Megalopolis, recensione: il lascito anarchico di Francis Ford Coppola

Megalopolis è tantissime cose, ed è questo il problema del nuovo film di Francis Ford Coppola, in una ricerca che si fa innanzitutto ingenuamente umana.

Autore: Nicholas Massa ,

Megalopolis non è solamente un film, ma una creatura strana, particolare, che si nutre delle ambizioni del suo stesso regista, trasponendone i propositi in una visione piena e complessa, difficile da etichettare o anche solo da tentare di definire. Nell’aspirazione chimerica di un protagonista che fa delle proprie visioni una ragione di vita, si riflette lo stesso sguardo di un regista che ha lottato con tutto se stesso per portare sul grande schermo una pellicola senza dubbio combattuta e a lungo bistrattata, rimandata ma mai del tutto dimenticata o cancellata. Il processo creativo e produttivo dietro Megalopolis, come i più attenti sanno bene, non è stato tra i più semplici, spingendo lo stesso Francis Ford Coppola a sostenere da solo quello che agli altri sembrava non interessare.

In questo sforzo individuale possiamo scorgere una delle principali ragioni dietro la scrittura dello stesso Megalopolis, che non cela tanto quanto si potrebbe credere. Non nasconde troppo la voce e l'ambizione personale, la mal celata sicurezza di un regista che si esprime artisticamente senza alcun limite o freno. In un gesto sregolato del genere troviamo la critica e, al contempo, la palese sicurezza o la volontà di creare rompendo gli schemi di un sistema, quello del cinema e del commercio delle immagini su ampia scala. Un sistema in cui Coppola desidera lasciare un segno, se stesso, e forse anche un monito o una qualche posizione all'interno di una discussione che vive ormai da anni.

Il regista leggendario e il suo sogno. Il nome altisonante di un artista che ha fatto la storia del cinema e una visione che nessuno vuole produrre. Il possibile, commerciale e ben confezionato, contro l’impossibile, dal sapore anarchico. Megalopolis è sicuramente tutte queste cose e molte altre. Nel confronto chimerico tra uomo, futuro, potere, sogno, invidia, rabbia, giustizia, sesso, vanità e, soprattutto, tempo inesorabile, si forma e concretizza innanzitutto un'idea che diventa lungometraggio, una discussione diretta col pubblico, una fiaba ribelle e fuori da ogni schema. Tuttavia, c'è una domanda da porsi quando ci si confronta con Megalopolis e con tutto quello che sappiamo di questo film: dove si trova il limite tra la totale mancanza di regole e l’arroganza?

Un impero al suo apice?

La storia al centro di Megalopolis è, in realtà, abbastanza semplice da inquadrare, in contrapposizione con tutto ciò in cui il film si cimenta. In un periodo storico proiettato verso il futuro, non troppo lontano dal nostro, sorge l’immenso e apparentemente immortale impero di New Rome, una New York che fonde in sé i valori e gli elementi più caratteristici della Roma classica, mescolati con la fantascienza più avanzata e un modernismo, al contempo, sia riconoscibile che interessante da scoprire. In una metropoli dal fascino sia lucente che oscuro, che potrebbe ricordare moltissimi contesti cinematografici simili (come la Los Angeles di Blade Runner, per esempio).

Qui facciamo la conoscenza di Cesar Catilina (interpretato da Adam Driver), un architetto con una visione che lo tormenta e allo stesso tempo lo ispira a proseguire nel proprio lavoro: costruire una metropoli ideale e vivente che consenta a tutti di vivere serenamente; una vera e propria utopia che lo pone in contrasto con la realtà quotidiana. La sua popolarità in città è immensa grazie alla scoperta, da parte sua, di un materiale apparentemente intelligente e dalle mille possibilità creative, chiamato Megalon.

In perfetta opposizione allo stile di vita ingenuo e visionario di Cesar, troviamo non solo l’intera città che, nonostante la popolarità dell’uomo, non ha il tempo necessario per cogliere il suo sogno, ma anche lo stesso sindaco di New Rome: Franklyn Cicero (Giancarlo Esposito). Lui rappresenta la più diretta e chiara incarnazione del raziocinio e della concretezza. I suoi progetti per valorizzare la città si concentrano su risultati immediati e possibilità tangibili. La rivalità fra i due alimenta uno scontro che diventa immediatamente metafora, anche autobiografica, muovendosi di pari passo con tutti gli altri personaggi che si muovono nella caotica realtà di Megalopolis.

Fra questi spiccano Julia Cicero (Nathalie Emmanuel), figlia del sindaco, affascinata dalle possibilità creative di Cesar e a lui legata; Wow Platinum (Aubrey Plaza), una donna senza scrupoli con ambizioni molto alte e nessun problema a usare chiunque per raggiungere i propri obiettivi; e Clodio Pulcher (Shia LaBeouf), cugino di Cesar, invidioso del suo potere e della sua fama. Il loro peso nella narrazione di Megalopolis è fondamentale rispetto agli eventi principali del film, ma è facile notare anche molti altri volti noti in un cast a dir poco stellare, ognuno con un ruolo e un significato diverso all’interno di una narrazione poliedrica.

Il tempo e il sogno impossibile

È impossibile non scorgere lo stesso Francis Ford Coppola nelle pieghe indistinguibili e sregolate di Megalopolis. Fin dal suo esordio sul grande schermo, il personaggio di Cesar diventa una manifestazione diretta del regista, nonché metafora autobiografica. Una riflessione del genere si lega al rapporto che Cesar ha con lo scorrere del tempo.

Cesar possiede la capacità di fermarlo, di controllarne il flusso a suo piacimento, piegando così la realtà con l’unico obiettivo di realizzare un sogno impossibile, che nessuno sembra davvero comprendere. Un concetto del genere, ovviamente, si sposa perfettamente con il cinema e con il lavoro di un regista che, non a caso, da anni cerca di realizzare un film con una gestazione complessa e con cui nessuno sembra voler collaborare.

Eagle Pictures.
Immagine id 18006

Il tempo, il sogno, la visione e la realizzazione di qualcosa che vuole assolutamente emergere sul grande schermo, non collocandosi a livello commerciale, ma puntando esclusivamente sul lato creativo, instaurando un dialogo diretto con l’umanità stessa. Un’ambizione enorme e smisurata quella di Cesar/Coppola, che però si scontra con un lungometraggio estremamente frammentato e disordinato nella sua forma. La possibilità di creare senza regole si manifesta fin dall'inizio, in un processo creativo che non tiene mai conto della grammatica cinematografica tradizionale, riscrivendone la struttura in un percorso difficile da identificare e incasellare.

L’ambizione resta dunque una delle principali forze di questo Megalopolis, che guarda al proprio racconto sia in modo micro che macro. Lo sguardo del film è così ampio da inglobare molte altre critiche, alcune più evidenti, altre meno, nei confronti della nostra attualità e forse anche dello stesso sistema produttivo cinematografico, in una invettiva per immagini che continua ad aggiungere elementi senza mai trovare un vero e proprio equilibrio. New Rome è la rappresentazione più palese, e anche più semplice, della classica piramide socio-consumistica, in cui i potenti manipolano l’opinione pubblica a proprio vantaggio attraverso ogni tipo di distrazione.

La stessa città diventa così una protagonista fondamentale della pellicola di Coppola, frammentata e sospesa tra elementi classici e futuristici, tra il nuovo e il vecchio, tra lo sporco e il lucente, tra ombre e corruzione. Un disegno che trova la propria essenza non tanto nell’estetica delle architetture, quanto nella metafora che queste portano sul grande schermo, riflettendo la visione di Cesar che vorrebbe trasformarne l’identità in modo utopico. Nel ricco immaginario visivo di un regista che sa come stupire, si muovono però i frammenti scomposti di una "fiaba" — come la definisce lo stesso Coppola — disordinata e senza una direzione precisa, se non quella del messaggio finale.

Ad acuire il senso di smarrimento generale contribuiscono anche alcuni dialoghi, che fanno del citazionismo classico la loro raison d’être, in un puzzle di parole ideologico e artificioso, palesemente costruito e distaccato dagli spettatori, tanto da risultare indecifrabile in certi momenti. La scrittura di Megalopolis è, non a caso, indefinibile.

Ci si trova immersi in dinamiche riconoscibili, in un mare di riflessioni e idee che interrompono continuamente ogni tentativo di continuità, lasciando tutto nelle mani di personaggi privi di un ordine chiaro. In questo, il film di Coppola risulta complesso da fruire, impreziosito ma anche appesantito da effetti speciali non sempre all’altezza e, a tratti, eccessivamente distraenti, anche in momenti cruciali.

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Megalopolis è un film di sovrastrutture e ragionamenti, talvolta apertamente stereotipati e piuttosto semplici. Un'opera caratterizzata da citazioni barocche che rivelano la sincerità di un regista che ha fatto la storia, portando finalmente a compimento una visione purtroppo disorganica e sovraccarica nel suo insieme: riconoscibile e disorientante, folle e megalomane, come il titolo stesso suggerisce. Applicando al concetto di sogno e visione utopica una specifica anarchia strutturale, il film risulta divisivo, pur nella sua ingenua sincerità.

Commento

Voto di Cpop

55
Megalopolis è un film sregolato e anarchico, totalmente libero nel suo porsi e creativamente autobiografico. Nel mettere in scena il sogno di un grande regista, però, la pellicola veicola un messaggio che si scontra con una struttura disorganica e disorientante, disperdendo tutto il potenziale di un'utopia che, per alcune cose, lascia il segno.

Pro

  • La regia e alcune inquadrature.
  • Il lavoro fatto dal cast.
  • La fotografia di Mihai Mălaimare Jr.

Contro

  • La struttura del film è fin troppo frammentata.
  • La scrittura dei dialoghi.
  • La sovrabbondanza di idee senza un ordine.
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