giovane promessa vista qua e là è diventato uno degli interpreti più richiesti, amati, pagati e apprezzati al mondo. I ruoli di Oliver e di Elio hanno condizionato e condizioneranno ancora a lungo le carriere e le vite dei loro protagonisti. Pazienza quindi se il film ha fruttato "solo" una statuetta, al suo sceneggiatore James Ivory (regista che a sua volta era andato molto vicino alla vittoria almeno un paio di volte con film a tematica queer).
Chiamami col tuo nome e la sua corsa agli Oscar hanno cambiato le vite di chi vi ha partecipato per sempre. A noi spettatori invece rimane uno dei migliori film a tematica queer di sempre, una grande storia d'amore e un lungometraggio che è entrato di diritto nel cuore degli spettatori. Anche se sono passati pochi anni dalla sua uscita in sala, vale già una seconda visione.
Il discorso del re
Che il film diretto in maniera più che discutibile da Tom Hopper sia uscito da vincitore sia nella categoria miglior film sia nella categoria miglior regia è stato oggetto di sconcerto generale e polemiche a non finire: Il discorso del re era ben lontano dall'essere il miglior film uscito nelle sale nel 2010. Si tratta del classico lungometraggio biografico di stampo vetusto, che spinge fino in fondo il pedale del patetismo, quasi costringendo lo spettatore a commuoversi di fronte alla storia travagliata e reale (particolare che aiuta sempre in zona Oscar) di re Giorgio VI, padre dell'attuale regina Elisabetta II.
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Il discorso del re racconta di un sovrano costretto a fronteggiare il difficile momento della discesa in guerra del Regno Unito durante la Seconda guerra mondiale, pur essendo un uomo timido e poco adatto a ricoprire un ruolo tanto gravoso, costretto a diventare re all'improvviso, quasi per caso, che non si tira indietro solo per senso del dovere.
Se il film non tracolla per colpa della mano pesante del suo regista il merito è soprattutto del suo squadrone di ottimi attori inglesi e in particolare di Colin Firth. L'attore ha vinto la statuetta (molto meritata) come migliore attore protagonista, proprio interpretando il re introverso e balbuziente alle prese con i discorsi via radio alla nazione. Coadiuvato dagli ottimi Geoffrey Rush e Helena Bonham Carter, l'attore britannico è finalmente riuscito a strappare la statuetta dopo la prima nomination ottenuta due anni prima per A Single Man.
Il petroliere
Oro nero e sangue si mescolano nel potentissimo Il petroliere (titolo originale There will be blood) un film capace di raccontare l'anima stessa degli Stati Uniti a partire dai due elementi base che la costituiscono: da una parte il profitto caposaldo del capitalismo, dall'altra la fede, amministrata in comunità che sfiorano il fanatismo e che non sono immuni alle logiche del denaro.
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Ne Il petroliere si incontrano e scontrano un giovane predicatore e un abile affarista. Il pretesto iniziale è la contesa su un terreno in cui si nasconde un incredibile giacimento di petrolio, ma ben presto nel gorgo della rivalità tra i due uomini affiornano tante zone grigie, in cui si affacciano contese bibliche, la tensione del thriller più puro, cupe atmosfere western e il cinema di un regista osannato come Paul Thomas Anderson nella sua forma migliore.
Il film portò a casa due sole statuette - tra cui una per l'epocale interpretazione di Daniel Day-Lewis nei panni del petroliere del titolo - ma non c'è un solo fotogramma fuori posto in questo durissimo, potente film, considerato tra i migliori degli ultimi 20 anni. Attenzione anche alla performance di Paul Dano che dava un'ottima interpretazione anche in 12 anni schiavo e che forse non ha ancora trovato il ruolo che lo consacri come grande attore qual è presso il pubblico.
La teoria del tutto
La coppia perfetta la si riconosce non tanto nei momenti felici, ma piuttosto in quelli difficili. Seppur in misura minore, per La teoria del tutto vale lo stesso discorso fatto per Il discorso del re. Il lungometraggio è un film di stampo autobiografico molto tradizionale, che racconta la storia accademica e personale di Stephen Hawking. Il lungometraggio si concentra sugli anni in cui il brillante studioso scoprì di soffrire di atrofia muscolare progressiva e su come l'uomo abbia lottato contro la grave malattia grazie all'insostituibile sostegno della moglie, fino ad affermarsi in campo scientifico, superando numerose crisi personali e difficoltà pratiche.
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Funziona come storia vera, come film biografico ma anche e soprattutto come grande storia d'amore. Delle 5 candidature raccolte nel 2015, il film riuscì a concretizzare solo quella relativa al miglior attore protagonista. Aiutato dall'ottima Felicity Jones (anch'essa nominata all'Oscar), l'attore inglese Eddie Redmayne è riuscito a conquistare la statuetta per la sua interpretazione molto fedele (dalla voce alla postura) del celebre astrofisico protagonista del film.
Una curiosità: un anno più tardi l'attore conquistò un'altra nomination per la sua performance in The Danish Girl, film diretto da Tom Hopper.
La grande scommessa
Come da tradizione dell'Academy, La grande scommessa si è portato a casa solo una statuetta: quella di miglior sceneggiatura originale. Ormai da anni è chiaro che l'ala conservatrice dei votanti è restia ad assegnare i premi più importanti a film molto innovativi e magari anche scorretti, preferendo dirottarli su categorie come appunto quelle della sceneggiatura. Si potrebbe quasi dire che una vittoria qui equivalga a una sorta di Miglior film innovativo, o quanto meno troppo innovativo per i gusti l'Academy.
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La grande scommessa è diventato una sorta di alter ego della sua stessa trama. Nel film Christian Bale, Steve Carell, Ryan Gosling e Brad Pitt interpretano un gruppo di investitori che intuirono con un certo anticipo che sarebbe scoppiata la crisi finanziaria del 2008 e, dopo essersi tutelati, tentarono persino di fa scoppiare l'allarme, restando inascoltati. Allora decidono di scommettere contro l'economia americana e contro il sistema bancario, sostenendo che alla base della concessione di mutui alle persone che comprano casa ci sia un sistema fraudolento. Basato su un romanzo, il film riesce a restituire in maniera brillante le paradossali storture del sistema capitalistico mondiale, denunciando come dopo quella crisi nulla sia cambiato e tutto possa di nuovo essere distrutto allo scoppio della prossima bolla finanziaria.
A distanza di qualche anno La grande scommessa si è rivelato un film particolarmente influente per come abbia deciso di raccontare una complessa storia vera con un taglio personale, graffiante e un montaggio forsennato, che dona al film un ritmo incalzante. Sono davvero tanti i film che hanno preso in prestito questo approccio e anche Adam McKay stesso lo ha replicato, come per esempio nel notevole Le ragazze di Wall Street - Business Is Business, da lui prodotto.
Insomma, senza che nessuno se ne accorgesse, La grande scommessa è diventato un film anticipatore di un nuovo approccio di raccontare storie vere e dal contenuto "tecnico" complesso, rielaborando quell'approccio personale e graffiante proprio di Michael Moore.
Lei
La fantascienza può essere emozionale, calda, organica e filosofica: lo ha provato ancora una volta Spike Jonze con l'intenso e riflessivo Lei, che nel 2014 si è portato a casa la statuetta come Miglior sceneggiatura originale. Il mondo in cui si muovono il protagonista Theodore interpretato da Joaquin Phoenix e le tre donne che incrociano la sua strada Amy Adams, Rooney Mara (che quest'anno agli Oscar era al fianco di Phoenix come compagna) e Olivia Wilde non sembra molto diverso dal nostro, se non per la raffinatezza raggiunta dall'intelligenza artificiale.
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Al lancio di un innovativo assistente vocale in grado sviluppare emozioni partecipa anche il protagonista del film. La sua Lei è la versione futuribile di Siri e Cortana, capace di discorsi e interazioni complesse, con la carezzevole e dolce voce di Scarlett Johansson. Ben presto però il coinvolgimento emotivo del protagonista non può più essere liquidato come superficiale, grazie a una voce che gli scava dentro e fa affiorare di fronte allo spettatore tutte le insicurezze, i piccoli traumi e gli egoismi che hanno fatto naufragare le sue precedenti relazioni amorose.
Lei è un film fantascientifico riflessivo, acuto e pieno di compassione, che dà sostanza e dignità persino alla componente artificiale del film immaginando un futuro solare, organico, colorato e materico per l'umanità. Insomma, se avete voglia di un film fantascientifico e di una pellicola che dia speranza senza però scadere nel vuoto ottimismo di facciata, è il film che fa per voi. Una curiosità: all'epoca si parla di una possibile candidatura anche per Scarlett Johansson, che nel film non appare mai, per l'ottimo lavoro fatto solo con la sua voce nel tratteggiare la protagonista artificiale del film.
Ragazze interrotte
Basato sul diario della vera protagonista della vicenda, Ragazze interrotte racconta il mondo degli ospedali psichiatrici femminili negli anni '60, dove s'intrecciano malattia mentale e rifiuto sociale verso la diversità. In uno di questi istituti finirà anche Susanna Kaysen (Winona Ryder), dopo un goffo tentativo di suicidio fallito. Qui la ragazza vivrà a stretto contatto con le ospiti della clinica Claymoore, dove vengono affrontati un largo spettro di casi: dall'anoressia alla sociopatia. A soffrire di quest'ultima è la carismatica, bellissima Lisa (Angelina Jolie), vera leader del gruppo. Il film è incentrato sull'amicizia che si sviluppa tra Susanna e Lisa, oltre che sul percorso di riconoscimento delle proprie difficoltà della protagonista.
Ragazze interrotte racconta una bella storia di amicizia in un periodo difficile per gli Stati Uniti, in cui il disagio mentale era ancora un enorme stigma sociale. Non è certo il miglior film sull'argomento, ma rimane un titolo di riferimento per capire cosa fosse il cinema americano negli anni '90, tra tentativi di denuncia sociale e tante ingenuità. A rimanere nella storia è stato soprattutto l'Oscar vinto da Angelina Jolie, che ebbe la sua prima consacrazione proprio nel 1999: tutti rimasero rapiti dal magnetismo dell'interprete, e l'Oscar arrivò subito, dirompente.
The Hurt Locker
Kathryn Bigelow è stata la prima (e per ora unica) donna a vincere un Oscar per la miglior regia e nessuno può contestarle di averlo fatto con un film "da femmina". Anzi: The Hurt Locker sembra pensato per dimostrare al mondo quanto possa essere una dura la regista, che da tempo di occupa di tematiche sociali pressanti e dell'impegno militare statunitense nei paesi mediorientali. The Hurt Locker infatti è stato scritto dal giornalista di guerra Mark Boal, che ha seguito per lungo tempo i militari statunitensi impegnati in Iraq. Il film racconta con grande realismo l'addestramento, i pericoli e la vita quotidiana di un gruppo esperti di rimozione mine e disinnesco di ordigni impegnati su suolo iracheno.
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Se il pinnacolo della carriera recente di Bigelow rimane il successivo Zero Dark Thirty, The Hurt Locker è la prova generale per quel film, capace di portarsi a casa sei premi Oscar, tra cui miglior regia e miglior film. Bigelow è l'assoluta artefice di questo successo: The Hurt Locker è un film indipendente e a basso budget, realizzato grazie alla sua tenacia, che si è scontrato (uscendone vincitore) con i grandi blockbuster in competizione per l'Oscar nel 2009.
È anche un ottimo rappresentante di un certo filone militare rifiorito proprio negli anni del ritorno dei soldati americani in Medio Oriente. Nel tempo però il realismo crepuscolare di pellicole come The Hurt Locker è stato sostituito dall'incalzante patriottismo di pellicole come Lone Survivor di Peter Berg.
The Social Network
Sono passati 10 anni dall'uscita nelle sale di The Social Network eppure l'impatto che il film di David Fincher ha avuto sull'immaginario collettivo (a partire dalla sempre molto parodiata locandina del film) non accenna a diminuire. Eppure all'epoca il film portò a casa solo 3 statuette, tra cui quella di miglior sceneggiatura non originale. Scritto da Aaron Sorkin a partire da una biografia non autorizzata del fondatore di Facebook e diretto da David Fincher, The Social Network si è rivelato, anno dopo anno, profetico nell'illuminare le zone d'ombra del successo economico della creatura di Mark Zuckerberg, Facebook.
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Quando il miliardario è finito sul banco degli accusati nel processo riguardante la (s)vendita dei dati degli utenti di Facebook a grandi compagnie o a entità interessate a influenzare le elezioni, è stato impossibile non pensare all'iconico film di Fincher, che pur romanzando molto ha saputo catturare con grande efficacia il mix di privilegio, arroganza e insicurezze alla base di alcune delle grandi storie di successo della Silicon Valley.
The Social Network è anche un film strepitoso, cadenzato da una colonna sonora perfetta, capace di scene incredibili come quella della regata di Henley ma anche di momenti intimi indimenticabili che raccontano la solitudine di chi si sente migliore delle persone intorno a sé. Un gioiello che racconta la contemporaneità e che non è invecchiato di un giorno, da vedere assolutamente.
Se mi lasci ti cancello
Lo struggente film di Michel Gondry in Italia è passato alla storia anche per il titolo truffaldino che tentò di nascondere al pubblico le ambizioni liriche ed esistenzialiste di Eternal Sunshine of the Spotless Mind. Nel 2005 il film fruttò allo scrittore Charlie Kaufman - grande specialista di storie psicologiche e visionarie - un Oscar alla miglior sceneggiatura.
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A distanza di 15 anni si può ben dire che la struggente storia d'amore raccontata nella pellicola di Gondry - in perenne equilibrio tra racconto sentimentale, profilo psicologico e fantascienza - sia stata in largo anticipo sui tempi. Se mi lasci ti cancello è un film che parla al presente ancor più di quanto facesse nell'anno di uscita, benedetto dalle interpretazioni assolutamente perfette del duo di protagonisti Jim Carrey e Kate Winslet, segnando uno dei pinnacoli della loro carriera. In particolare questo fu il film che dimostrò ancora una volta quanto il comico irriverente degli anni '90 Carrey avesse anche la stoffa dell'interprete drammatico.
Con Lei forma una sorta di duo fantascientifico psicologico perfetto, che nel parlare d'amore finisce soprattutto per delineare le insicurezze personali che pongono fine alle relazioni sociali. Se mi lasci ti cancello è una grande riflessione sulla memoria e sugli insegnamenti che traiamo dal dolore e dalle esperienze difficili, che fanno parte di noi tanto quanto i momenti felici. Se all'uscita non conquisto il pubblico fino in fondo, negli anni è diventato un autentico cult dal seguito crescente. Da subito invece è entrata nella storia la scena visionaria del "viaggio" a bordo del letto del protagonista.
The Departed - Il bene e il male
L'aspetto più incredibile della carriera di Martin Scorsese è quanto il regista sia capace di tirare fuori dal cappello film straordinari a pochi anni di distanza l'uno dall'altro. Nel 2020 è stato il turno del bellissimo ma non premiato The Irishman, nel 2006 invece il remake di Infernal Affairs portò a casa quattro statuette, tra cui miglior film e miglior regia. Cast portentoso capitanato da un Leonardo DiCaprio a caccia di Oscar e formato da Jack Nicholson, Matt Damon, Vera Farmiga, Mark Wahlberg e Martin Sheen,, The Departed racconta il mondo della criminalità organizzata con un susseguirsi di colpi di scena e tradimenti che vi terranno incollati al divano per tutta la sua durata.
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A fronteggiarsi nel film - ambientato nel mondo della mala di Boston - sono un poliziotto sotto copertura e un pericoloso esponente della malavita irlandese. Ben presto però la situazione si fa ambigua e si creano legami umani inaspettati, mentre l'operazione sotto copertura sfugge di mano al suo protagonista, fino alle sue drammatiche conseguenze.
The Departed è l'ennesimo tassello pregevole della filmografia di Scorsese, un classico del genere criminale quindi fuori dal tempo, perfetto oggi come lo era allora. Allora si parlò molto della pellicole per le incredibili performance di DiCaprio e Nicholson, ma zitto zitto anche il controverso attore Mark Wahlberg fu in grado di spuntare una nomination.
Whiplash
Prima del romantico La La Land, Damien Chazelle si era già fatto notare portando la musica jazz al cinema, sì, ma con un film radicalmente differente. Tanto il musical La La Land è popolato di toni e colori tra il romantico e il malinconico, tanto Whiplash è sferzante, duro, irriverente e decisamente scorretto. Nel 2015 il film si portò a casa tre statuette, tra cui quella per l'iconica interpretazione di J. K. Simmons.
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Whiplash è una sorta di racconto di formazione anticlimatico, sulla scia di classici del genere come Saranno Famosi. C'è un allievo batterista, c'è un insegnante leggendario per la sua tirannia e nel mezzo c'è la musica jazz. Whiplash è la storia dell'epico scontro tra due ego ipertrofici, con un ritmo così incalzante e un umorismo così sferzante che sembra voler fare a pezzi gli stilemi del genere.
Impossibile non rimanere atterriti e al contempo divertiti dalla cattiveria con cui l'insegnante interpretato da J. K. Simmons demolisce sistematicamente le aspirazioni dei suoi allievi, con un paio di scene e monologhi divenuti iconici per la sua inventiva nel tormentare i poveri studenti di cui si occupa. Anche Miles Teller però da un'interpretazione altrettanto sfaccettata e memorabile.
Se La La Land non va al vostro tempo e lo trovate un po' stucchevole nelle sue soluzioni e nei suoi toni, vi conviene dare una chance alla prima pellicola che ha fatto notare il regista e cultore di musica jazz Damien Chazelle.
Will Hunting - Genio ribelle
Fu una delle vittorie più incredibili della storia degli Oscar: nel 1997 due attori giovani e promettenti di nome Matt Damon e Ben Affleck - uniti da una leggendaria amicizia che dura ancor oggi - scrivono un film sulla storia di un ragazzo prodigio costretto a fare lavoretti per sopravvivere, pur avendo capacità analitiche e matematiche uniche. Notato da un insegnante del MIT, verrà affiancato da uno psicologo, interpretato da Robin Williams. Il film racconta il tentativo di superare i tanti blocchi che il giovane uomo s'impone e di smussare il carattere ribelle che la solitudine che sente dentro ha amplificato.
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Il film, diretto da un regista insospettabile come Gus Van Sant, diventa un campione del botteghino e porta all'Oscar il duo di amici, oltre che a Robin Williams come attore non protagonista. Negli anni è invecchiato - e molto - ma rimane una pellicola davvero iconica per raccontare il cinema statunitense da Oscar degli anni '90, alle prese con una generazione che sullo schermo fatica a trovare una voce per esprimere il suo disagio.
In coppia con Ragazze interrotte forma un duetto perfetto per una serata all'insegna delle stelle del cinema che hanno cominciato a brillare negli anni '90 e che splendono ancora oggi.
In cerca di ulteriori consigli di visione dalle piattaforme streaming? Se cercate un titolo più adrenalinico e tensivo, potete dare un'occhiata anche ai film su Netflix a tema spionaggio, oppure provare a spulciare la lista delle pellicole francesi imperdibili ora disponibili su RaiPlay.
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