La Torre della Rondine, recensione: si arranca verso il finale della saga

Autore: Simone Alvaro Segatori ,

Nella misteriosa e magica notte dell’equinozio d’autunno, le celebrazioni e i sogni del mondo intero vengono sconvolti da fenomeni inspiegabili: un gelo degno degli inverni più rigidi e una bufera improvvisa scuotono boschi e villaggi. La Caccia Selvaggia, cavalieri spettrali in groppa a destrieri infernali, accoglie la stagione più fredda mietendo vittime, lasciando il nulla dietro di sé e ispirando incubi e allucinazioni. In ogni parte del mondo i fenomeni sono interpretati in modo diverso in base alle tradizioni locali, ma solo chi ha conosciuto Ciri comprende i propri sogni: la Leoncina è in grave pericolo, forse addirittura morta… e questo cambierà tutto.

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Abbiamo viaggiato con Geralt e soci per tutto Il battesimo del fuoco, ma in questo nuovo libro la finestra sulle loro avventure viene chiusa per lasciare nuovamente la scena a Ciri. È giunto infatti giunto il momento, per la Bambina del Sangue Antico, di riprendersi il posto che gli spetta nel mondo togliendo al male il controllo sulla sua vita.

Un lungo resoconto e un viaggio senza meta

Arrivati al quarto romanzo della saga (sesto se si considerano anche le prime due raccolte di racconti) siamo ormai abituati all’eclettismo di Sapkowski e ai suoi continui cambiamenti di stile. Ogni romanzo è infatti differente dal precedente e dopo la linearità sperimentata ne Il battesimo del fuoco, torniamo ad una struttura frammentaria. Per una volta però questa risulta funzionale alla trama e ad un gioco condotto dall’autore per confondere sapientemente il lettore che finalmente arriva a delle verità celate per tutto questo tempo proprio sotto il suo naso.

La torre della rondine ha una struttura ad incastro, si sviluppa in crescendo come una clessidra intorno ad un punto focale, un centro dal quale si allontana per tutto il tempo per poi tornare con nuova consapevolezza. La storia è sviluppata su più linee temporali e spaziali e su diversi punti di vista che si incastrano perfettamente, incrociandosi senza mai incontrarsi. Ogni segmento del romanzo si apre con una cornice narrativa ben definita che serve a raccogliere dei flashback, non per forza della persona che racconta, ma anche di personaggi secondari connessi a quella specifica trama.

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La prima cornice è quella che riguarda Ciri e che, chiudendosi solo alla fine del romanzo, ingloba al suo interno tutte le altre. Poco dopo l’equinozio, la ragazza viene trovata in fin di vita da Vysogota di Corvo, un eremita, ex medico e studioso con ben più di una condanna a morte e all’esilio sulle spalle. Il vecchio la salva e la cura e, dopo un’iniziale diffidenza, Ciri gli racconta gli avvenimenti che l’hanno portata ad un passo dalla morte. La pallida signora assume quindi le sembianze del cacciatore di taglie Leo Bonhart con cui Ciri ingaggia una danza disperata lungo tutto il romanzo, fatta di astuzia, pazienza e solo in piccola parte di forza bruta. Tra tutti quelli che hanno incrociato e incroceranno ancora il cammino della principessa di Cintra, è Bonhart ad essere il suo vero antagonista, l’unico che riesce a tenerle testa e anche l’unico a non avere un piano a lei legato.

Anthony Star
Ciri e Leo Bonhart si sfidano lungo tutto La torre della Rondine

I resoconti di Ciri sono continuamente intervallati dalle sue discussioni con Vysogota, scontri verbali sul male, sulla giustizia, sulla morte e la moralità che mettono a confronto due opinioni opposte e due diverse generazioni, tramite le quali Sapkowski dà le chiavi per interpretare al meglio tutte le vicende, non solo dal punto di vista umano, ma anche politico e sociale.

Geralt, invece, retrocede nuovamente ad un ruolo di contorno, una discesa che sembra quasi voler simboleggiare la caduta del personaggio: sveste sempre più i panni di strigo, una sorta di apatia si impossessa del suo carisma, trasformandolo in un uomo spezzato, un’ombra di sé stesso piena di dubbi e incertezze sulle motivazioni che lo spingono ad andare avanti. Realtà e sogni perdono i loro contorni, rendendo tutto illusorio e permettendo quindi che una rabbia cieca prenda il posto della ragione.

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Il viaggio verso i druidi di Caed Dhu è intervallato da soste ed incontri, che portano anche un nuovo personaggio, Angoulême, ad aggiungersi alla compagnia di Geralt. Il viaggio non si conclude come sperato, ma lo strigo ha l’occasione di incontrare il Saggio Avallac’h, tra i più antichi elfi sopravvissuti all’arrivo degli umani nel mondo. Un incontro a tratti onirico che è pura frustrazione sia per il lettore che per Geralt, a cui viene profetizzato il fallimento della sua ricerca: non potrà più riunirsi a Ciri, poiché lei è destinata a qualcos’altro, all’avverarsi di una seconda profezia che la vede come la salvezza per l’umanità.

Tra le trame principali, quella di Yennefer desta senza dubbio più interesse. Questo personaggio, infatti, è ricco di risorse e dimostra tutto il suo valore quando può agire da solo. Fino ad ora Yennefer era stata infatti quasi sempre una spalla di qualcun altro e l’immagine che ne ricavavamo non poteva che essere influenzata dallo sguardo altrui. Ne La torre della Rondine Yennefer si libera finalmente di ogni legame e costrizione per dedicarsi anima e corpo alla ricerca di Ciri e a ripulire il suo nome, ingiustamente infangato. Le sue vicende ci portano dentro la magia e dentro le leggende di un mondo che, proprio come la maga, meritava un trattamento migliore e più profondo.

CD Project RED
Yennefer la maga nella foresta con il suo corvo

Un romanzo politico e filosofico

Anche in questo quarto capitolo della saga, la guerra è una presenza che incombe sullo sfondo, fondamentale ma inafferrabile. Non sappiamo mai davvero come il conflitto stia proseguendo, quando potrebbe concludersi e chi è in vantaggio. Questo però è tutto tranne che un difetto, infatti Sapkowski non è abile nelle descrizioni di azioni e battaglie e preferisce quindi portarci dietro le quinte, nelle stanze dei castelli dove le sorti dei popoli sono decise come in una lenta partita a scacchi. Alleanze e tradimenti infatti non si compiono con spade e duelli, ma con dialoghi che lo scrittore polacco gestisce magistralmente. Come quello condotto tra la spia Dijkstra e il re di Kovir, perfetto per mettere in luce i diversi caratteri dei due personaggi e per rendere l’idea di una guerra che non è altro che un business. Le incursioni nel futuro e l’intervento di personaggi secondari che per tutto il tempo ascoltano, tacciono ma ricordano, contribuiscono a creare un quadro veramente realistico del conflitto.

Altrettanto efficace è il contrapporsi tra Vattier De Rideaux e Stefan Skellen, raccontato tramite personaggi di passaggio, prostitute che non sono chi sembrano e compagni d’arme infiltrati. Dopo aver lavorato insieme per anni i due si ritrovano separati a combattere per due fazioni diverse, organizzando ognuno il proprio tradimento con ragioni più che legittime, pronti a decidere la vita e la morte di Ciri e il futuro dell’impero stesso, tra tirannia e democrazia.

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La torre della rondine è su questo fronte un romanzo più riflessivo rispetto ai precedenti, in cui l’autore si prende il proprio tempo per filosofeggiare, enunciare teorie politiche e riflettere insieme al lettore sul significato di ordine, giustizia e male. A questo scopo è funzionale non solo la figura di Vysogota, di cui abbiamo parlato in apertura, ma anche Fulko Artevelde, prefetto della cittadina di Riedbrune e fautore di una legge inflessibile per rendere strade e città sicure. Il prefetto e Geralt ingaggiano una lotta verbale sul significato di "sicurezza" che cresce e sfocia fino ad analizzare anche il mestiere dello Strigo, gli ideali e la morale dei cacciatori di mostri. Geralt diventa quindi una rappresentazione dell’uomo post-moderno, diviso e frammentato, senza un’identità precisa, incapace di credere in qualcosa e alla continua ricerca di uno scopo.

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Meglio tardi che mai: uno sguardo agli altri regni

E mentre i suoi personaggi viaggiano a passo più o meno incerto verso il finale della saga, arrivato al penultimo capitolo, Sapkowski decide di darci qualcosa di cui si sentiva la mancanza sin dall’inizio: un mondo vero e profondo. La torre della rondine inizia sviscerando una serie di dettagli su cui l’autore era stato sinora fin troppo parco riguardo argomenti come il conteggio del tempo e degli anni, la rotazione delle stagioni e le festività di umani ed elfi. Viene mostrata una vera e propria base culturale che compensa le mancanze di profondità del libro e fornisce un contesto più che utile per comprendere l’arrivo della Caccia Selvaggia.

Inoltre, Sapkowski presenta due nuovi regni, minoritari rispetto a quelli in cui si svolgono le azioni principali e che fino ad ora aveva solo nominato, ma che risultano molto più interessanti degli imperi centrali: Kovir e Skellige. Per il primo, in particolare, dedica un intero capitolo alla nascita dello stato, un trattato storico divertente ma allo stesso tempo realistico in cui niente, dalla società all’economia, viene dato per scontato. Addirittura lo scrittore indugia nella descrizione delle vie della capitale e nell’aspetto delle case, rivelando curiosità su ognuna delle cose su cui va a posarsi lo sguardo di Dijkstra, protagonista della vicenda. Un’interruzione della storia principale molto apprezzata, che prepara il terreno per il successivo incontro con i regnanti e le nuove trame strategiche che si dispiegheranno.

Gwent / Anna Podedworna
I mari di Skellige

Anche di Skellige ci viene descritto il territorio e la popolazione, aspra come il paesaggio sferzato dal mare e dal vento. Ciò che però risulta più efficace per inquadrare una comunità di lupi di mare sono le loro tradizioni, le leggende, la religione professata e il diverso modo in cui segni ed eventi sono interpretati rispetto alle altre civiltà. Il tutto narrato direttamente dalla voce di Crach An Craite, capo di queste isole vichinghe.

Siamo ormai agli sgoccioli della saga e solo ora Sapkowski espande il mondo rendendolo irresistibile, portandoci a chiedere di più, con un grande rimpianto per tutto ciò che non abbiamo avuto prima. La sensazione è che solo alla fine si sia reso conto dell’enorme potenziale che la saga poteva avere e questa incursione nella storia, insieme alla seconda profezia sulla Rondine, lasciano l’idea di un ripensamento tardivo, di teorie e idee arrivate solo alla fine e non contemplate sin dall’inizio.

Lentamente e tortuosamente la storia de La Torre della Rondine assume un senso compiuto ma, trovandoci a meno un libro dalla fine con una saga che ancora arranca, non possiamo che chiederci: dove vuole arrivare Sapkowski?

Commento

Voto di Cpop

85
Un romanzo-puzzle che trae in inganno il lettore per sorprenderlo sul finale. La Torre della Rondine approfondisce il mondo creato, ma lascia in sospeso una storia che fatica a trovare una quadra.

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