Il mondo sta cambiando e con esso i rapporti di forza. I confini di stati e regioni mutano giorno dopo giorno, i re muoiono, mentre soldati e popoli marciano verso nuove rotte. Come in ogni cambiamento c’è chi riesce ad adattarsi e sopravvivere e chi invece soccombe, incapace di scrollarsi di dosso i residui di un vecchio ordinamento che, per quanto sbagliato, è comunque una sicurezza. Non è la prima guerra a cui gli strighi assistono tirandosi fuori dai giochi, ma questa volta Geralt sarà costretto a prendere posizione mentre tutto intorno a lui cambia.
Scoprite un mondo che è andato avanti versando il Sangue degli Elfi, in questa recensione del primo romanzo di The Witcher.
Una breve sinossi
Il sangue degli elfi parte a poco tempo di distanza dall’ultimo racconto de La spada del destino. La prima guerra con Nilfgaard si è conclusa, Cintra è perduta e la sua popolazione dispersa tra gli stati confinanti. Tra chi è riuscito a sfuggire al massacro, spicca Ciri la nipote della regina Calanthe, che dopo alcune vicissitudini è riuscita a trovare lo strigo Geralt di Rivia e ad assecondare così i piani che il destino aveva programmato per lei. Geralt la porta nell’unico posto sicuro che conosca, Kaer Morhen, la fortezza degli strighi, e le insegna l'unica cosa che sa, ossia essere uno strigo. La bambina però mostra sin da subito delle capacità psichiche inaspettate e la semplice protezione fisica potrebbe non bastare più contro una minaccia che sembra ogni giorno più pericolosa.
Geralt si rivolge così a Triss Merigold, la maga che più gli è vicina e che non è Yennefer, per aiuti e consigli sull’educazione di Ciri, capendo infine insieme che la scelta migliore è quella di affidare la bambina alle cure di Nenneke. Nel frattempo però c’è chi è sulle loro tracce perché le voci su Ciri sono arrivate sino ai tavoli del potere e ogni sovrano vuole la bambina per soddisfare la sua brama di potere.
Il duro mestiere dello strigo e dell’essere “padre”
L’arrivo della principessa Ciri nella vita di Geralt è stata una grande svolta sia per lo strigo che per il lettore, altrimenti destinato a doverlo seguire per sempre, burbero e scontroso, in una sfilza di lotte contro i mostri di turno e contro la sua coscienza. La strategia de “gli opposti si attraggono” si è rivelata sempre vincente nella letteratura così come nel cinema, e si riconferma una volta in più in questa narrazione. Bambina e uomo, principessa e strigo, ardore e indifferenza, vitalità e rassegnazione. Ciri e Geralt sono tanto diversi eppure complementari e, banalmente, rappresentano il punto di incontro tra gli errori e le rovine del passato e la nebulosa incertezza del futuro.
In questo primo romanzo Geralt appare più stanco, costretto ad una pausa forzata dopo gli eventi dei racconti. Tuttavia i suoi sensi sono all’erta e, proprio come un lupo, sta acquattato nell’ombra in attesa che le carte vengano definitivamente scoperte. In un mondo che è già mutato tanto e ancora non ha arrestato la sua corsa, essere uno strigo è sempre più anacronistico. Un tempo la terra era popolata da mostri e gli strighi erano ritenuti dai più eroi, ma dell’aura di prestigio che avevano non rimane che una patina offuscata.
Considerati alla stregua di criminali qualunque, Geralt, Vesemir, Lambert, Eskel e Coën sono oramai delle rovine antiche, proprio come Kaer Morhen, la leggendaria fortezza dove gli strighi venivano istruiti. Questa è impressa nella memoria collettiva come un luogo misterioso e affascinante, ma nella realtà è ben lontana dai fasti che furono: è un castello cupo, un rudere polveroso in rovina, ancora in piedi nonostante gli eventi di cui è stato testimone, pagando però un grande prezzo. Lo stesso pezzo che pagano costantemente i suoi abitanti: Kaer Morhen e i suoi strighi sono pezzi da museo, residui di un passato in declino che non tornerà mai più.
Ciri rappresenta il futuro di tutti loro o forse l'ignaro presagio dell'arrivo della fine. Gli strighi vogliono vedere in lei una speranza, si improvvisano genitori, ma non avendo mai avuto una vera e propria famiglia si ritrovano a crescerla come un witcher. Ma è davvero questo ciò che Ciri dovrà essere? Le difficoltà sono parecchie, prima e non ultima il fatto che Ciri è una bambina che si appresta a diventare donna.
È inusuale seguire le fasi di crescita e allenamento di un’eroina al femminile e Sapkowski lo fa soffermandosi anche su aspetti intimi spesso tralasciati. Ma non è solo una questione di genere, la bambina si dimostra “una sorpresa” a tutti gli effetti, con doti e capacità che gli strighi non sono in grado di gestire e che potrebbero rivelarsi armi pericolose soprattutto per la sua stessa incolumità. Ciri è una bambina dal sangue antico, nelle sue vene scorre proprio il sangue degli elfi da cui prende il nome il romanzo e potrebbe essere proprio lei a dare un senso a quella profezia che circola da secoli e che preannuncia la fine dei tempi.
Con un simile interrogativo nel suo futuro, è già chiaro che Ciri non può seguire un percorso prestabilito, sia esso anche quello del witcher. Per quanto abbia una scarsa conoscenza del mondo e stia iniziando solo ora ad avercela di sé stessa, ha visto e vissuto troppo per potersi voltare dall'altra parte e mostrare indifferenza verso le sorti del mondo. E non è l'unica ad essersene accorta.
Profezie, politica, razze: il sangue degli elfi impregna tutto
La profezia di Ithlinne rimbalza come un'eco impazzita da un luogo a un altro. Sembra antica tanto quando il mondo e tutti la conoscono, dal fidato consigliere del re di Temeria, al pescivendolo del mercato di un qualsiasi villaggio sperduto. I tempi cupi preoccupano chiunque e in ogni evento fuori dalla norma si leggono i segni della catastrofe che si approssima. I regni degli umani sono fondati letteralmente sul sangue degli elfi e sulle rovine delle loro splendenti società. Per quanto si possa proclamare la purezza questa non esiste: le razze si mischiano da secoli e continueranno a farlo.
Il sangue degli elfi è perciò il filo rosso dell'intera vicenda, che connette passato e futuro. Le parole di Ithlinne per quanto oscure, sono chiare: il mondo si distruggerà, l'epoca degli uomini è finita e una nuova era nascerà dal sangue degli elfi. L'ennesimo monito sì, ma l'uomo sembra non imparare mai. Per questo nuovi conflitti vengono decisi a tavolino dai governanti e si dichiara guerra senza quartiere agli elfi e a chiunque li aiuti, così nei boschi come nelle città.
Il primo effetto che si coglie nel passaggio dai racconti ai romanzi è il più ampio respiro nelle vicende narrate. Non si segue più soltanto Geralt, con un raggio di conoscenze limitato alle persone che incontra e alle storie che che gli vengono raccontate. Sono, infatti, tanti i nuovi personaggi che vengono introdotti e il mondo della politica apre le sue porte, generalmente chiuse al lettore. Sebbene con alcune stonature che vedremo meglio nel capitolo successivo, i cambi di prospettiva sono utili per capire davvero che cosa succede nel mondo oltre lo sguardo indifferente di uno strigo. Gli intrighi politici vissuti da vicino danno una scossa a quella che sembrava solo una manciata di episodi messi insieme, conferendo loro maggiore spessore e un peso importante in un quadro molto più grande.
Le circostanze che portano Geralt e Ciri a cavalcare con Yarpen Zigrin e una strana combriccola di nani e umani, sembrano soltanto le basi per un racconto corale proprio come la caccia al drago dei racconti. Senza però perdersi in lunghi spiegoni, Sapkowski affida ai membri di questa strana spedizione i discorsi inerenti alla politica e agli scontri razziali. Finalmente il lettore assiste in prima persona a un evento di cui nessun'altro avrà nozione, ma che è essenziale per comprendere il clima generale e tutto ciò che succederà in seguito.
A differenza di tanta letteratura affine, Sapkowski protende per una grande zona grigia in cui nessun personaggio si salva davvero, ma tutti a proprio modo nascondono un'oscurità tale da impedire di scegliere "per chi tifare". La lezione più grande è però quella che riguarda Geralt, anche se ancora il personaggio si ostina a non volerla imparare. Ogni cosa al mondo, infatti, è plasmata secondo la volontà del sovrano di turno, non ci sono schieramenti definiti tra buoni e cattivi, ma è sempre necessario prendere una posizione.
Tempo e spazio: due problematiche confuse che si trascinano dai racconti
Leggendo Sapkowski si riscontrano subito alcune particolarità nella scrittura che, in un primo momento, avevamo pensato essere strettamente legate alla natura frammentaria delle raccolte di racconti. Nei romanzi però queste caratteristiche sussistono, tanto da doverle riconsiderare come tratti distintivi della penna dello scrittore polacco. L’assenza di linearità è sicuramente il fattore che risalta di più e che, se si poteva accettare senza problemi nei racconti, con i romanzi rende la progressione nella lettura confusionaria. La narrazione, infatti, salta spesso tra passato e presente e da un personaggio all’altro, sempre con continuità nelle tematiche, ma lasciando comunque il lettore spiazzato nel trovarsi di nuovo davanti a una serie di episodi scollegati.
Una certa confusione la si deve anche alla mancanza di chiarezza sul fronte dello spazio. I libri di Sapkowski sono infatti privi di mappe, cosa che praticamente ci costringe a non sapere mai dove la storia si stia esattamente svolgendo, dove i personaggi si stanno spostando, quanto siano distanti dagli altri, dove si trovano le varie ragioni, quale è la capitale di cosa e chi governa quale stato. Solo alla fine del libro si inizia ad avere un’idea di come il mondo sia strutturato, ma ancora con qualche difficoltà e dubbio. In questo senso potrebbe essere d’aiuto dare un’occhiata alle mappe del videogioco, abbastanza accurate e illuminanti:
Il sangue degli elfi porta poi alla luce un problema rimasto sopito nei racconti, ossia la poca profondità del mondo. Non chiediamo a tutti gli scrittori di fantasy di disegnare una mappa dettagliata del loro universo (anche perché l’assenza potrebbe esser stata determinata da scelte editoriali che esulano dallo scrittore stesso) o di passare gli anni migliori della loro vita a delineare la grammatica della lingua elfica, le genealogie delle casate regnanti e dei trattati di storia antica, però ci aspettiamo che siano le divinità dei loro mondi, che conoscano ogni cosa, ogni fatto che ha condotto alla situazione attuale e i perché. Sapkowski invece non si perde in descrizioni minuziose né degli ambienti, né dei grandi avvenimenti del passato, ma troppo spesso si limita a lanciare l’amo e ad aspettare che sia la fantasia del lettore ad abboccare e fare tutto il lavoro per lui.
Inoltre per tante cose non sembra nemmeno rifarsi alla propria immaginazione, ma a un pantheon comune alla letteratura fantasy. Il mondo sembra quindi perennemente abbozzato: le leggende antiche, le storie sulla formazione del suo universo, le battaglie tra umani e non-umani, i dettami della religione e quant’altro sanno di già sentito e danno la sensazione che nemmeno lo scrittore le conoscesse davvero, ma piuttosto che conoscesse solo il presente e gli elementi principali della storia e che non sia mai andato a scavare in profondità.
Tuttavia, Sapkowski riesce nell’intento di catturare il lettore nella narrazione, tanto che tutto il resto diventa secondario in favore di una storia principale comunque interessantissima, delineata bene e coerente. Sapkowski è bravo a caratterizzare in modo originale i personaggi e le varie razze, soprattutto tramite dialoghi profondi e divertenti. Piuttosto che farci vivere l’azione e assistere al momento in cui si svolge, preferisce farcela raccontare da qualcuno, affidando la narrazione vera e propria al dialogo, sia tramite il trovatore Ranuncolo, ma soprattutto attraverso personaggi secondari il cui unico merito è quello di esserci stati.
Il sangue degli elfi è quindi per certi versi un libro statico, come tutti quelli che aprono le grandi saghe. Geralt continua la sua normale vita da vagabondo, mentre Ciri inizia un addestramento che la porterà molto lontano. Intanto il mondo cambia, questa volta forse radicalmente e le piccole vite della gente comune si delineano già come gli ingranaggi più importanti dell'intero sistema. Lo strigo non può più guardare oltre, così come il lettore non può più abbandonare la saga.
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Voto di Cpop
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