Doveva essere l'edizione del ventennale, si è trasformata suo malgrado in quella del lockdown e del Covid-19. Il Trieste Science+Fiction Festival - la più importante realtà italiana dedicata al cinema e ai prodotti audiovisivi di genere SFF - non si è arreso, decidendo in corsa di diventare esclusivamente virtuale e raggiungere il suo pubblico tramite la sua piattaforma online. La risposta è stata notevole: ventiseimila presenze online da tutta Italia, duecentocinquantamila pagine visitate da tutto il mondo e oltre ventimila ore di visione consumate tra i titoli del cartellone
Dopo il verdetto dei giudici, è il momento di tirare le somme di questo appuntamento, dopo averlo seguito con le sue migliori uscite giorno per giorno. A seguire trovate i film più belli e memorabili tra quelli visti in questa edizione.
I film più belli del Trieste S+F Festival 2020
Ormai da due decenni il Festival italiano fotografa la fantascienza al cinema nelle sue accezioni più pure, sperimentali e contemporanee. Quest'anno l'impressione generale è che l'horror - fantascientifico e non - goda di ottima salute, mentre a dimostrarsi più vivaci e convincenti sono state le produzioni mitteleuropee, talvolta radicate in paesi in cui il cinema di genere viene raramente praticato.
Tra le tematiche più gettonate, oltre al sempreverde incontro/scontro con l'alterità aliena e l'inconoscibile intelligenza artificiale, c'è un forte ritorno del subconscio. Tra sogni, allucinazioni e premonizioni, la fantascienza ha viaggiato tanto nello spazio quanto nell'animo umano, con qualche svolta esistenzialista.
Come ben sanno gli appassionati di SFF, questo filone è tutt'altro che meramente escapista. Come ogni anno al fianco della spettacolarità c'è stato dunque spazio per parlare dell'impatto sociale, economico e etico che una tecnologia più avanzata comporta sulle nostre vite.
Ecco i cinque film di genere visti in quest'edizione che meglio fotografano il comparto nel 2020 e che vi consiglio di recuperare all'uscita in sala o su piattaforme streaming:
1 - Sputnik
Difficile non definirlo un trionfo: il film spaziale e celebrale con passaporto russo ha vinto il premio Asteroide come miglior opera prima, quello della critica web e quello finale del pubblico. Con il suo lungometraggio ambientato nel Blocco sovietico negli anni '80 il regista esordiente Egor Abramenko s'inserisce in pieno nel ritorno d'interesse del cinema e della televisione per la dittatura russa dell'epoca e le sue conseguenze talvolta drammatiche (vedi alla voce Cari Compagni! visto a Venezia 77 o Chernobyl e relativa miniserie acclamata dalla critica).
Certo le atmosfere qui sono assai differenti, ma colpisce come questo film che parla di astronauti, alieni e neuropsichiatria abbia tra i suoi obiettivi primari quello di ritrarre un bizantinismo burocratico e un immobilismo decisionale che sono stati spie inequivocabili del declino di quell'organizzazione politica e sociale, uscita sconfitta dalla Guerra fredda.
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2- Post Mortem
Il primo horror ungherese mai realizzato nella storia cinematografica è davvero una chicca per gli amanti del folk horror e delle storie di fantasmi classiche. La cura con cui il contesto storico di uno sperduto villaggio nella foresta ungherese del 1918 infestato dagli spiriti viene ricostruito non lo fa neanche sembrare un film a basso budget. Anche gli effetti speciali sono gestiti con una discreta eleganza, con lunghe ombre nere che affollano le foto e le case del villaggio, finendo per interagire con gli attori in carne e ossa. Splendida la fotografia notturna di un film che ruota tutto al concetto stesso di scatto fotografico.
Infatti l'aspetto più affascinante del film è la centralità con cui si ricostruisce con grande cura storica il mestiere del protagonista, fotografo artistico di salme. Un lavoro scomparso, che ben sintetizza un'epoca in cui anche i bambini mostravano "una rassegnata consuetudine alla morte". Varrebbe la visione solo per la lunga e complessa scena girata sott'acqua.
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3- Relic
Anche in questo caso si parla di fantasmi e oscure presenze, per di più costruiti con un utilizzo minimo di effetti digitali e grande artigianalità, per un risultato molto elegante e materico, da horror di vecchia scuola. L'aspetto più impressionante del film di Natalie Erika James è però come il genere scelto sia funzionale a raccontare un momento drammatico della vita di ogni figlio che vede il genitore farsi anziano e perdere contatto con la realtà. Chi ci è passato non faticherà a leggere tra le metafore di questo horror familiare australiano davvero tutto al femminile l'esperienza personale della regista.
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4- Lapsis
Un altro lungometraggio sorprendente e davvero incantevole, capace di affrontare temi scottanti con un piglio comico e una delicatezza quasi da commedia sentimentale. Anche in questo caso la produzione ovvia molto ai limiti di budget, scegliendo di raccontare un mondo parallelo al nostro in cui esiste un tipo differente ma altrettanto controverso di gig economy, la cosiddetta "economia di lavoretti".
Nel caso specifico il cablaggio mondiale di una nuova, velocissima rete di connessione e scambio dati richiede che i dipendenti delle società che la installano percorrano chilometri e chilometri a piedi dispiegando lunghi cavi in mezzo alle aree naturali, a fronte di uno stipendio molto lauto ma di un contratto di lavoro privo di tutele, con la minaccia di venir soppiantati da piccoli droni che fanno lo stesso lavoro. Lapsis è l'ennesima riprova che bisogna partire dalla buone idee e svilupparle con solidità e coerenza narrativa: quando sviluppato così un film può essere memorabile anche se realizzato con mezzi minimi. La recensione dedicata.
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5 - Peninsula
Difficile non citare almeno una produzione coreana in un festival coronato dalla presenza della serie SF8, già salutata come la Black Mirror coreana. Ho scelto di includere l'atteso "quasi sequel" di Train To Busan perché, nonostante qualche difetto produttivo e una cronica mancanza di una direzione narrativa precisa, conferma quanto il cinema e l'intrattenimento coreani sappiano parlare al pubblico globale, con una freschezza e un'immediatezza che i colleghi negli Stati Uniti faticano davvero ad esprimere. La recensione dedicata.
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