The Crown 6, la recensione: la conclusione agrodolce di una serie eccelsa

The Crown è giunta al termine con la seconda parte della sesta stagione, ma sarà riuscita a farlo nel modo più memorabile possibile?

Autore: Giovanni Arestia ,

The Crown giunge al termine e mai come ora la serie di Peter Morgan ha racchiuso così tanto in una singola stagione. La divisione in due parti (vi lasciamo alla nostra recensione della prima parte di The Crown) è stata molto intelligente, considerando anche che la seconda non solo deve chiudere tutti i fili narrativi aperti nelle stagioni precedenti, ma anche prendere la decisione, forse, più difficile in assoluto relativa al modo di concludere una delle serie più amate e viste di sempre. 

Dopotutto la serie Netflix, basata sulla vita della famiglia reale britannica attraverso decenni, è oggettivamente una saga senza una reale fine. Il dramma è ancora oggi più vivo che mai soprattutto dopo la morte della regina Elisabetta II, la sovrana più longeva di sempre, e il Megxit, la rinuncia ai titoli reali da parte del principe Harry e della moglie Meghan Markle e il loro trasferimento a Los Angeles. 

La capacità e l'acume di Morgan, tuttavia, sono state quelle di comprendere che The Crown in realtà non può e non deve essere una fiction contemporanea. Pertanto, con uno sguardo rivolto al presente, la seconda parte racconta la storia di ciò che significa essere un servitore pubblico, i pericoli e i privilegi di ciò. Il destino di una famiglia corre parallelamente a quello di una nazione, con alcuni che decidono di fare ciò che è giusto per quest'ultima e altri che optano per il loro personale benessere. È stato interessante osservare come, per esempio, l'ereditarietà sia vista come una scelta, con una quota di conseguenze legate al seguirla o all'allontanarsi. 

The Crown 6: l'importanza della fratellanza in contrapposizione alla morte

La prima parte di questa sesta stagione di The Crown poneva la lente d'ingrandimento sulle avventure della Principessa Diana dopo la separazione dal Principe Carlo per arrivare alla tragica morte del memorabile 31 agosto 1997. Di questo, nella seconda parte, c'è solo un piccolo accenno con le teorie del complotto sostenute da Mohammed Al-Fayed e rafforzate del crescente sentimento anti-musulmano dell'Occidente dopo l'11 settembre 2001. È un piccolo lume che rafforza i difetti della prima parte, ma fortunatamente non rompe l'equilibrio e la forza della seconda parte caratterizzata anche dall'introduzione dei nuovi attori Ed McVey e Luther Ford rispettivamente nei ruoli dei Principi William e Harry. 

Netflix
The Crown 6

Non si capisce il motivo per cui abbiano deciso di cambiare gli interpreti, considerando che gli eventi narrati nella seconda parte sono avvenuti immediatamente dopo quelli della prima parte, ma sicuramente si lega al fatto che l'effetto più cruciale della divisione in due parti è il cambiamento di tono, ritmo e atmosfera dello show. Nella seconda parte la morte è una protagonista molto forte, non solo quella di Diana, ma anche quella di altri che seguono nel corso di quella che è una storia più recente.

La morte è importante anche nel definire il carattere dei protagonisti, come quello di William che eredita immediatamente la popolarità di sua madre e il peso di essere il prossimo in linea al trono. McVey brilla nei momenti più silenziosi attraverso sorrisi imbarazzanti attentamente studiati e un linguaggio del corpo impacciato.

Ford nei panni di Harry, invece, è il più birichino dei due e si diverte a interpretare il fratello minore, non senza momenti cardine in cui fuoriesce il dramma e la frustrazione di essere il sovrano "di riserva". Ovviamente il tutto avviene in un arco temporale in cui non sa ancora che Harry rinuncerà definitivamente ai suoi doveri reali. Viene anche tracciato un leggero, ma emozionante parallelismo tra la loro fratellanza e la duratura sorellanza tra la Regina Elisabetta II interpretata da una sempre splendida Imelda Staunton e la Principessa Margaret interpretata dalla brillante Lesley Manville

Loro hanno condiviso un fortissimo legame poiché fin da giovani si sono trovate a crescere nella famiglia reale britannica del primo Novecento e quindi destinate a trascorrere più tempo l'una con l'altra che con chiunque al di fuori del palazzo. Tuttavia nelle scene finali in cui le due attrici consumano il loro ultimo tempo insieme, si avverte un autentico senso della loro profonda amicizia, facendo credere che la loro relazione sia stata scelta e non imposta dalla nascita.

La scena clou si osserva nell'ottavo episodio intitolato Ritz quando, mentre si osserva il declino della salute di Margaret, ci si immerge un po' nella storia, passando tra il presente e una notte dell'8 maggio 1945 quando nel giorno della vittoria dalla guerra in Europa, le due principesse adolescenti si scatenarono sulla pista da ballo al Ritz (in questo caso guardate bene la giovane Elizabeth interpretata da Viola Prettejohn, perché è assolutamente identica a Claire Foy delle prime stagioni).

La Regina Elisabetta II tra Camilla e Tony Blair

La mancanza di Diana si fa sentire, ma inaspettatamente la presenza di Camilla riesce in parte a recuperare i gap perché viene ritratta come un personaggio positivo. Dall'incoraggiare Carlo a essere un padre migliore per i suoi figli di quanto non fosse prima della morte della loro madre, all'aspettare pazientemente di essere accettata nella famiglia reale britannica, Camilla si assicura di essere, come promette al suo futuro marito, una persona di cui non preoccuparsi. Olivia Williams riesce a conferirle un atteggiamento pieno di charme sottolineato da una gentilezza persistente. Dominic West, invece, ha la capacità di far provare compassione per la vulnerabilità di Carlo come uomo al centro di un fuoco incrociato tra il suo desiderio personale, il ruolo nazionale e la responsabilità familiare.

La peculiarità principale della seconda parte di The Crown è il ritorno al tema delle precedenti stagioni, ovvero una dedica forte alla Regina Elisabetta II. Lei ha l'arco narrativo più potente negli episodi finali, anche se deve combattere una popolarità sempre più crescente del Primo Ministro Tony Blair. Quest'ultimo, interpretato da un fantastico Bertie Carvel, diventa un elemento centrale quando gli episodi si focalizzano sulle guerre in Kosovo e Iraq, gli attacchi dell'11 settembre e l'indagine sulla morte di Diana. 

La potenza dell'Operazione London Bridge 

Tuttavia è proprio quando la Regina decide di organizzare l'Operazione London Bridge, ovvero la sua morte e il suo funerale, che acquisisce tutto il vero potere della serie. Osservando suo figlio risposarsi e i suoi nipoti andare all'università (è proprio alla St. Andrews University in Scozia che William ha conosciuto Kate Middleton), la Regina osserva la vita che ha lasciato alle spalle.

La morte, poi, della sorella e prima ancora della madre, le risveglia la sua donna interiore. Fissa tutta la sua infanzia su un muro ed è bellissima l'immagine della sua ombra che aleggia come una nube oscura che mette a repentaglio i suoi giorni innocenti. Guardando un modello in miniatura del suo carro funebre reale e ascoltando la melodia funebre suonata dal suonatore di cornamusa scelto, gli occhi le si riempiono di lacrime, ma il peso della monarchia non le permette di sfogarsi.

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Sono necessarie due straordinarie apparizioni delle giovani Elizabeth, interpretate da Claire Foy e Olivia Colman nelle stagioni precedenti, per esprimere il tormento interiore della regina al suo posto. In questo caso la giovane Elisabetta ricorda alla versione ottantenne il suo impegno verso la corona, mentre quella di mezza età la riporta al sacrificio che ha fatto come madre. Ormai sappiamo ampiamente quale sia stata la decisione presa dalla Regina, ma la rappresentazione struggente di Imelda fa venir voglia di inchinarsi perché riesce a rendere trasparente una figura inscrutabile, vulnerabile una donna impenetrabile ed espressiva una monarchia rigida.

Conclusioni

The Crown giunge quindi alla conclusione, tuttavia le scelte fatte non sempre sono state efficaci e razionali. Il difetto principale di Peter Morgan è quello di scrivere i suoi personaggi con troppa retrospezione, con punti di vista estremamente personali con pochi riferimenti reali. In questa stagione possiamo vedere un Harry inspiegabilmente mai divertente che ha vissuto un'adolescenza infelice e che vive un'età adulta ancora più infelice. Lo vediamo anche mentre indossa un costume nazista con tutte le conseguenze che questo comportamento causò, ma con una gestione totalmente fantasiosa soprattutto del Duca di Sussex, di William e di Kate.

Anche la potentissima scena finale della Regina che contempla in lacrime la sua fine, quanto è reale? Nel 2005 è accaduto veramente o Morgan ha voluto semplicemente anticipare la sua morte e rendere le sue scene finali terribilmente toccanti? Insomma la conclusione era inevitabile perché ormai Morgan, forse consapevole della difficoltà di portare avanti una serie così complessa, aveva chiaramente esaurito le idee. Speriamo che sia il vero punto fermo di uno spettacolo, nel complesso, unico e strabiliante. 

Commento

Voto di Cpop

85
The Crown si chiude nel migliore modo possibile considerando la narrazione finora osservata in tutte le precedenti stagioni. Elizabeth fa la difficile scelta di mettere i suoi doveri al di sopra dei sentimenti personali per Margaret, Filippo, i suoi figli e se stessa e sul finale se ne rammarica e se ne dispiace. Questo funziona perché The Crown è sempre stata una serie interessata solo a una certa interpretazione della storia. Non sempre tutto questo si è rivelato funzionale considerando che a volte la fantasia ha preso il sopravvento sulla realtà, ma è sicuramente un degno omaggio per una delle famiglie reali più famose, seguite e amate della storia.

Pro

  • Interpretazione attoriale sempre di altissimo livello nonostante i nuovi innesti
  • La Regina Elisabetta II ritorna a essere efficacemente il fulcro della storia (anche con stupendi cameo)
  • La scrittura di Peter Morgan è coinvolgente e ritmata anche nei momenti più drammatici...

Contro

  • ...tuttavia, fino alla fine, risulta fin troppo retrospettiva
  • Chiudere troppe storie rende la narrazione un po' confusa
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