Marvel Comics: dai fumetti al cinema

Dalla Golden Age sino ai successi sul grande schermo: storia della Marvel Comics, la casa editrice che racconta 'il mondo fuori dalla finestra'

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Autore: Manuel Enrico ,

Gli eroi marveliani dominano da più dieci anni il grande schermo, ma questo dominio è solo la nuova incarnazione di una mitologia moderna che si fonda su un corpus narrativa che da ottanta anni domina le edicole grazie a una casa editrice divenuta leggenda: Marvel Comics. Prima di raggiungere questa identità che ha consacrato personaggi come Spider-Man, Iron Man, X-Men o Captain America al successo, Marvel Comics ha affrontato una lunga evoluzione iniziata agli albori del fumetto superoroico, quel periodo leggendario oggi noto come Golden Age.

Era Il 31 agosto 1939 quando, nelle edicole americane, faceva la sua apparizione Marvel Comics #1, il primo fumetto della Timely Comics, astro nascente del mondo dei comics che sarebbe infine divenuta la tanto amata Marvel Comics. Dalla mente dei geniali artisti della Casa delle Idee sono nati ragazzi con poteri straordinari, uomini in armature hi-tech e avventurieri spaziali, eroi incredibili accumunati legati da una legge inconfondibile: supereroi con superproblemi. Marvel Comics è un nome divenuto familiare anche per chi ha poca affinità al mondo dei supereroi, una delle colonne portanti del fumetto supereroico .

Quando nell’estate del 1939 le edicole americane accolsero Marvel Comics #1, il fumetto supereroico si stava imponendo come una nuova forma di espressione, una nuova mitologia che vedeva nell’essere fiammeggiante che dominava la copertina della prima pubblicazione della Timely Publications l’incarnazione del fascino che quei personaggi di carta stava generando presso i lettori americani, in cerca di un momento di evasione da una situazione socioeconomica tutt’altro che rosea. L’inizio di un rapporto che, attraverso momenti bui, passando da cambi di identità e nuovi, costanti esperimenti editoriali, avrebbe portato la Timely a divenire infine Marvel Comics, consacrando il fumetto supereroico a vera e propria forma d’arte.

L’era Timely Comics: qual è il primo fumetto Marvel?

Negli States dei primi anni ’30, reduci dal primo dopoguerra e dalla Grande Depressione scaturita dal Giovedì Nero del 1929, la popolazione era in cerca di una nuova rotta sociale, rappresentata economicamente dal New Deal, ma necessitava anche di un supporto morale, La letteratura pulp fu uno di questi rifugi, una serie di pubblicazioni in cui venivano presentate avventure di esploratori, storie fantascientifiche ed epopee western. Soprattutto su queste ultime si era concentrato Martin Goodman con il suo Complete Western Book, antologia di racconti western realizzati senza l’utilizzo di una redazione vera e propria, ma appoggiandosi esternamente a un’agenza di creativi su commissione, la Funnies Inc.

Oltre alla letteratura pulp, gli americani scoprirono un altro momento di evasioni nei fumetti, inseriti come strisce all’interno dei quotidiani. Occasione per mostrare ai lettori, specialmente i più giovani, avventure appassionanti di ogni genere, che divennero presto uno degli intrattenimenti più amati del periodo. Al punto che nel 1934 a Max Gaines venne un’intuizione: ristampare le strisce in raccolte che avessero una dimensione compatta, come un quotidiano piegato due volte. Con questa idea, Gaines creò il comic book, l’albo a fumetti come lo conosciamo oggi, ma soprattutto diede il via a quella che divenne una rivoluzione per il mondo dei comics. Da questa intuizione di Gaines, infatti, cominciarono a comparire diverse pubblicazioni che seguivano il nuovo formato.

Action Comics #1 (1938)
 

Nel 1938 era uscito Action Comics #1 della National Allied Comics, la futura di DC Comics, in cui compare Superman, momento che segna la nascita della Golden Age dei comics, il periodo in cui si ebbe la maggior fioritura del genere. Un simile successo fu una golosa tentazione per numerosi editori, che videro nella fama dei supereroi una miniera d’oro, tanto che iniziarono decine di case editrici i cui proprietari fiutarono le incredibili possibilità offerte da questi personaggi

Una tendenza che non sfuggì a Goodman, che dopo avere visto il crescente successo di questa tipologia di pubblicazione decise di dare vita a un’apposita redazione che realizzasse comics book. Forte di questa scelta, nel gennaio del 1939 rivoluzionò la sua casa editrice, battezzandola Timely Comics, e assumendo due nomi che avrebbero fatto la storia del fumetto: Joel Simon e Jack Kirby. A loro, venne presto affiancato un giovane, Stanley Lieber, inizialmente con ruolo di assistente, ma che in breve avrebbe avuto un ruolo più marcato nella casa editrice, arrivando a firmare alcune storie con il nom de plume di Stan Lee.

La concorrenza tra le case editrici divenne spietata, la Timely si trovò a dovere entrare nella dinamica di creare continuamente nuovi personaggi e nuove pubblicazioni, che raccontassero avventure soliste o di gruppo dei suoi personaggi. Marvel Comics #1 aveva già presentato alcuni dei personaggi che avrebbero animato le pubblicazioni della casa editrice, come la Torcia Umana e Namor il Sub-Mariner, ma ancora una volta a guidare il mondo dei comics fu la contemporaneità.

Marvel #1 (1939)
 

In Europa, l’ombra del nazismo si stava profilando come un pericoloso nemico, sino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, conflitto che in un primo momento gli States evitarono, anche se in patria iniziavano a sentirsi voci di protesta che invitavano invece il governo a scendere in campo al fianco degli Alleati. In questo contesto comparvero, nel mondo dei comics, i patriotically themed heroes, personaggi dei comics che avevano un dichiarato intento bellico. The Shield fu il primo, ma anche personaggi precedenti, come il Daredevil della Ley Gleason Publishing, vennero ritratti mentre combattevano in prima linea Hitler.

Non pago di avere dato vita a un’offerta sostanziosa di comic book tra il 1939 e il 1940, Goodman decise che era ora di schierare un personaggio nuovo che fosse interprete del sentimento americano riguardo alla guerra in corso, chiedendo a Simon e Kirby di dare vita a un eroe che se ne facesse interprete. I due autori avevano già pronto da tempo una proposta in tal senso, e nel dicembre del 1940 (anche se datato marzo 1941 come da tradizione) comparve Captain America Comics #1, con in copertina un eroe armato di scudo che prendeva a pugni in faccia Hitler in persona!

Captain America divenne un vero e proprio cult, tanto che in breve tempo si ritrovò anche protagonista di una serie di cortometraggi, realizzati dalla Republic, che presentavano una versione diversa del personaggio, ma che ne manteneva l’aspetto. L’imminente vittoria alleata era sembrata un’occasione perfetta a Goodman per spingere il suo personaggio, seguendo una consuetudine del periodo che vedeva gli eroi dei comics conquistare la radio e il cinema, tendenza che possiamo considerata un’antenata del moderno concetto di cinecomic.

Captain America #1
 

In quegli anni, i fumetti dei supereroi sembravano inarrestabili, un mercato florido di cui tutti volevano una fetta, ma questa sovraesposizione del genere, lentamente, portò alla saturazione del mercato, e gli incredibili dati di vendita dei primi anni cominciarono a calare vertiginosamente Un’epoca di così grande fermento per i fumetti aveva un rischio: crollare sotto il proprio peso. La saturazione del mercato con continue uscite era un meccanismo fuori controllo, che in breve ebbe il risultato di creare una sorta di monopolio supereroistico nel mondo del fumetto. All’indomani della Seconda Guerra Mondiale si ebbe una parentesi nota come la Atomic Age, che vide la nascita di personaggi legati alla nuova minaccia nucleare, estremo tentativo di invertire un calo delle vendite dei fumetti supereroistici, dovuta alla voglia dei lettori di vedere il medium calato in altre dimensioni, come la fantascienza, il western o il poliziesco. portando a un crollo del settore che venne definitivamente abbattuto dalla comparsa del Comics Code Authority.

L’era Atlas Comics: gli anni del Commie Smasher 

All’inizio degli anni ’50, inoltre, la società americana era scossa da una tendenza moralista, conseguenza di un clima sociale rigido associato alla comparsa di paranoie dovuta al nuovo assetto mondiale.

Politicamente, il maccartismo, la ‘caccia alle streghe’ legata al pericolo comunista, stava dilagando negli States, ma si assisteva anche ad una visione rigida e oppressiva della cultura più libera. Una battaglia che si estendeva alla ricerca di un capro espiatorio a cui addossare le responsabilità per le ribellioni adolescenziali. E ne vennero trovati ben due: il nascente rock’n’roll e i fumetti.

Ad accanirsi con i fumetti fu in particolare lo psichiatra Fredric Wertham, che nel 1954 pubblicò il saggio La seduzione dell’innocente. All’interno di questa critica, vennero accusati i fumetti come responsabili dei comportamenti associali e devianti dei giovani: dalla criminalità alla dipendenza delle droghe, oltre ad atti immorali legati alla sessualità, non ultima l’omosessualità.

La nascita del Comics Code Authority e la rigida regolamentazione della narrativa a fumetti causò una forte battuta d’arresto per gli editori di fumetti. Molti chiusero bottega, altri cercarono di affrontare l’emorragia di vendite riciclandosi con altre pubblicazioni, considerato come i supereroi non erano più il fulcro dell’interesse dei lettori, che ora cercavano avventure più leggere o che si ispirassero a temi diversi, come fantascienza e spionaggio. E come molte altre realtà, anche la Timely Comcis dovette necessariamente reinventarsi.

La Timely, come altri, deve rinunciare ai suoi supereroi, ma non tutto il male viene per nuocere. Dopo aver visto negli eroi in costume della Golden Age l’incarnazione di una moderna epica, la società americana post bellica viene ora attraversata da nuove paure, come il pericolo atomico, e l’avvicinarsi a nuove narrative, come la fantascienza, che sta prendendo sempre più campo, sia in ambito letterario che in quello cinematografico.

Ancora una volta, Goodman si fa interprete di questa dinamica, scegliendo di cambiare nome alla casa editrice, trasformandola in Atlas Comics, e dando vita a pubblicazioni che offrano al pubblico le storie che desidera, aprendosi anche al pubblico femminile, con comic book che vedono protagoniste adolescenti. Titoli come Patsy Walker e Millie the Model riscuotono grande successo, al pari di pubblicazioni come Tales to Astonish o Strange Tales.

Non mancano dei tentativi di riportare in auge i supereroi, tanto che anche Captain America ritorna in azione, ma in un ruolo che sembra troppo schiavo del suo tempo. Sconfitto il nazismo, Cap ora combatte il nemico comunista, tanto da essere ribattezzato Commie Smasher, lo schiaccia comunisti, sotto la guida di Lee e di un giovane John Romita.

La serie, figlia del clima della Guerra Fredda, non ha il successo sperato, e anche in futuro troverà poco spazio nei piani della casa editrice, che la renderà una parentesi fuori continuità. A tenere alto il buon nome dei supereroi della casa editrice è un altro personaggio della Golden Age, Namor il Sub-Mariner, tanto che si pensa addirittura di renderlo protagonista di un film, ma il progetto naufraga.

Showcase #4 (1954)
 

L’era dei supereroi sembra essere oramai tramontata, ma ancora una volta a dare ossigeno al settore è la casa editrice di Superman e Batman, che da National Alliance Comics è divenuta National Periodical Publication. È innegabile che sia questo editore a dare il ritmo al mondo dei supereroi, ne ha segnato la consacrazione nella Golden Age e ora, nel suo momento più buio, si appresta a sancirne la rinascita con una nuova concezione. Nel 1956, compare in edicola il nuovo Flash, Barry Allen, in Showcase #4, primo tassello di una ricostruzione del mondo eroistico composto da Superman, Batman e Wonder Woman, che con successo rilanciò il genere, tanto che a breve comparve la Justice League, formazione supereroica che raccoglieva i personaggi della DC Comics. Era iniziata la Silver Age del fumetto.

Marvel Comics: la nascita del Marvel Universe

La storia dei comics ci ha insegnato che se Dc Comics ha il coraggio di battere per prima nuove strade, Martin Goodman non manca di cogliere i segni e lanciarsi subito all’inseguimento. La rinascita del fumetto supereroico coincisa con il nuovo Flash, spinse Goodman a voler rinnovare ancora una volta la sua casa editrice, dando nuovamente spazio ai supereroi. 

L’intento di Goodman era di affidarsi al suo autore di punta, Stan Lee, che però, vista l’attuale situazione della casa editrice, era prossimo al licenziamento, intenzionato a dedicarsi a una carriera di scrittore.

Leggenda vuole che Goodman, durante una partita a golf con Julius Schwarts, editor della DC Comics, lo senta vantarsi degli incredibili incassi del suo nuovo comic book, Justice League. Per Goodman è il segnale del ritorno dei supereroi, una nuova era che si apre per la sua casa editrice, come testimoniò Stan Lee:

Martin ci fece presente che aveva notato alcuni dei titoli della National Comics che stavano vendendo incredibilmente bene. Si trattava di una pubblicazione chiamata Justice League of America, ed era basata su un gruppo di supereroi. ‘Se la Justice League vende’ disse Martin ‘perché non pubblichiamo una serie basata su un gruppo di supereroi?

Convinto da Goodman, Lee ha finalmente occasione di potersi cimentare come creatore di personaggi, rivoluzionando il genere, introducendo un elemento di umanità, di fallibilità nei personaggi. Dopo avere assistito a supereroi invincibili, per Lee era il momento di mostrarne le cadute, le difficoltà quotidiane dell’uomo dietro la maschera.

È la nascita del paradigma ‘supereroi con superproblemi’, cui ben presto si unirà anche una dimensione meno eroica e più umana del ruolo dell’eroe, votata al dovere, spesso pressante e ingiusto, che verrà esaltata dal mantra ‘da grandi poteri derivano grandi responsabilità’. Con questi due apparentemente semplici concetti, Lee riesce a rivoluzionare la figura del supereroe, avvalendosi della collaborazione iniziale di due nomi importati della storia dei comics: Jack ‘The King’ Kirby e Steve Ditko.

Fantastic Four #1 (1961)
 

Tutto il lavoro creativo, però, era soggetto a un limite imposto dal distributore, che già si occupava di distribuire i fumetti DC: massimo otto albi mensili. Goodman non si scoraggiò, decidendo di dare ai propri albi cadenza bimestrale, escamotage che gli consentiva di avere in edicola sedici albi. Sistemato questo dettaglio, Lee e Kirby si misero al lavoro per creare una prima formazione di supereroi, come richiesto da Goodman, ma diedero a questa supersquadra un taglio diverso.

Affidandosi a quella che divenne una consuetudine negli anni successivi, si decise di trovare una ragione scientifica alla comparsa dei superpoteri dei nuovi eroi, e le nuove scoperte scientifiche legate alla corsa allo spazio trovarono in un viaggio spaziale sperimentale la soluzione.

 Fu durante una missione nel cosmo che lo scienziato Reed Richards, la fidanzata Susan Storm, accompagnata dal fratello Johnny, e il pilota Benjamin Grimm vennero colpiti da radiazioni cosmiche che diedero loro straordinari poteri, rendendoli i Fantastici Quattro. Era l’agosto 1961 quando Fantastic Four #1 conquistò i lettori, che assistettero anche a un altro momento epocale nella storia dei comics. Per celebrare questa sua nuova avventura editoriale, Goodman decise di cambiare nuovamente nome alla sua casa editrice, ribattezzandola Marvel Comics.

Negli anni immediatamente successivi, il successo dei Fantastici Quattro porta alla nascita di altri personaggi che, nei decenni seguenti, diventeranno parte integrante del Marvel Univers, come Spider-Man, Hulk, Iron Man e gli X-Men.

Spiderman Amazing fantasy
Amazing Adult Fantasy #15 (agosto 1962)
 

Tratto comune ai personaggi, in questa prima fase del Marvel Universe, è un’origine scientifica o pseudo tale, interpretando le crescenti paure dell’era atomica (come per Hulk e X-Men) o del clima della guerra fredda, come per Iron Man e la comparsa di nemici come la Vedova Nera. Lee è instancabile nel suo spronare i suoi collaboratori a creare nuovi personaggi, una frenesia che portò anche parecchi dissidi legati in seguito alla paternità degli eroi Marvel.

Le dinamiche del Metodo Marvel, infatti, prevedevano che chiunque partecipasse al processo creativo dei personaggi ne potesse rivendicare la creazione, a prescindere dall’apporto dato. Lee, che collaborava attivamente stendendo le sinossi delle prime storie o dando suggerimenti, con questo sistema poteva quindi dichiararsi quantomeno co-creatore di ogni personaggio Marvel. Una condizione che creò non pochi problemi in seno alla Marvel, che presto vide l’abbandono di figure importanti come lo stesso Kirby o Wally Wood.

Cosa vuol dire Marvel Comics?

In Marvel si continuarono a sfornare eroi, spesso attingendo a vecchie figure dei comics oramai dimenticate, come il Daredevil della defunta Gleason Publishing, riadattandone i tratti salienti per un nuovo pubblico di lettori, andando a intercettare le nuove situazioni sociali per esaltarle nelle storie.

Sotto questo aspetto, Marvel era più vicina al proprio pubblico, grazie alla visione di Lee, che pagò in termini di vendite e di favore dei lettori, al punto che la Silver Age del fumetto viene anche chiamata anche Marvel Age, considerato come fu proprio la casa editrice guidata da Lee a dettare legge in questa fase della storia dei comics.

nick fury 1
 

La guida di Stan Lee, il suo vedere la Marvel come ‘il mondo fuori dalla finestra’, fu essenziale nel dare alla Casa delle Idee un ruolo di primissimo livello nel panorama fumettistico del periodo. Senza addentrarsi nella rivalità con la DC Comics, aspetto spesso elevato a fanatismo privo di vere motivazioni, va riconosciuto che la Marvel interpretò con particolare attenzione l’evolversi della società contemporanea, arrivando spesso a provocare i limiti del Comics Code Authoriy. 

Eppure, queste limitazioni che impedivano di affrontare atmosfere horror o di citare piaghe sociali note alla società, venne presto preso di mira da Lee, che mirava a mostrare il lato umano e quotidiano di questi personaggi. Non è un caso che gran parte dei primi personaggi marveliani si muovano nelle vide di New York, ove aveva sede la Marvel, ritraendo scene di vita quotidiana della metropoli. Ma quello che più premeva a Stan Lee era ricondurre il ‘super’ a una dimensione umana.

Va riconosciuto a Lee, comunque, l’essere stato un perfetto interprete dei tempi, riuscendo a introdurre nuovi personaggi o storie che fossero uno specchio dei temp. Nell’epoca di primi moti New Age e del crescente interesse per il misticismo arrivò alla creazione di Dottor Strange e durante la blaxploitation diede vita a Luke Cage, il primo supereroe di colore protagonista di una propria serie.

Lee, tra pregi e difetti, divenne il perfetto interprete della mentalità Marvel, arrivando a sfidare il Comcis Code Authority e stimolando i propri sceneggiatori, che ebbero l’ardire di creare storie che affrontassero piaghe sociali in periodi in cui i comics ancora erano percepiti come intrattenimento minore. Storie come Il demone nella bottiglia, Dio ama, l’uomo uccide o L’ultima caccia di Kraven sono simboli dell’anima Marvel, che da sempre valorizza maggiormente l’aspetto umano dei propri protagonisti.

spiderman goblin
 

Facendo perno su due concetti divenuti legge per i Veri Credenti, il citato ‘supereoi con super problemi’ e ‘da grandi poteri derivano grandi responsabilità’, l’intento era di conoscere che gli eroi non erano più invincibili, ma erano costretti ad affrontare le difficoltà quotidiane, perdendo l’aura di mitologico e divenendo più umani. La Silver Age è un’era in cui l’eroe si riscopre umano, soprattutto nelle sue debolezze e come tale deve convivere con grandi sconfitte e ferite morali insormontabili. È da questa filosofia che nascono archi narrativi leggendari come Il demone nella bottiglia, perché la Silver Age ha segnato, in un certo senso, la perdita dell’innocenza dei supereroi. Una crescita emotiva del fumetto supereroico che si può rivedere in una leggendaria storia del Ragno.

Nell’estate del 1973, Gerry Conway, Gil Kane e John Romita Sr realizzano una storia che ancora oggi rimane uno dei momenti più tragici del Marvel Universe: La notte in cui morì Gwen Stacy. All’epoca, Peter Parker era fidanzato con Gwen Stacy, il suo primo grande amore, ma durante uno scontro con il Goblin, questi usa la ragazza per impedire all’Arrampicamuri di inseguirlo, facendola cadere dal ponte di Brooklyn. Spidey riesce a fermare la caduta dell’amata catturandola con una ragnatela prima che impatti con il fiume, ma il contraccolpo del brusco arresto le spezza il collo, uccidendola.

 In quel momento, Spidey uccide la sua amata, il supereroe, seppure involontariamente, non riesce a salvare la donna dell’uomo sotto la maschera, anzi ne causa indirettamente la morte. È uno shock, amplificato dalla disperazione di Parker, che nelle pagine seguenti sembra avere perso ogni bussola morale, ogni freno.

spider-man no more
 

È in questa situazione che si parla di ‘perdita dell’innocenza’, i supereroi non posso più fingere di essere una razza a parte, diventano anche loro consci di essere umani, di avere dei limiti e di essere, come tutti, costretti ad affrontare nemici imbattibili, come la morte. La morte di Gwen Stacy e il dolore di Parker sono l’ultimo capitolo della Silver Age.

Ma la fine della Silver Age non segnò la fine di Marvel Comics, che nei decenni successivi, pur soffrendo come il resto del settore momenti di difficoltà spesso legati a una gestione non ideale del proprio parco personaggi e degli artisti che davano loro vita, dovette affrontare cali nelle vendite e la costante necessità di adattare il contesto supereroico a nuove generazioni di lettori.

Esperimenti non sempre eccelsi come Heroes Reborn hanno mostrato come la costante dinamicità del fumetto supereroico non sia facilmente gestibile, ma al contempo altre dinamiche, come l’introduzione di universi alternativi (come Marvel 2099 e Ultimates), di maxi saghe (La Saga di Fenice Nera, La Guerra delle Armature) o maxi eventi (come Civil War o House of M), sono divenuti nuovi elementi di una grammatica narrativa che ancora oggi rappresenta un’eccellenza del settore.

Dai fumetti Marvel Comics al Marvel Cinematic Universe

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Guardiani della Galassia Vol. 3 - Star-Lord
Chris Pratt è Peter Jason Quill
 

Il passaggio dal mondo dei comics a quello del cinema, oggi visto quasi come un ambito naturale per il pantheon supereroico marveliano, non fu un passaggio immediato.

Già ai tempi della Timely Comics,la crescente popolarità dei fumetti aveva spinto i vertici della casa editrice a sfruttare il loro personaggio di punta, Captain America, come protagonista un serial cinematografico. Appoggiandosi alla Republic Pictures, la Timely decise di creare una serie in pochi episodi che esordì nel 1944, diventando l’ultima produzione della casa di produzione.

 Il Capitan America della Republic Pictures era molto diverso dall’originale cartaceo. Ad indossare l’uniforme dell’eroe non era il soldato Steve Rogers, bensì il procuratore distrettuale Grant Gardner, impegnato a combattere il crimine newyorkese, guidato dal perfido Scarab, identità segreta del dottor Cyrus Maldor. In questa serie TV Marvel, non appaiono né il siero del supersoldato né il tradizionale scudo di Cap.

 Queste differenze portarono a pensare che il primo episodio della serie fosse in realtà lo script di un nuovo fumetto, Mr. Scarlet, con protagonista proprio un procuratore distrettuale. La serie di Cap finì presto, la Republic Pictures chiuse i battenti e la Timely tornò a dedicarsi ai fumetti.

Non paghi di avere conquistato le edicole, i supereroi Marvel a partire degli anni ’70 iniziarono a comparire anche in ambito televisivo, spinti dalla voglia di Lee di rendere i personaggi della Casa delle Idee figure del mondo del cinema, obiettivo che lo portò a lasciare l’amata New York alla volta di Los Angeles.

Marvel Studios
Guardiani della Galassia 3 - Adam Warlock
Will Poulter interpreta Adam Warlock nell'MCU
 

Spider-Man e Capitan America furono i primi eroi marveliani ad approdare sul piccolo schermo, con scarso successo, ma la serie dedicata Hulk divenne un vero cult, tanto che si pensò di dare vita a un universo narrativo più ampio, di cui avrebbero fatto parte anche Iron Man, Thor e Daredevil.

Progetto naufragato, ma in cui si ravvisano i primi segni di una transmedialità promettente, ribadita dal successo della concorrenza al cinema con Superman e Batman negli anni ’80, e che in Marvel, dopo un primo fallimentare tentativo con Howard e il destino del mondo nel 1986, trovò le prime conferme nella seconda metà degli anni ’90 con Blade, sino al successo del primo film degli X-Men.

Dopo aver ceduto parte dei diritti dei propri personaggi (come X-Men, Spider-Man e Fantastici Quattro), la Marvel, attraversati momenti economicamente poco felici, è riuscita a non perdere la propria fama, grazie a leggendarie saghe fumettistiche come Vendicatori: Divisi, La Saga di Fenice Nera e Civil War, o la nascita di nuovi esperimenti narrativi del calibro di Marvel 2099 e dell’universo Ultimate. Materiale incredibile, decenni di storie che sarebbero poi divenuti, in maniera diversa, la base per il futuro cinematografico dei personaggi della Casa delle Idee, quando nel 2008 Iron Man diede vita al Marvel Cinematic Universe.

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