La Cosa, Carpenter e l'orrore nella nostra coscienza

Autore: Manuel Enrico ,

Il tempo potrà anche essere un severo maestro, ma ci sono occasioni in cui si rivela invece clemente. Ripensando all’estate del 1982 e alle sue uscite sul grande schermo, questo principio assume una certa forza, considerato come nel giro di poche settimane il pubblico americano ebbe modo di vedere tre pellicole che sarebbero divenute, in modo diverso, dei cult del cinema.  

Mentre tutti celebravano l’incredibile successo del tenero alieno disperso per lo spazio protagonista di E.T. – L’Extraterrestre di Spielberg, in contemporanea altri due futuri cult si affacciavano sul grande schermo che, pur facendo una magra figura al botteghino, sarebbero state riabilitate nei decenni seguenti: Blade Runner e La Cosa (The Thing)

Del primo film, complice anche il fiorire di una vera e propria religione a base di Replicanti e cacciatori di lavori in pelle, si parla sovente, soprattutto per la sua incredibile influenza sull’immaginario fantascientifico del periodo. Eppure lo stesso giorno, ossia il 25 giugno, usciva anche il film di John Carpenter, che nuovamente andava a raschiare le profondità della società americana sua contemporanea.

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Una radice narrativa immancabile nella dialettica di Carpenter, che anche in opere successive come Essi Vivono o 1997: Fuga da New York, non esitava ad appellarsi a una delle anime della sci-fi, ovvero ritrarre la contemporaneità proiettandone vizi e virtù in modo metaforico. La Cosa non fa eccezione, ma anzi amplifica questa tendenza di Carpenter, che si cimenta con un concept che rappresenta al meglio questa caratteristica.

Per quanto a sua volta preso come canovaccio per opere omonime successive, La Cosa di Carpenter è parte integrante di una rielaborazione di un archetipo narrativo insito nella fantascienza americana del secondo ‘900: il pericolo alieno.

L'alieno il nemico tra noi

Come spesso accade, la fantascienza è lo specchio del mondo reale. La fine della Seconda Guerra Mondiale e il cambio di percezione del concetto di nemico ebbero un profondo impatto sulla concezione di fantastico e fantascientifico in America.

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Se nei comics si vide come la nascita di nuovi supereroi era fortemente influenzata dalle nuove, serpeggianti ansie dell’americano medio, come la guerra imminente (Iron Man) o i pericoli dell’era atomica (Spider-Man e Hulk sono figli di questa visione da weird science), non meno impressionati furono gli scrittori di fantascienza. 

Le origini di quello che sarebbe divenuto poi La Cosa, affondano nelle origini stesse della fantascienza letteraria, andando nell’epoca aurea della sci-fi pulp e chiamando in causa uno dei vati del genere: John W. Campbell Jr.

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Scrittore, ma soprattutto scopritore di talenti della scifi narrativa (come Asimov, Heinlein e Clarke), Campbell è una figura essenziale della Golden Age della Fantascienza, grazie al suo ruolo di editor della leggendaria Astounding Science Fiction. Ma è soprattutto come autore che ora ci interessa considerato che fu proprio la sua fantasia a dare vita a Who Goes There? (1938), racconto breve e riduzione di un più ampio racconto scoperto anni dopo e intitolato Frozen Hell.

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In Who Goes There?, Campbell immagina che una spedizione americana in Antartide trovi un’antica astronave aliena sepolta tra i ghiacci. Nel tentativo di studiarla, gli esploratori liberano una creatura che stermina l’equipaggio, sostituendosi di volta in volta al membro dell’equipaggio ucciso.

La situazione spinge i membri della spedizione, costretti dall’ambiente gelido a convivere con questa minaccia, a sviluppare una reciproca sfiducia, condizione che li porta a rivoltarsi tra loro sino alla scoperta di un modo per distinguere chi è stato sostituito dalla cosa. Solo pochi sopravviveranno, cercando in tutti i modi di fermare questa minaccia all’intera umanità.

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Il concept di Campbell era in linea con la visione fantascientifica del periodo, in cui non mancavano minacce dallo spazio profondo. Fu solo quando Who Goes There? venne identificato come racconto ispiratore per un film di fantascienza nel secondo dopo guerra che la declinazione dell’alieno assunse una connotazione più terrena. Le conseguenze della Guerra Fredda, infatti, portarono diversi autori sci-fi a identificare il concetto di alieno con l’estraneo, con il non-americano. 

Una contrapposizione che proprio con la prima trasposizione del racconto di Campbell, La cosa da un altro mondo (The Thing from Another World, 1951), che si vede un primo tentativo di coniugare le idee del racconto originale con l’attualità americana, in cui il diverso è obbligatoriamente un nemico, è il fulcro su cui tutti si focalizzano con odio per sopravvivere. Nel film di Christian Nyby, al pari di un altro successo sci-fi del periodo, L’Invasione degli Ultracorpi, viene identificato come una metafora del ‘pericolo rosso’, la paura che il comunismo si infiltrasse tra gli americani per bene per seminare il dissenso, in piena paranoia maccartista.

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Ma questa visione simil-politica non poteva che venire stravolta da Carpenter.

La Cosa, il male moderno di Carpenter

Fedele al suo credo di non nascondere la verità della società americana dietro una maschera ipocrita (denuncia poi divenuta concreta in Essi Vivono), Carpenter ha attraversato il cinema americano con il piglio di un ribelle, una voce del fuori coro che riesce, in alcuni momenti, ad imporsi. 

Contrapponendosi a una tendenza di alcuni cineasti che preferivano cullare l’illusione di una nuova America felice e serena dopo gli orrori del Vietnam, Carpenter puntava in tutt’altra direzione, scavando nell’anima degli States in cerca delle sue vere pulsioni.

Niente illusioni, ma precise metafore che si pongono anche come elemento di rottura a una cinematografia allineata, al punto che il regista era un vero maestro del B-movie, un potente mezzo, nel contesto cinematografico, per andare contro il sistema.

Quando a fine anni ’70 si decide di dare una nuova livrea a La Cosa da un altro mondo, sulla scia del successo di Alien di Scott, Carpenter non è la prima scelta. Prima di lui si pensa a Tobe Hopper, reduce dal successo di Non aprite quella porta, sia perché ha mostrato di saper ben gestire l’orrore, sia perché è già sotto contratto con la Universal.

Tuttavia, è a Carpenter che viene infine affidato il remake del classico degli anni’50, ma questa scelta, ironicamente, allontana totalmente Carpenter dal film di Nyby, spingedolo a rifarsi maggiormente all’originale di Carpenter. Scelta nuovamente legata alla sua volontà di legare finzione e realtà.

 

Se nello stesso anno Spielberg conquista il mondo con il messaggio dolce e positivo di E.T. – L’Extraterrestre, Carpenter non intende negare che parte della popolazione americana è ancora traumatizzata dal Vietnam e dalla contrapposizione tra i due blocchi, USA e URSS. Per Carpenter la visione da Nyby da un nemico facilmente identificabile come l’estraneo è un’astrazione retrograda, come lo sono gli eroi imbattibili, tutti reduci della Seconda Guerra Mondiale, personaggi che ora non son più specchio dell’americano medio.

Motivo per cui, il regista non pensa a uomini rudi e belligeranti, ma immagina un team scientifico in cui non ci sono militari, ma uomini che non tardano a mostrare l’emergere di ansie e paure concrete, di fronte a questa minaccia.

Un pericolo che non è più facilmente identificabile, come detto, ma che torna a esser il mutaforma immaginato da Campbell. La Cosa di Carpenter diviene lo specchio delle nostre ansie e paure, è un mostro che, metaforicamente, si sostituisce a noi, alimentandosi delle nostre fobie e rendendole non la sublimazione dell’istinto di sopravvivenza, quanto un’arma in mano al nemico.

In La Cosa, a ben vedere, il vero nemico è il serpeggiante sospetto, la sensazione persistente che gli altri siano ‘l’altro’, il nemico infiltrato. Ancora una volta, Carpenter si fa interprete di una società profondamente disillusa e reduce da una serie di sconvolgimenti sociali che hanno enfatizzato la sfiducia del cittadino medio.

Contrariamente a quella che in quegli anni si appresta ad esser una tendenza dei blockbuster, Carpenter non utilizza degli action heroes (scelta poi parzialmente ritratta con Snake Plinsken in Fuga da New York) ma sceglie dei personaggi lontani da questo stereotipo, a enfatizzare ulteriormente il suo legame con lo spettatore medio. 

Anche la grammatica orrorifica della pellicola non si affida a una trattazione abusata, ma mostra una rilettura più viscerale, che non manca di mostrare una certa attinenza al ‘male antico’ tanto caro a Lovecraft, al punto che La Cosa potrebbe esser un capitolo successivo de Le Montagne della Follia.

A questa chiave di orrore pressante e intimo, Carpenter aggiunge un tocco di mistery, affidandosi alla costruzione di una soffocante caccia al nemico che ricorda una struttura chiusa cara a giallisti di classe, come Agatha Christie, che aveva sublimato questa suggestione in Dieci Piccoli Indiani.

Se a questo aggiungiamo un comparto di effetti speciali ancora fortemente artigianali e quindi frutto di mestieri ed esperienza, è facile comprendere come ancora oggi La Cosa mantieneun’identità tale da renderlo un cult del cinema di fantascienza.

Da flop a cult

A tradire questa ricchezza narrativa, furono diversi fattori. Nel 1982 due film di fantascienza profondamente autoriale, come La Cosa e Blade Runner, si dovettero scontrare con una serie di film, scifi e non, che avevano fortemente polarizzato l’attenzione del pubblico. 

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Non solamente il citato E.T. – L’Extraterrestre, ma anche Star Trek II: L’Ira di Khan, Mad Max 2 e Tron, film che forse privi di una così complessa caratterizzazione riuscirono a raccogliere maggiormente l’attenzione del pubblico. Anche l’horror Poltergeist fu un avversario temibile, considerato che nonostante le tematiche ottenne un PEGI favorevole, che lo presentava come un film per famiglie, contrariamente a La Cosa.

Questa congiuntura si rivelò un disastro annunciato per La Cosa:  distrutto dalla critica, che apprezzò comunque il cast, bisfrattato dal pubblico, che sembrava non perdonare al regista di avere ‘tradito’ lo spirito originario della pellicola di Nyby, che non perse occasione di denunciare il tradimento del concept originale, aggiungendo ulteriore criticità alla pellicola di Carpenter. 

Carpenter stesso non ha mai fatto mistero di questo suo scivolone:

Prendo ogni fallimento davvero male. Quello che ho preso peggio è stato La Cosa. La mia carriera sarebbe stata diversa se fosse stato una grande successo. Il film fu odiato, anche dagli appassionati di fantascienza. Credevano avessi tradito una qualche forma di fiducia, e la reazione fu folle. Anche il regista del film originale, Chistian Nyby, mi attaccò

Le conseguenze del flop de La Cosa furono devastanti per Carpenter, considerato che la Universal, con cui il regista aveva sottoscritto un accordo per altri film, preferì non considerare il suo passato di successo e rescindere subito il contratto con il regista, cancellando il suo successivo film, Fenomeni Paranormali incontrollabili (Firestarter), ispirato a L’incendiaria di King e che venne affidato a Mark Lester. 

Per Carpenter fu un duro colpo, che impiegò anni a elaborare, fino a quando non riuscì a prenderne atto, ammettendo di avere voluto realizzare qualcosa per cui la sensibilità del pubblico non era pronta. Eppure, dopo quarant’anni, oggi consideriamo La Cosa uno dei cult del periodo, un mix perfetto tra la colonna sonora di Morricone e la visione di Carpenter di una fantascienza umorale e graffiante.

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