Challengers, recensione: l'ambizione di un match point a letto e sul campo da tennis

Autore: Nicholas Massa ,

Il tennis è uno degli sport più solitari che esistono. Si basa quasi interamente sulla costanza di un singolo individuo che si dedica al professionismo sportivo senza fare sconti a nessuno, guardando dritto negli occhi chiunque entri in campo. Il sacrificio e la volontà di emergere, quindi, restano prerogativa esclusiva delle proprie capacità personali in questo senso, considerando anche il più piccolo dettaglio di un'esistenza in cui tutto si concentra attorno ai momenti con la racchetta in mano, agli sguardi e agli scambi con un avversario, inteso come l'unico essere umano al mondo che parla la tua stessa lingua. Challengers, il nuovo film di Luca Guadagnino con Zendaya, Josh O'Connor e Mike Faist, ragiona proprio sul lato più nascosto di uno sport apparentemente semplice da comprendere, lavorando con un racconto che fa della propria dirompente fisicità una riflessione emotiva e soprattutto umanamente specifica.

Previsto nei cinema italiani dal 24 aprile 2024 (Challengers è stato presentato in anteprima a Sydney il 26 marzo 2024. In precedenza avrebbe dovuto aprire l'80ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, cosa che non è stata per via dello sciopero del sindacato degli attori) questo lungometraggio riesce a coinvolgere spingendo sempre al massimo l'acceleratore di un triangolo coinvolgente quanto distruttivo, nelle sue dinamiche manifeste e sottocutanee. Il tutto servendosi della ferocia innegabile di uno sport che qui diventa lingua a sé stante, violenza emotiva, tossicità umana e palcoscenico di uno scontro sia erotico che sottile, in un crescendo capace di ipnotizzare e relazionarsi direttamente con gli spettatori in sala grazie a un lavoro linguistico difficile da ignorare.

Challengers: ambizione dentro e fuori dal campo da gioco

Al centro di Challengers troviamo un triangolo amoroso, un rapporto di natura sentimentale ed erotica fondamentalmente problematico e lontano da qualsiasi etichetta. All'inizio del film incontriamo i protagonisti principali coinvolti nelle proprie vite attuali, per poi approfondire i loro percorsi e le connessioni precedenti fino a quel momento. A fare da collante a ogni sviluppo sullo schermo c'è la tennista Tashi Duncan (Zendaya). La sua fame di successo e ferocia sul campo da tennis hanno contribuito a lanciare una carriera che, fin dalla giovane età, ne ha riconosciuto il valore e la tenacia con la racchetta in mano. Quella voglia di vittoria particolare, unita a una sensualità terribile e difficile da comprendere completamente, contribuiscono a definire i confini di uno sguardo sempre attento e dai tratti freddi e apparentemente distaccati, mai del tutto coinvolti in ciò che la circonda.

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Sul ring, invece, due tennisti che hanno sfruttato il proprio talento seguendo due strade del tutto diverse, se non opposte. Da una parte c'è Patrick (Josh O’Connor), un atleta che ha fatto del proprio dono sportivo l'unico mantra necessario da seguire, anche a discapito di tutto il resto. Sicuro di sé, arrogante e menefreghista, il suo spirito ribelle esplode fra le pieghe di quei colpi che molto probabilmente avrebbero meritato maggiore umiltà e uno studio più approfondito; non a caso la sua carriera non è mai veramente decollata. Dall’altra parte, invece, c'è Art Donaldson (Mike Faist), l'esatto opposto in termini di carattere rispetto a Patrick. Il suo gioco è votato alla tecnica e al sacrificio personale prima di ogni cosa. Più emotivo ed empatico, lo sguardo sicuro cela un percorso sportivo ai livelli più alti, misurato dall'impegno totale in uno studio che ha sempre delineato la sua esistenza sia come tennista che come individuo.

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Fra i due uomini c'è un'amicizia molto forte, una vicinanza che, fin dalla più tenera età, diventa ben presto un reciproco sostegno, ma anche gioco e competizione. Talento e tecnica, voglia di emergere a tutti i costi e arroganza. Tutto cambia quando Tashi entra nella vita di entrambi per la prima volta. L'incontro con lei, con quella bellezza sfuggente e giudicante, aprirà la strada a un confronto che incasinerà ogni cosa, sfumando per sempre tutti i limiti della vita fuori e dentro il campo da gioco, e plasmando così un rapporto semplice e dai tratti fraterni in un confronto in cui tutto sembra essere lecito, e in cui il reciproco dolore diventa una vera e propria costante lettura dell'esistenza in senso amoroso ed egoistico.

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Challengers e il male

Prima di qualsiasi altra analisi, è bene chiarire fin da subito che Challengers non è né un film solamente sportivo, né tanto meno una storia concentrata solamente sull'erotismo dei tre protagonisti. Fondendo queste due dimensioni narrative, Luca Guadagnino sceglie di unirne le sembianze manifeste e profonde in un discorso che si muove coerentemente in una sola direzione, sfruttando sia le dinamiche strettamente connesse all'ambizione sul campo da gioco, sia le eventuali tossicità emotive di un triangolo da cui nessuno esce proprio bene. Su questo punto è bene mantenere una particolare attenzione, dato che nella flessione sensuale di fondo, l'etica perde ogni capacità di definizione e di confine nell'esatto momento in cui iniziamo a conoscere bene le persone coinvolte nel racconto.

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In tutto ciò, lo sport del tennis riesce a incastrarsi alla perfezione, esprimendo quell'individualismo egoistico di stampo sportivo e quella ricerca di una fama personale, in un contesto sia interiore che esterno. L'azione principale di Challengers, non a caso, si svolge e si sviluppa in due dimensioni narrative specifiche e parallele, forti di un legame che alimenta continuamente le ragioni di entrambe le parti: lo scontro/partita fra Patrick e Art e le dinamiche personali che li vedono coinvolti direttamente nella reciproca attrazione nei confronti di Tashi.

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Entrambe queste sequenze, però, da sole assumerebbero significati ben diversi, se non fosse che il regista e lo sceneggiatore (Justin Kuritzkes) vanno sempre oltre quello che vediamo, scavando nelle storie personali di tutti loro, per poi strappar via quella patina agonistica che qui assume una valenza molto più sfaccettata e difficile da definire e leggere nell'immediato. È proprio l'intimismo problematico di ogni protagonista a tenere col fiato sospeso, spingendo continuamente avanti una narrazione instancabile e impetuosa, in alcuni suoi momenti, alimentata da una regia molto dinamica e dettagliata, e da una colonna sonora incalzante.

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Non soltanto il sesso, l'attrazione o l'amicizia, ma soprattutto il possesso, la voglia di farcela a tutti i costi, il tradimento e soprattutto la manipolazione. Queste sono le ragioni profonde sul piatto di Challengers, queste sono le armi e i reali talenti dei suoi protagonisti, di questi personaggi in grado di misurare il valore della propria esistenza a discapito di tutto il resto. Lo sguardo del film, quindi, proprio come avviene con una pallina da tennis al centro di una partita senza esclusione di colpi, si muove continuamente, di bocca in bocca, di bacio in bacio, di sguardo in sguardo, di mossa in mossa, diventando la testimonianza diretta di un legame con regole e letture tutte personali, nutrito da un male reciproco che trova massima espressione proprio nel confronto agonistico più diretto, spigliato e sincero possibile.

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Vale la pena vedere Challengers?

Sì, la visione di Challengers è qualcosa di consigliato sia per l'esperienza che offre in termini di scrittura che di costruzione formale. Luca Guadagnino prende un triangolo sentimentale, come tanti altri visti in precedenza al cinema, e tenta di limarne ombre ed erotismo ampliandone la portata con la dimensione più sportiva.

Non un film perfetto, ma comunque un'esperienza che necessita del grande schermo per dare il proprio meglio, nutrendosi di un'energia che ne pervade continuamente gli sviluppi, anche i più banali e semplici da prevedere. L'impatto generale, come anticipato, viene gradualmente alimentato da una regia in continuo movimento, sempre pronta a valorizzare, trasformare, giocare, ammirare, osservare e incanalare un'esperienza dai tratti sia semplici che ispirati, capace di lasciare qualcosa anche solamente attraverso le immagini.

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In tutto ciò sono le interpretazioni dei protagonisti a brillare sopra ogni altra cosa, ponendosi come iniziale e continuativa attrattiva nei confronti di una dimensione narrativa privata e pubblica che si muove tra le pieghe dei loro corpi, sguardi e sorrisi. Nei momenti in cui il silenzio imprigiona le ragioni segrete di tutti loro, però, è proprio la colonna sonora (curata da Trent Reznor e Atticus Ross) ad esplodere destabilizzando e coinvolgendo direttamente nelle cose non dette ma accennate solamente, diventando lingua a sé stante, segnale di qualcosa e matita dal tratto diretto, sia leggero che profondo.

Commento

cpop.it

80

Challengers è un film energico e irriverente, capace sicuramente di lasciare qualcosa al pubblico al cinema. Partendo da un triangolo amoroso che scopre le proprie ragioni fuori e dentro il campo da tennis, Luca Guadagnino lancia gli spettatori nell'attrazione problematica di 3 persone difficili da definire e etichettare, gettando i confini di un racconto che si nutre del mezzo cinematografico e delle specifiche interpretazioni di ognuno per ammaliare e allo stesso tempo tradire alcuni stereotipi in questo senso. Pur nella prevedibilità di alcuni momenti, il lungometraggio diverte e cattura grazie a una regia dinamica e a una colonna sonora prorompente oltre ogni aspettativa. Nella tossicità della relazione a schermo sono gli stessi protagonisti e i loro specifici bisogni ad essere messi sotto analisi, lavorando a stretto contatto con uno sport che riesce a sposare le motivazioni profonde di ognuno di loro a 360 gradi.

Pro

  • La regia di Luca Guadagnino sempre in movimento.
  • La colonna sonora curata da Trent Reznor e Atticus Ross.
  • Le interpretazioni del cast (anche se non di tutti).
  • Il modo in cui il tennis s'incastra con tutto il resto (non diremo di più).

Contro

  • L'interpretazione di Zendaya non è convincente al cento per cento, risultando in un personaggio abbastanza monotono in termini di espressione.
  • La prevedibilità di alcune svolte nel racconto.
  • Un maggiore approfondimento dei protagonisti non avrebbe guastato.
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