Le avventure dello strigo Geralt di Rivia potevano avere un seguito dopo La Signora del Lago? No, sarebbe stato altrettanto bello quanto impossibile. Ecco perché Andrzej Sapkowski, ritorna nel mondo del Witcher con un'avventura inedita, lontana dagli ingranaggi del destino e volta ad approfondire
Un romanzo dal passato
La stagione delle tempeste si colloca cronologicamente tra i racconti de Il guardiano degli innocenti, la prima raccolta della saga. Questa nuova storia si sviluppa precisamente circa un anno dopo il racconto finale del libro, L’ultimo desiderio, e prima degli eventi narrati ne Lo Strigo, che invece è il primo racconto del libro. L'ultimo Desiderio serviva ad introdurre la maga Yennefer, la cui presenza continua ad incombere minacciosa e seducente anche sullo sfondo di questa nuova avventura. Mentre Lo Strigo ci mostrava il mestiere di Geralt, portando il Witcher a indagare nel regno di Temeria.
Insieme a loro tornerà anche il bardo Ranuncolo e numerosi personaggi secondari, estremamente interessanti, che avremmo voluto più approfonditi nella saga. Ciri, la bambina-sorpresa attorno a cui ruota invece la saga principale dei romanzi, è totalmente assente.
La stagione delle tempeste. The Witcher: 8
Le spade rubate
Il romanzo inizia con l’arrivo di Geralt nella cittadina di Kerack, una meta di passaggio in cui riposare e mandare giù un boccone caldo durante un lungo viaggio. La piccola sosta rischia però di durare più del voluto quando lo strigo viene arrestato sotto false accuse. Dopo alcuni giorni di prigione e in seguito al pagamento della cauzione da parte di un benefattore anonimo, Geralt viene rilasciato e, pronto ad abbandonare di corsa la città, scopre con amarezza che le sue spade sono state rubate.
La narrazione principale seguirà da questo momento due linee parallele: da una parte una tradizionale quest alla ricerca delle spade perdute, e dall’altra l’adempimento di un incarico su commissione che non si sposa troppo bene con l’ideologia e il codice morale di uno strigo, per quanto preveda la salvaguardia degli esseri umani.
Il percorso di Geralt si intreccia quindi a quello di nuovi personaggi, appartenenti a due categorie ricorrenti nel catalogo dello scrittore polacco, ossia maghi e regnanti. Il Castello di Rissberg è in questo senso una sorta di zoo che conserva una vasta collezione di maghi, geni e sempliciotti, spie, arrivisti e quant'altro. A capo di tutto troviamo Ortolano, un eccentrico che ha fatto della conoscenza e del progresso le proprie ragioni di vita, senza però soffermarsi a riflettere sui peccati commessi in loro nome. Una in particolare di queste new entry ricorda da vicino la folle determinazione di Vilgefortz, personaggio della saga principale e che sarebbe stato più che perfetto in questa ambientazione.
Non poteva poi mancare una nota rosa, rappresentata dalla maga Lytta Neid che purtroppo dà l’impressione di essere un’alternativa a Yennefer, per non mettere quest’ultima al centro della narrazione.
Tra gli uomini di potere, invece, ha un ruolo centrale la casata regnante di Kerack, con a capo Re Belohun, circondato da una numerosissima prole verso la quale non prova certo grande affetto paterno. Le vicende di corte troveranno il giusto spazio e le migliori vie per mettere i bastoni tra le ruote di Geralt che da sempre cerca accuratamente di stare fuori dalle dinamiche di palazzo (senza riuscirci).
Un Geralt inedito
Sappiamo benissimo che Sapkowski non era intenzionato a creare l’ennesimo eroe senza macchia che persegue il bene senza mai compiere un passo falso. Geralt non è un epico cavaliere o un difensore della libertà e del bene, piuttosto è un "uomo" pieno di difetti, segreti e oscure pulsioni che lottano per venire a galla. Anche in questo romanzo si dimostra essere più spettatore che attore, smosso a volte solo da elementi che potremo definire veri e propri deus ex machina.
Con il senno di poi però è allo stesso tempo spiazzante e piacevole incontrare un Geralt, cinico e sprezzante come lo ricordavamo, ma ancora idealista, quasi innocente nella dedizione riposta nella sua missione. Della vita da strigo, accantonata nei romanzi principali, avevamo avuto modo di sapere e vedere poco in fin dei conti ed è quindi interessante immergersi nel suo passato, condurre delle indagini insieme a lui e vederlo armeggiare con i famosi elisir degli strighi.
Il ruolo professionale e la storia di questi mutanti torna quindi ad essere centrale nella narrazione. La perdita delle spade serve a stabilire un legame con il passato, essendo queste armi il simbolo della sua forza, un’estensione delle sue braccia data spesso e purtroppo per scontata.
Sapkowski intesse intorno alla ricerca delle due spade un gioco sviluppato per gradi ed enigmi, in cui Geralt dovrà affrontare prove sempre diverse, dal combattimento in arena all’interpretazione delle immagini di una visione, resistendo alla burocrazia e all’arroganza di chi pretende i suoi servigi.
Se c’è una critica che si può fare a questo nuovo capitolo è il risolvimento frettoloso di azioni e situazioni che hanno impiegato interi capitoli a delinearsi e che si risolvono poi in poche battute, un po’ come sempre accade a Geralt che in un modo o nell’altro si toglie dagli impicci grazie ad una fortuna sfacciata e ad un intervento esterno inaspettato. Ciò non toglie che i colpi di scena sono presenti in abbondanza e molto apprezzati, portando il lettore a rivalutare tutto ciò che ha letto fino alla fine.
Finché esisterà l’oscurità, ci sarà bisogno degli strighi
La stagione delle tempeste non è una forzatura o il disperato tentativo di uno scrittore di aggrapparsi alla sua creatura/miniera d’oro per sfruttarla ben oltre la sua fine. Non è nulla di tutto ciò, ma un piacevole ritorno alle atmosfere, ai personaggi e alle situazioni di una saga molto amata.
Di un personaggio come lo strigo, infatti, si potrebbero scrivere racconti all'infinito senza mai trovarli ridondanti dato che la sua professione lo porta sempre in viaggio verso nuove mete e ogni incontro-scontro con le centinaia di creature che si trovano sul suo cammino, meriterebbe di essere trattato singolarmente. Ogni mostro infatti porta con sé una storia, una caratteristica insita nella propria specie, un luogo di appartenenza e di azione, persone con cui ha avuto a che fare e quasi sempre regnanti capricciosi scomodati dai loro vizi e dai loro intrighi per far fronte ad un’emergenza.
Anche se strutturato come due storie, quest’ultimo romanzo è un racconto lungo estremamente lineare. Segue solo le vicende di Geralt e non si perde tra più punti di vista degli altri personaggi o dei loro piani temporali. Ci sono però tutti gli elementi per un buon classico d’avventura a cui Sapkowski ci ha abituato: dialoghi perfetti e ben dosati, ironia caustica, leggende e credenze superstiziose, personaggi di contorno divertenti e crudeli e situazioni al limite dell’assurdo.
Non è necessario aver letto tutti i libri della saga per apprezzarlo, lo si può tranquillamente leggere sia dopo Il guardiano degli innocenti che dopo La spada del destino. Ha però un sapore diverso se lasciato alla fine. Leggere La stagione delle tempeste per ultimo è una piccola coccola che il lettore, ancora provato dagli avvenimenti conclusivi del precedente romanzo, si concede prima di dire definitivamente addio al mondo di Sapkowski. Un modo per concludere con spensieratezza e speranza verso un futuro (apparentemente) non ancora scritto.
“È tempo di rimetterci in viaggio, Ranuncolo.”
“Ah, sì? E per dove?”
“Ha qualche importanza?”
“A dire il vero, no. Andiamo.”
Commento
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