Winning Time 2: l'ascesa di Magic Johnson

Autore: Manuel Enrico ,

Dinastie. Vengono definite con questo nome altisonante e incredibilmente azzeccato quelle formazioni leggendarie che infiammano il mondo sportivo americano. Che si tratti di baseball o basket, sono le dinastie a dare all’agone sportivo un’aura quasi leggendaria, una nuova epica che ha creato nuovi déi come Magic Johnson o Kobe Bryant. Schiacciate, cavalcate trionfali sul linoleum, tiri da cecchini che infiammano le platee, offuscano però spesso l’incredibile lavoro che quotidianamente scandisce i tempi di questi eroi moderni. Non stupisce che Max Borenstein abbia visto in The Crown una fonte ispiratrice per il suo Winning Time, serie che racconta l’ascesa dei Lakers negli anni Ottanta. E dopo esserci gustati in anteprima la seconda stagione di Winning Time non possiamo che concordare con Borenstein.

  • Winning Time Stagione 2 sarà disponibile in esclusiva su Sky e in streaming solo su NOW dal 28 agosto
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Non è un caso che la prima stagione sia iniziata con l’arrivo nella Città degli Angeli di un giovane Erwin Johnson, un rookie ancora lontano dall’essere quel Magic, oggi una delle grandi star del mondo del basket mondiale. Impossibile raccontare l’ascesa dei Lakers senza incentrare il racconto sul perno di quella squadra, sulla sua stella più luminosa, una tentazione che ha portato Winning Time ad eccedere nel romanzare alcuni eventi, a dare una preminenza al Johnson di uno stupefacente Quincy Isaiah tale da adombrare altri nomi celebri dei Lakers del periodo.

Winning Time: pochi Lakers molto Magic Johnson

Con l’inevitabile scoppio di polemiche, dichiarazioni al vetriolo e accuse di essere un prodotto mendace, mosse da una figura storica del canestro come Kareem Adbul-Jabbar o da un Jerry West profondamente critico su come Jason Clarke lo abbia portato su schermo.  

Comprensibile, considerata che chi ha vissuto la realtà di quegli anni possa avere una visione differente rispetto al prodotto confezionato da Borenstein, che sostenuto da un produttore esecutivo come Adam McKay, portato a premiare approcci narrativi vivaci e a tratti barocchi, non poteva che adattare la Storia a una dinamica che premia maggiormente l’aspetto umano, creando tensioni e scavando nell’intimo dei protagonisti.

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Poca aderenza storica? Può essere, ma non siamo davanti a un biopic o un documentario del calibro di The Last Dance, qui l’intento è quello di prendere una leggenda moderna e sviscerarla, cercare il non raccontato e costruirci sopra un dramma che attiri, che appassioni e che solo marginalmente vada a esplorare il mondo della palla a spicchi.

Una missione che viene portata a compimento in modo eccellente. Ricreare gli anni d’ora dei Lakers non significa solamente inserire nomi altisonanti e renderli palpabili, ma richiede lucidità nel ricreare quel periodo storico, sotto molteplici aspetti. In uno slancio di grande esaltazione, al limite della presunzione, la prima stagione di Winning Time aveva imposto una grammatica visiva che tradiva lo spirito di emulazione della serialità di fine anni Settanta, per scelte cromatiche e per costruzione delle scene, azzardando un’empatia vintage che, dobbiamo riconoscere, è funzionale alla storia.

Concentrata nel primo biennio di Johnson ai Lakers, la prima stagione di Winning Time rischia ora di sembrare un goloso antipasto per quanto messo in scena dalla seconda stagione. L’ascesa della squadra viene asservita all’esplosivo successo di Magic Johnson, scelta che impone di non coprire solo una stagione, ma di diluire il racconto su quattro anni (1981-1984). Anni in cui i Lakers si trovano ad affrontare rivoluzioni importanti, con un punto saldo della squadra come Larry Birds pronto a lasciare l’assolata California per Boston, con la nascita di una delle più spietate rivalità del basket, Laker contro Celtics. Punto di vista per dare a ogni personaggio spazio per emergere, sorprendendo lo spettatore con una verve narrativa capace di miscelare al meglio drama e comicità, grazie a un cast variegato che vanta nomi importanti, come Adrien Brody, Jason Siegel e John C. Reilly.

Ricostruire un'era leggendaria dell'NBA

La presenza di Johnson, tuttavia, è il vero focus di questa serie. Il fascino esercitato da questa leggenda vivente sull’immaginario sportivo d’oltreoceano incombe sulle spalle di Quincy Isasiah, vero protagonista della seconda stagione di Winning Time. Le traversie personali di Johnson sono rese punti fondamentali della sua personalità, sono sviscerate senza malizia ma come segni rivelatori della personalità di questa versione di Johnson. Con buona pace del realismo, l’interpretazione offerta da Isaiah è talmente convincente che è come se stesse riscrivendo la vera storia di Magic Johnson, riuscendo a renderlo così fallacemente umano che anche nelle sue scelte più controverse lo spettatore non riesce a odiarlo, ma si sente portato a comprenderlo, a scusarlo.

Tuttavia questa centralità di Johnson, unita alla scelta di coprire un ampio orizzonte temporale, si rivela in alcuni passaggi controproducente per la serie. La precedente stagione risultava più coesa e lineare, il nuovo arco narrativo, invece, mostra in alcuni momenti dei cedimenti, una mancanza di linearità nata dalla sensazione che si voglia quasi accelerare il racconto per ingordigia, creando uno squilibrio narrativo.

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Dove nella prima stagione si aprivano spazi per personaggi corollari alla squadra, con il nuovo arco narrativo abbiamo una forte concentrazione sulle meccaniche interne dei Lakers. Una frenetica caccia all’aneddoto reso spettacolo, con rivalità sussurrate rese concrete, ma foriero di una discrepanza nel ritmo che inficia la solidità della storia.

Pur continuando ad apprezzare la cifra stilistica dal sapore vintage, Winning Time sembra avere perso parte del carattere che aveva reso la precedente stagione uno dei prodotti più interessanti del catalogo HBO.

Sacrificare il ruolo di Jerry Buss sprecando un John C. Reilly stupendo non viene sufficientemente compensato dal vivace rapporto tra Pat Riely (Adrien Brody) e Paul Westhead (Jason Siegel), cambiando radicalmente gli equilibri della trama, focalizzatasi sempre più sul mito di Magic Johnson. Una diversa prospettiva che rischia di non raccontare più una dinastia, ma diventare un’interpretazione romanzata della vita di un asso del basket.

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Commento

cpop.it

75

Pur continuando ad apprezzare la cifra stilistica dal sapore vintage, Winning Time sembra avere perso parte del carattere che aveva reso la precedente stagione uno dei prodotti più interessanti del catalogo HBO. Sacrificare il ruolo di Jerry Buss sprecando un John C. Reilly stupendo non viene sufficientemente compensato dal vivace rapporto tra Pat Riely (Adrien Brody) e Paul Westhead (Jason Siegel), cambiando radicalmente gli equilibri della trama, focalizzatasi sempre più sul mito di Magic Johnson

Pro

  • Ricostruzione del periodo convincente
  • Quincy Isaiah è perfetto come Johnson
  • Ritmo narrativo appassionante

Contro

  • Trama troppo sbilanciata su Johnson
  • -
  • -
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