Grosso Guaio a China Town: maghi cinesi e camionisti americani

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Autore: Manuel Enrico ,

Sarà stata la brutta esperienza con il letale freddo de La Cosa e la deludente performance al botteghino, ma quando John Carpenter si rimise in pista per realizzare il film seguente la decisione fu chiara: addio atmosfere cupe e mortali, facciamoci una risata. Pur venendo celebrato come regista di cult come Essi Vivono o il ciclo di Snake Plinssken, il talento di Carpenter si è spinto anche in direzioni diverse, compresa la divertente avventura con cui Jack Burton scopre il mondo della mitologia cinese.

Nel periodo in cui gli action heroes dominavano il grande schermo, il talento visionario di Carpenter non poteva rimanere indifferente alla tentazione di giocare con questo elemento, trasformando un genere muscolare e animato da regole precise in una fiaba metropolitana dove mondi diversi si scontrano.

Dal West al China Town

Che Grosso guaio a China Town fosse destinato a essere un film diverso dalla tradizione del periodo. Mentre Stallone e Schwarzenegger dominavano la scena con una visione dell’eroe d’azione steroidea e reaganiana, l’America stava accogliendo una seconda invasione di film di arti marziali.

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Se negli anni ’70 questi avevano rivelato al pubblico americano le arti marziali orientali, in primis grazie a Bruce Lee, nel decennio successivo questo genere stava avviandosi verso un’ibridazione che avrebbe stimolato la nascita di film di arti marziali non più a trazione orientale, ma che mostrassero attori americani o europei come maestri del combattimento.

In questo periodo, Gary Goldman, giovane sceneggiatore, è un vorace spettatore di questa new wave dei film di arti marziali, che attiravano gli spettatori perché, come spiegò lui stesso, avevano:

tutti i tipi di azioni strane ed effetti speciali, girati su questo sfondo di misticismo orientale e sensibilità moderne

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Assieme al collega David Weinstein, Goldman iniziò a lavorare a una storia che unisse questo genere a un altro caposaldo di Hollywood: il western. I due sceneggiatori immaginarono un weird western in cui il mito della Frontiera si arricchisse della mitologia cinese, dando vita a un fantasy nel Vecchio West. A rendere possibile questa ibridazione era la presenza storica di una nutrita comunità cinese in America sino dagli inizi  dell’800, specie nelle grandi città della costa Ovest.

Partendo da questa idea, i due scrissero una prima sceneggiatura, che presentarono alla TAFT Entertainment Pictures nel 1982. Uno dei dirigenti della major, Paul Monash, era convinto che la storia avesse del potenziale, ma era restio a vedere nel West e in quel periodo storioco il giusto scenario:

I problemi derivavano principalmente dal fatto che era ambientato nella San Francisco di inizio secolo, il che influenzava tutto – stile, dialoghi, azione

Per Goldman l’ambientazione non era trattabile, tanto che non esitò a rifiutare una proposta della 20th Century Fox per una riscrittura che chiedeva modifiche sostanziali. Gli sceneggiatori erano irremovibili, la Taft non voleva rinunciare a questa idea, e alla fine si arrivò a una rottura, con l’estromissione dei due autori, che tuttavia non rinunciarono a pretendere il riconoscimento del proprio contributo.

W. D. Richter, veterano script doctor e regista di Le avventure Buckaroo Banzai nella quarta dimensione, venne ingaggiato per riscrivere ampiamente la sceneggiatura, poiché riteneva che gli elementi del Wild West e della fantasia non funzionassero insieme.

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Quasi tutto nel copione originale fu scartato, eccetto la storia di Lo Pan, rendendo il tutto molto più contemporaneo, in linea con le richieste della Taft, scelta effettua in quanto Richter si rese conto che:

quello di cui aveva bisogno non era una riscrittura ma una revisione completa. Era una sceneggiatura terribile. Questo succede spesso quando le sceneggiature vengono comprate e non c'è l'intenzione che gli scrittori originali restino coinvolti

Richter aveva ben in mente cosa servisse al futuro film e si mosse seguendo delle idee precise

la storia in primo piano in un contesto familiare – piuttosto che la San Francisco di inizio secolo, che allontana immediatamente il pubblico – e avendo solo una semplice rimozione, il mondo sotterraneo, si ha una possibilità molto migliore di entrare in contatto diretto con il pubblico".

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Richter si scontrò anche con Goldman, che cercò di spingerlo a non accettare l’incarico, ma lo sceneggiatore riuscì a scrivere una prima bozza di sceneggiatura in poco più di due mesi.

Tuttavia, quando la Fox decise di rinnegare l’apporto di Goldman e Weinstein come sceneggiatori, si avviò u contenzioso deciso nel 1986, quando la Writers Guild of America stabilì che anche gli scrittori originali dovessero ottenere il giusto credito.

Per Richter, che inizialmente la Fox voleva presentare come unico sceneggiatore, venne riconosciuto solo il ruolo avuto nell’adattamento dello script originale, una decisione che non convinse John Carpenter, che lo riteneva al contrario il vero scrittore della trama.

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Barish e Monash offrirono il progetto a Carpenter per la prima volta nel luglio 1985. Carpenter aveva letto la sceneggiatura di Goldman e Weinstein e la giudicò

oltraggiosamente illeggibile, anche se aveva molti elementi interessanti.

Anche dopo la riscrittura di Richter, Carpenter fece le proprie aggiunte alle riscritture di Richter, che includevano il rafforzamento del ruolo di Gracie Law e il suo collegamento a Chinatown, la rimozione di alcune sequenze d'azione a causa delle restrizioni di budget e l'eliminazione di materiale ritenuto offensivo per i cinesi americani.

Il cast di Grosso Guaio a China Town

Per competere con la produzione rivale di Il Bambino d’oro, che aveva scritturato Eddie Murphy, Carpenter voleva una grande star e furono considerati sia Clint Eastwood che Jack Nicholson, ma erano impegnati.

Carpenter aveva in mente una sua vecchia conoscenza, Kurt Russell. All’epoca, Russell era ancora considerato un emergente, che si stava ritagliando una discreta fama come attore di film d’azione, ruolo che negli anni ’80 li rimarrà cucito addosso. Per Grosso guaio a China Town, Russell inizialmente aveva rifiutato il ruolo di Jack Burton, temendo di non riuscire a dargli la giusta interpretazione, ma Carpenter riuscì a convincerlo altrimenti, anche se Russell non nascose come questa pellicola fosse davvero particolare:

Questo è un film difficile da vendere perché è difficile da spiegare. È una miscela tra la vera storia di Chinatown a San Francisco e le leggende e le tradizioni cinesi. È roba bizzarra. Ci sono solo una manciata di attori non asiatici nel cast

John Carpenter aveva visto Dennis Dun in L’anno del Drago, tanto che incontrò l'attore due volte prima di assegnargli il ruolo di Wang Chi solo pochi giorni prima dell'inizio delle riprese principali. Le sequenze di arti marziali non furono difficili per Dun, che si era 'addestrato da bambino e fatto opera cinese da adulto. Fu attratto dalla rappresentazione dei personaggi asiatici nel film poiché disse:

Vedo attori cinesi fare cose che i film americani di solito non permettono loro di fare. Non ho mai visto questo tipo di ruolo per un asiatico in un film americano

Ad agevolare Dun fu il rifiuto di un giovane attore asiatico, Jackie Chan, ritenuto all’epoca un simbolo del cinema d’azione di Hong Kong. Pur se considerato come l’interprete ideale di Wang Chi, Chan non prese bene il flop delle sue prime esperienze americane, preferendo tornare al cinema di Hong Kong.

Mitologia cinese e pericolo giallo

Carpenter, nell'approcciarsi alla trama, aveva imposto di non dare adito alla presenza di stereotipi sulla comunità asiatica, rendendo anzi il suo film una sorta di ironica critica ad alcuni archetipi narrativi del cinema, in particolare il celebre pericolo giallo. Eppure, alcuni 

 David Lo Pan (James Hong, in uno dei suoi ruoli più iconici) è l'incarnazione vivente dell'orientalismo e del pericolo giallo, un tipo alla Fu Manchu pronto a dominare l'universo con i suoi poteri mistici malvagi. Gli uomini asiatici sono dotati in modo innaturale nelle arti marziali e, mentre il co-protagonista Wang Chi è superiore nel combattimento, continua a chiedere assistenza al protagonista bianco, più grande e muscoloso, Jack Burton.

L'unica donna asiatica prominente è una bellissima bambola cinese con quasi nessuna battuta, una damigella in pericolo che deve essere salvata dalla propria cultura per poter finalmente sposarsi e vivere felice e contenta in America. E poi c'è la Chinatown titolare, presentata qui come un covo ribollente di iniquità, pieno di segreti esotici, creature bizzarre e violenza eccessiva.

Eppure, a un occhio attento, questi apparenti limiti del film, nascondono un significato più profondo, in linea con la dialettica di Carpenter. Sebbene questi stereotipi siano innegabili, sarebbe un errore ignorare il divertimento ammiccante a cui il film aspira.

Il Jack Burton di Russell può sembrare l'incarnazione fisica della star d'azione degli anni '80, ma osservandolo mentre si fa strada goffamente attraverso Chinatown, è chiaro che il suo coraggio e la sua sicurezza sono del tutto immotivati. È completamente inutile in combattimento, commette errori esilaranti che mettono in pericolo la sua squadra e finisce persino per perdere conoscenza proprio quando inizia lo scontro finale.

Lo status di outsider di Burton è solo un detrimento, e la sua incompetenza finisce per posizionare il suo “assistente” Wang come il vero eroe della storia. È del tutto logico che, alla fine del film, Burton se ne vada da solo nel suo camion senza nemmeno un bacio d'addio dalla sua amata (Kim Cattrall), mentre Wang finisce con la ragazza dei suoi sogni.

L’eredità di Grosso Guaio a China Town

Sembra quasi una maledizione, ma come altri cult del periodo del calibro di Blade Runner o La Cosa, anche Grosso Guaio a China Town non ebbe successo al cinema. Complice una promozione non troppo convinta da parte della Fox, che preferì puntare ad un altro titolo in uscita nello stesso periodo, Aliens – Scontro Finale.

Sebbene Grosso Guaio a China Town fosse inizialmente considerato un flop commerciale, incassando solo 11 milioni di dollari su un budget di 19 milioni, da allora è diventato celebrato come un cult classic, amato per il suo tono campy, i personaggi esagerati, le battute taglienti e le sue sensibilità di genere ibrido.

Il successo del film arrivò tardivamente, grazie ai passaggi televisivi e alla scoperta da parte del pubblico di una nuova vena narrativa, una comicità fatta di situazioni paradossali in cui i personaggi non si prendono troppo sul serio. Jack Burton non è un eroe alla Indiana Jones, ma uno spaccone dal cuore d’oro, un uomo che vive in divertita ostilità alle regole, con un pungente umorismo che lo rende un elemento comico perfetto, se contrapposto al suo compagno di avventure.

Carpenter lavora al meglio su una sceneggiatura dinamica e inusuale, dove la mescolanza di diversi spunti narrativi crea un unicum narrativo vivace e divertente, capace di sedimentarsi nell’immaginario collettivo e diventando fonte di influenze anche in altri media.

Il pubblico asiatico-americano ha sempre nutrito un profondo affetto per il film. Nel 2015, l'organizzazione di arti mediali asiatico-americana Visual Communications ha ospitato una proiezione di reunion del film nel quartiere di Little Tokyo a Los Angeles. Oltre allo sceneggiatore Gary Goldman e alla star James Hong, 10 membri del castsi sono uniti a un panel per ricordare con affetto il loro lavoro sul film. 

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Grosso guaio a Chinatown

Grosso guaio a Chinatown

Ironicamente, Grosso Guaio a China Town uscì subito dopo L'anno del dragone (1985) di Michael Cimino, che le organizzazioni di difesa degli asiatico-americani avevano protestato come razzista e anti-asiatico per le sue rappresentazioni stereotipate del crimine a Chinatown.

Al contrario, il cast e la troupe asiatico-americani di Grosso guaio a China Town sembravano davvero credere che, nonostante gli stereotipi, il loro film fosse tutto in puro divertimento e che provassero orgoglio e senso di appartenenza nelle loro interpretazioni. 

La rappresentazione del personaggio del mago/demone del fulmine viene spesso identificata come l’ispirazione di Raiden in Mortal Kombat, introducendo l'archetipo di un monaco con cappello di paglia capace di controllare il fulmine con le mani al pubblico non asiatico, mentre questa figura nella cultura tradizionale cinese e giapponese è abbastanza consueta.

Apertamente confessata è invece l’omaggio a David Lo Pan per la creazione di Shang Tsung, il villain originale di Mortal Kombat che ruba le anime degli avversari sconfitti.

Se oggi ricordiamo con nostalgia il Pork Chop Express e l’irriverente carattere di Jack Burton, per Carpenter questo film fu un punto di svolta per la sua carriera, considerato che fu l’ultimo lavoro del regista legato al meccanismo delle major, spingendolo sempre più verso la sua identità di regista indipendente, a iniziare da uno dei suoi cult più amati, Essi Vivono (1988)

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