Disincanto 5, recensione: la chiusura sciroccata della serie Netflix di Matt Groening

Autore: Nicholas Massa ,

I primissimi annunci relativi a Disincanto, la serie animata targata Netflix, avevano immediatamente acceso l'immaginazione di tutti gli spettatori, grazie al coinvolgimento di un autore fondamentale nella storia della televisione e dell'animazione mondiale: Matt Groening. Dopo il travolgente successo de I Simpson e altri esperimenti all'interno della narrativa di genere, Groening è tornato con un progetto che trova le sue radici nel fantasy, per poi ampliarne di volta in volta le possibilità espressive e creative, coinvolgendo anche racconti di matrice più puramente fiabesca, lo stile steampunk e moltissimi altri elementi.

Pubblicata su Netflix il 1 settembre 2023, la quinta parte di Disincanto si prefigge l'obiettivo di concludere una storia che negli anni ha preso molte strade diverse, riuscendo comunque a mantenere intatto quel suo stile scanzonato, leggero, dissacrante e irriverente centrale fin dall'inizio. Il risultato finale sarà valso questo folle e inaspettato viaggio fatto di alti e bassi?

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Disincanto 5: dove eravamo rimasti e soprattutto, dove siamo arrivati?

Per cercare di fare il punto della situazione su Disincanto e parlare adeguatamente della sua parte 5, è bene partire da un assunto: a Dreamland può davvero accadere di tutto. Il buon Groening catapulta i suoi fan in un mondo caratterizzato dai tratti più iconici del fantasy e lo infarcisce di gag e momenti folli, attingendo anche dalla dimensione fiabesca, giocando con le favole che tutti, bene o male, conoscono. Il risultato è un racconto dalle mille sfumature inaspettate, capace di cambiare da un momento all'altro, di trasformarsi continuamente mantenendo una sorta di coerenza di fondo riscontrabile specificamente nelle reazioni e risposte dei protagonisti in gioco.

A dominare il regno di Dreamland, quindi, si individua un gigantesco castello simbolo del potere di un re poco assennato. Sua figlia, la principessa Tiabeanie Mariabeanie de la Rochambeau Grunkwitz, per tutti Bean, non ha alcuna intenzione di assolvere i suoi doveri di altezza reale, preferendo di gran lunga fare bagordi in giro, e vivere un'esistenza sregolata in un contesto che fa spesso a meno di regole precise.

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Saranno proprio le sue avventure, al fianco di un improbabile duo composto da un Elfo estremamente ingenuo e un demone di nome Luci, ad alimentare l'intera narrazione di Disincanto con una serie di sviluppi sempre più folli e imprevedibili, attraverso cui vedremo schiudersi un mondo parecchio vasto e dalle mille sfumature. Nel coloratissimo delirio in cui trova posto e giustificazione praticamente qualsiasi cosa (dai funghi allucinogeni, al sesso e all'alcol), c'è sempre un sottilissimo filo conduttore strettamente aggrovigliato alla vita di Bean, al suo passato e al destino che ha sempre inconsapevolmente movimentato il suo incerto cammino.

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Nella quinta parte di Disincanto vedremo  questa giovane protagonista coinvolta in un confronto diretto con la madre, la Regina Dagmar, con l'obiettivo di fermare a tutti i costi i suoi piani e cercare di mettere fine, una volta per tutte, al dolore che questa ha causato sul regno e sulle persone a cui la principessa vuole bene... ovviamente nel modo più sciroccato possibile.

Disincanto 5: una storia difficile da decifrare in toto

Sebbene caratterizzata da un'attenzione molto curata dal punto di vista tecnico, Disincanto 5 non riesce a risultare incisiva come vorrebbe nel suo insieme, spingendo l'acceleratore più sulle gag che sulla trama costruita e portata avanti fino a oggi. Le premesse per qualcosa d'interessante ci sono sempre, così come alcune idee strampalate che avrebbero potuto rendere il tutto più piccante (guarda il coinvolgimento diretto di Dio e Satana, dalla religione cattolica, e la caratterizzazione specifica di entrambi all'interno dei vari eventi). A mancare, però, è la maturità nella scrittura generale che, il più delle volte, si limita a scimmiottare o prendere in giro alcuni stereotipi narrativi propri del genere fantasy, appunto, senza mai andare oltre.

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Così ci ritroviamo a vivere all'interno di un mondo totalmente illogico e schiavo dell'umorismo autoriale di fondo, che anche gli stessi personaggi si ritrovano a commentare alle volte, rompendo la quarta parete. La gigantesca mole di dettagli, luoghi splendidi e maestosi, e personaggi incontrati lungo il cammino, invece di alimentare le possibilità del racconto, ne minano continuamente l'equilibrio, riducendo l'azione a schermo a tante citazioni, ritorni casuali e veramente pochi approfondimenti.

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Un lavoro del genere, ovviamente, impatta senza pietà sugli stessi spettatori che non riescono a empatizzare con ciò che vedono, rendendo difficile il processo di avvicinamento ai protagonisti di Disincanto e la comprensione delle loro stesse ragioni. Inoltre, contrariamente a qualsiasi aspettativa verso il lavoro di Matt Groening, la una serie tv assume una struttura prevalentemente orizzontale, narrativamente parlando, impegnata quindi a tratteggiare un percorso lineare interessato a crescere di volta in volta, per poi arrivare a unire tutti i suoi puntini verso il finale. Il tentativo, forse maldestro, di costruire una vera e propria saga dalle caratteristiche propriamente scapestrate, ha sicuramente influito sul processo creativo alla base di Disincanto, generando un'incostanza generale nella scrittura, da non sottovalutare affatto.

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Dall'altra parte, però, si parla anche una serie spassosamente divertente e senza troppe pretese che, anche nella sua quinta parte, riesce a mantenere perfettamente intatto lo stile che ne ha caratterizzato gli inizi, spingendo ancor di più sull'acceleratore di una sfrontatezza sempre in grado di sorprendere e strappare un sorriso, a volte anche a denti stretti. Quando si entra nel mondo di Dreamland e nelle città vicine è necessario mettere da parte tutti i pregiudizi e la morale più pudica, così da immergersi pienamente in tutta la sfrontatezza ironica e a tratti macabra di un contesto pronto a osare continuamente, spingendo al limite anche le proprie possibilità espressive in termini concettuali.

Disincanto 5 è quindi consigliabile come serie tv?

Assolutamente sì. La conclusione di Disincanto, sempre a patto che abbiate seguito la storia fino a questo punto, è un tassello fondamentale della serie Netflix, nonché il suo finale canonico. Se curiosi nei confronti di Bean, Luci, Elfo, Re Zøg e tutti gli altri, non dovete fare altro che avventurarvi fra le spire di questo racconto estremamente sui generis ed entrare in contatto con il risultato di un lungo e claudicante lavoro che finalmente trova una sua chiusura. Non un pessimo prodotto, piuttosto una storia mai riuscita a trovarsi in toto e a crescere con il passare del tempo.

È proprio questo il tallone d'Achille di una serie tratteggiata da grandi potenzialità, specialmente con un nome come quello di Matt Groening alle spalle. Disincanto non è mai stata in grado d'imboccare una strada precisa da perseguire fino in fondo, preferendo un approccio alla narrazione estremamente fuggevole pur mantenendo la sua linearità, per concentrarsi soprattutto sulle trovate dissacranti e su una comicità a volte troppo ingombrante. Nel prediligere un metodo del genere, ne risulta un'esperienza sia totalizzante che sfilacciata, disunita e ben lontana dal grande impatto ottenuto da storie come I Simpson e Futurama, per fare due esempi. 

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La cura in termini di animazione c'è, così come la caratterizzazione immediata e fugace dei personaggi in gioco, e un certo gusto demistificatorio e derisorio nei confronti del proprio genere di appartenenza e verso una miriade di altri elementi coinvolti nel racconto. A mancare, purtroppo, è la coesione al di là dello spirito ironico, rendendo vani alcuni importanti sforzi narrativi lungo il percorso.

Commento

cpop.it

65

Disincanto 5 cerca con tutte le sue forze di concludere una storia parecchio complessa e variegata, pur nel suo scorrere orizzontale. Tutta la follia provocatoria e ironica vista fino ad ora, quindi, ritorna in un finale che non emoziona fino in fondo, lasciando aperte tantissime domande su questa fatica di Matt Groening e su tutto quello che avrebbe potuto essere. Le risate e le gag la fanno da padrona ma... i problemi sono altrove.

Pro

  • La cura nella caratterizzazione estetica di ambientazione e personaggi in gioco.
  • Lo spirito dissacrante delle gag resta immutato, incrementando ulteriormente la sua sfrontatezza.

Contro

  • Fin troppo caotica e infantile dal punto di vista narrativo.
  • Troppi personaggi e sviluppi vanno perduti lungo il percorso senza alcuna spiegazione.
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