Un mutante addestrato sin da bambino a uccidere mostri su commissione. È così che definiscono uno Strigo ed è questo il destino che è stato scelto per Geralt di Rivia. Non mettetevi comodi però, nella sua storia non c’è una casa a cui tornare, né una serenità famigliare perduta o da ricostruire, né un grandioso fine ultimo da raggiungere. Non c’è mai stato e mai ci sarà qualcosa del genere. Ciò che troverete sono solo chilometri su chilometri di strade polverose e boschi fitti a non finire, da percorrere a dorso di cavallo, con i morsi della fame che spesso non lasciano tregua e un’infinita tristezza nel cuore che non vi abbandona mai, nonostante i tentativi di soffocarla. Iniziamo il viaggio nel mondo di The Witcher con la recensione de Il Guardiano degli Innocenti.
Come il Decamerone, tutto ruota intorno ai racconti
Il Guardiano degli Innocenti è la raccolta di racconti, scritta da Andrzej Sapkowski, che apre la saga dello Strigo Geralt. Iniziare una grande narrazione come questa partendo dai racconti è una scelta inconsueta, che rischia di frammentare troppo la storia e, di conseguenza, scoraggiare qualche lettore sin dal principio. Eppure, proprio per la natura del personaggio, questa si rivela essere una base efficace da cui partire. Geralt è un vagabondo e passa la sua vita viaggiando da un paese all’altro, apparentemente solo alla ricerca di un lavoro da compiere e quindi di un nuovo mostro da uccidere in cambio di denaro. Arrivati già al secondo racconto ci sarà però ben chiaro che il suo scopo non è soltanto quello di guadagnarsi da vivere, ma la ricerca di qualcosa di più profondo per riempire un vuoto interiore.
Seguire i passi disconnessi di uno Strigo può sembrare complesso ma invece è un’ottima strategia per venire a conoscenza di un mondo e di popoli intrinsecamente divisi. Geralt è testimone silente della sua epoca e degli avvenimenti che la sconvolgeranno. In questi primi racconti non abbiamo che piccole avvisaglie di ciò che succederà, ma iniziamo a conoscere i protagonisti di questi cambiamenti, dai grandi principi ai semplici contadini, e incontriamo anche personaggi che hanno avuto la fortuna (o la sfortuna) di incrociare il cammino dello Strigo: la vecchia e saggia Nenneke, il cantastorie Ranuncolo e, ovviamente, la maga Yennefer, che avrà un ruolo importante in varie vicende dello strigo.
A tratti si ha la sensazione che Geralt non sia davvero il protagonista, visto il modo in cui gli eventi gli succedendo senza che lui possa sottrarsi a essi. È più come un narratore onnisciente calato nel racconto contro la sua volontà per documentare le vite degli altri e intervenire solo quando la situazione si fa troppo pesante da sostenere. È chiaro che Geralt non è l’eroe del romanzo, non è nato per salvare il mondo e non ha un’importante missione da compiere. Sapkowski non definisce mai un confine tra bene e male, proprio perché il suo personaggio vive in bilico in una zona grigia, dove segue un codice di regole fissato per gli strighi come lui, ma anche un codice tutto suo attraverso il quale sembra voler andare contro il destino che gli è stato prefissato.
Il Guardiano degli Innocenti è un lungo on the road desolato, con qualche pausa per riprendere fiato da un viaggio che ci porta ai confini di un mondo che sta progredendo, ma che allo stesso tempo si sta sbriciolando. Non è la meta che ci interessa, ma il viaggio stesso. Eppure, rimane un po' l'amaro in bocca. Questa prima raccolta di racconti è solo un assaggio di ciò che verrà, stuzzica l’appetito senza saziare, e quando finalmente ci porta al cuore della vicenda, eccola che finisce. Ma è proprio così che la dobbiamo considerare e apprezzare: una prima prova dove tematiche, personaggi, ambientazioni e sensazioni sono solo abbozzati.
Né Geralt, né gli altri coprotagonisti sono però valorizzati come dovrebbero. Ranuncolo, compagno di più avventure, appare più come una macchietta, mentre Geralt è ancora piatto e di difficile definizione, anche se certe mancanze sono in linea con la sofferenza del personaggio e il suo bisogno di reprimere emozioni e domande per paura di affrontarne le risposte. Soprattutto il primo e non eccellente racconto in cui Geralt incontra Yennefer non rende giustizia a una trama che già nel secondo libro assumerà contorni più definiti e realistici.
Quando le fiabe si fanno oscure
Lo spunto per questa raccolta di storie è dato dal racconto contenitore La voce della ragione, che inframmezza il passaggio da un episodio all’altro. Dopo tanto viaggiare, Geralt è costretto a una pausa forzata, in cui non torna con la mente ad alcuni momenti chiave della sua vita. Per raccontarci il passato dello strigo, Sapkowski tenta una via molto particolare e interessante. Intesse quindi i viaggi di Geralt alle fiabe che hanno accompagnato la nostra infanzia, con una rilettura stilosa e a tratti anche abbastanza cinica.
Troviamo quindi chiari riferimenti a Biancaneve e a La Bella e la Bestia, ma anche elementi più o meno espliciti che ci rimandano a geni in una lampada e principesse che possono essere salvate solo dal grande amore o che cadono in un lungo sonno di dannazione. Tutto è però calato in un contesto oscuro e perverso, che dà un’idea ben definita di ciò sarebbe successo se la bontà nei cuori dei protagonisti delle fiabe avesse vacillato anche solo per un attimo.
Con questa prima prova, Sapkowski si rivela molto abile a rielaborare miti, leggende e fatti che già conosciamo. Anche la figura dello strigo, un mercenario incaricato di proteggere gli innocenti, non è una novità assoluta. Tutti i dettagli che però riguardano il processo per diventare tale, contribuiscono a creare una nuova mitologia di riti e sofferenze e un personaggio affascinante che appare completamente innovativo ai nostri occhi. Alcuni dei mostri che Geralt si troverà ad affrontare sono debitori della precedente letteratura fantasy e gotica, ma di tanti altri facciamo conoscenza per la prima volta, rimanendo stupidi dall’empatia che riescono a instaurare con il protagonista, ma anche con noi stessi. Molti dettagli sul passato e sulla natura delle creature rimangono oscuri, ma il mondo appare comunque coerente e profondo.
Oltre gli stereotipi del fantasy: cosa c'è di nuovo
Arrivando sugli scaffali di tutto il mondo, volente o nolente, Il Signore degli Anelli ha cambiato per sempre il modo di concepire il fantasy. Se pensiamo a elfi e nani, ci vengono subito in mente i personaggi creati dalla penna dello scrittore britannico, con i loro pregi e difetti, ma sempre pronti a collaborare per un fine più grande. Nel mondo delineato da Sapkowski le razze che lo popolano non sono però così tanto accomodanti. In questi primi racconti emerge una natura egoista, una spietata volontà di conservazione della propria identità e cultura che non guarda in faccia nessuno. Non veniamo ancora a conoscenza di nani e driadi, se non per qualche personaggio calato in un’ambiente che non è quello della propria razza. In un racconto però incontriamo gli elfi e la loro rabbia verso la razza che viene ritratta come peggiore di tutte: gli umani. Arroganti e avidi, mossi dai propri istinti senza mai mostrare rispetto per altri. Chi invece segue i propri sentimenti con “umanità” sono proprio quei mostri che dovrebbero essere sterminati e quello strigo che non dovrebbe provare emozioni.
Negli ultimi anni è stato invece George R. R. Martin a definire un nuovo canone, presentandoci il vastissimo mondo di Westeros tramite il punto di vista di tanti personaggi che ci portano a spasso da un posto all’altro. Uno stratagemma perfetto per conoscere le diverse regioni dell’universo in questione, con i loro particolari usi e modi di vivere. Altrettanto perfetto però è usare Geralt come guida, che non ci impone mai il suo punto di vista ma lascia che siano i personaggi che incontra a fornirci le giuste informazioni di cui abbiamo bisogno.
Infine, è ancora diversa la magia. Harry Potter, la letteratura e il cinema affini, ci hanno abituati a una magia buona, posseduta sin dalla nascita da certi individui e sviluppata in anni di studio. Nell’universo dello strigo però niente viene dal nulla e nessuno, nel bene e nel male, è così fortunato da ottenere qualcosa senza dolore in cambio. È tutta questione di sacrifici e rinunce. Essere uno strigo, innanzitutto, è spesso descritto come una maledizione ed è ciò che si avverte nei giudizi e negli sguardi degli uomini che incrociano Geralt. Mentre i maghi non sempre sono brave persone, ma piuttosto rese egoiste e prepotenti proprio a causa di ciò che hanno dovuto sacrificare per arrivare a padroneggiare i loro poteri.
Con questi racconti Sapkowski getta le basi per un buon fantasy, debitore dei grandi classici sotto tanti punti di vista, ma anche innovativo per il modo in cui ha saputo reinterpretare stereotipi e cliché in nuove trame e soprattutto nuovi personaggi. Con i loro pregi e i loro difetti, le storie de Il Guardiano degli Innocenti sono un esercizio stilistico per l’autore che lo aiutano a definire il suo universo, con cinismo e senza lasciar spazio al buonismo. Nel mondo di The Witcher non ci sono mai vincitori, ma tutti in un modo o nell’altro soccombono al proprio destino.
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