The Eddy: lo sperimentalismo del finale della serie con André Holland

André Holland è il pianista jazz Elliot Udo in The Eddy, la serie Netflix diretta da quattro registi, tra cui anche il premio Oscar Damien Chazelle. Il finale anticonvenzionale è forse il suo tratto più distintivo.

Autore: Claudio Rugiero ,

Su Netflix è disponibile #The Eddy. Arrivata online venerdì 8 maggio 2020, la serie in otto parti segue le vicende del pianista jazz Elliot Udo (André Holland) e del suo club e si chiude con un finale anticonvenzionale che approfondiremo meglio nel corso di questo articolo.

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Dietro questo progetto si cela la direzione di ben quattro registi che si alternano dietro la macchina da presa nel corso delle puntate: il premio Oscar Damien Chazelle (La La Land), Houda Benyamina (Divines), Alan Poul (Six Feet Under) e Laïla Marrakchi (Le Bureau - Sotto copertura). Probabilmente però il nome più facile da collegare a The Eddy è quello di Chazelle, questo perché i primi rumours su una serie Netflix con André Holland e Joanna Kulig risalgono all'incirca alla prima veneziana de Il primo uomo. Senza dimenticare che una delle locandine più note ci mostra il protagonista ritratto al piano in una posa identica a quella di Sebastian in una popolare scena di La La Land.

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André Holland ritratto al piano come Sebastian di La La Land nella locandina di The Eddy

In realtà, The Eddy è un'operazione altamente sperimentale in cui vengono combinati gli stili dei quattro cineasti coinvolti e la stessa scrittura non segue regole canoniche. Probabilmente è anche per questo che il giudizio sui risultati ottenuti può essere divisivo.

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In effetti, fin dal rilascio del primo trailer ufficiale avevamo avuto ben chiaro quello che sarebbe stato The Eddy: un prodotto cioè in cui il tratto pittoresco di Chazelle vira verso una piega più realista e tipica del cinema francese (evidentemente frutto dell'incontro con la Marrakchi e la Benyamina).

Contrariamente al Sebastian di La La Land, in The Eddy Elliot Udo non va in giro proclamando il suo amore per il jazz. Questo perché  lui non sogna di vivere di jazz, lui vive effettivamente di jazz, sebbene non si esibisca al piano da più di quattro anni. Non siamo più nella dimensione del sogno speranzoso, ma in quella disperata della realtà.

Il titolo della serie prende nome dal club che Elliot gestisce insieme al suo socio Farid (Tahar Rahim). Il locale si trova nella Parigi ai margini, non quella scintillante, ma più ruvida e dolorosa. È un mondo di irregolari e di immigrati, uniti soltanto dalla musica e dal denaro che non basta mai. Nonostante la realtà rappresentata - in cui nessuno sembra felice, eccetto Farid, marito devoto e padre premuroso - emergono barlumi di speranza.

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Ogni episodio è incentrato su un personaggio diverso (e del quale porta il nome) e ruota su tematiche abbastanza difficili: l'abuso di droghe, la povertà e altri disagi a cui è sottoposto il musicista itinerante.

Dopo il penultimo episodio, intitolato Katarina e incentrato sul personaggio di Lada Obradovic, arriviamo alla conclusione di questa narrazione e l'ottava puntata, intitolata The Eddy, riguarda quindi un po' tutti e ribadisce definitivamente la coralità del racconto. È la puntata in cui convergono tutti gli snodi narrativi visti negli episodi precedenti, dall'assassinio di Farid al complicato rapporto padre-figlia con tanto di madre della ragazza pronta a portarla via, passando per l'abbandono del piano di Elliot.

Netflix
Joanna Kulig si esibisce con la band in una scena di The Eddy

Il finale della prima stagione

Come abbiamo visto, la trama drammatica si intreccia con la linea crime che prende avvio dall'omicidio di Farid e sull'impatto che questo ha sugli altri personaggi: il The Eddy sembra infatti essere nel mirino di un pericoloso nemico, Sami (Dhafer L'Abidine), che terrorizza innanzitutto Amira (Leïla Bekhti), la vedova di Farid. Tuttavia, questa sottotrama appare così poco approfondita e ben oltre il secondo piano, una scelta che può forse risultare destabilizzante, ma che di fatto conferma la sperimentalità dell'opera.

Un importante spunto di riflessione sul finale delle serie arriva dalle parole dello sceneggiatore Jack Thorne (His Dark Materials) in un'intervista rilasciata a Entertainment Weekly:

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La cosa importante per me era lavorare alle storie dei personaggi. Il crimine non è mai stato al centro della serie per me. Non è mai stata una serie crime. Era incentrata fin dall'inizio sui musicisti e in particolare sui musicisti di Parigi, ed era una storia su quella parte di Parigi.

In effetti il finale è incentrato su diversi personaggi, in particolare Maja (Joanna Kulig), con storie non finite, ma dà anche ampio spazio alla relazione tra Elliot e Julie (Amandla Stenberg), che emerge come il vero cuore della narrazione:

Un'importante risoluzione è stata tra Elliot e Julie - era una storia di maturità per loro due, stavano mettendosi in proprio e scoprendo sé stessi, erano pronti ad essere persone nuove, a fare pace con sé stessi e a prendersi cura l'uno dell'altra e della band - e questo è nella serie.

Alla trama crime... non ci siamo mai legati.

Come sopra accennato, nell'ultima puntata arrivano Alison (Melissa George), la madre di Julie, e Scott (Richard Keep), il patrigno, con l'intenzione di riportare la ragazza a New York. Per Elliot e Allison è l'ora dello scontro, ma Julie decide di restare. Il momento in cui padre e figlia si esibiscono insieme segna la loro pacificazione, poi irrompe Amira con tutta la trama crime che si porta dietro.

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Passato questo momento, la narrazione prosegue prima con Elliot e si conclude poi con una reunion di tutti i personaggi. Senza più un posto dove esibirsi, la Eddy Band si ritrova in un bar dall'altra parte della strada. Molte domande rimangono quindi sostanzialmente aperte: è stato davvero Sami ad ordinare l'assassinio di Farid? Cosa faranno ora Elliot e Amira per vendicarlo? Quale impatto avrà su Elliot, in ritiro da quattro anni, la sua performance musicale con Julie? Che ne sarà ora dei nostri eroi?

Anche qui viene in mente una dichiarazione di Thorne:

Lavorare sull'evoluzione dei personaggi sembrava più importante che rispondere a quel tipo di domande o fornire quel tipo di risoluzione.

Quindi, il finale sembra rispondere più all'esigenza di sperimentazione rivendicata dalla serie che ad una conclusione in senso stretto, mentre l'incursione della trama crime è stata vista da Thorne più come un gioco narrativo. Probabilmente non tutti resteranno soddisfatti da questa conclusione e qualcuno magari premerà per la seconda stagione.

Voi cosa ne pensate? Vi è piaciuta The Eddy? Vedreste un seguito?

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