Un'edizione di Venezia davvero sui generis sta per concludersi al Lido, dopo una Mostra che sembrava impossibile da organizzare e sostenere e che invece Alberto Barbera ha traghettato al gran finale con un esito sorprendente e a tratti memorabile. Ovviamente la pandemia si è fatta sentire anche sul cartellone: meno film e più brevi, in modo da poter organizzare molte repliche e consentire a tutti gli addetti ai lavori di vederli, rimanendo distanziati in sala.
Il niet di Hollywood e Netflix ha influito sulla tipologia di film e autori in concorso e al Lido: più cineasti in corso di formazione, più donne, più cinema autoriale e politico. Sapevamo che sarebbe stata un'edizione meno glamour e pop del passato, ma alcuni trend emersi giorno dopo giorno ci hanno comunque sorpreso. In attesa di scoprire chi vincerà il Leone d'Oro di questa bizzarra edizione di Venezia 77, ecco i temi e i trend cinematografici visti in Laguna nel 2020.
Niente sesso, siamo a Venezia
Il Covid-19 ha ucciso anche l'eros, per non parlare del romanticismo. Si spera solo al cinema. In altri anni non solo i film di Venezia proponevano un'ampia selezione di scene tra l'esplicito e il sexy, ma non mancava mai un film bollente, accusato talvolta di scadere nel pornografico. Quest'anno invece tra bacetti a stampo e castigatissimi intercorsi amorosi, sembra di essere tornati al liceo.
Manca l'amore carnale a Venezia e anche quello sentimentale non gode di troppa salute. Tra problemi con la censura cinese (così come raccontato da Ann Hui) e film durissimi i cui protagonisti lottano per sopravvivere in regimi dittatoriali e condizioni di vita estreme, davvero non c'è spazio per l'amore e per l'eros.
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Quando poi arriva il film romantico, ecco che diventa una delle delusioni dell'edizione, vedi alla voce Amants di Nicole Garcia. Unica eccezione, accolta con un sospiro di sollievo: Saint-Narcisse di Bruce LaBruce, icona queer che non è mai stata troppo timida in questo senso. Il suo film lo (ri)vedremo tra qualche giorno al Festival MIX di Milano.
Dittatura, distopie e madri coraggio
Chi sperava di trarre un po' di gioia e speranza dalla proposta di Venezia dopo i mesi bui del lockdown farà bene a tenersi alla larga dai film di quest'anno. In concorso regna incontrastato il genere drammatico, con una netta prevalenza di film politici nei toni e nelle trame, che spesso colpiscono come un pugno allo stomaco.
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I registi di Venezia 77 sentono l'urgenza di raccontare gli eccidi passati e di mettere in guardia il pubblico su quello che può succedere nel presente. Tra i titoli più duri in questo senso ci sono film molto amati dalla critica e che rischiano davvero di finire nel Palmares. Per esempio sono stati molto amati Quo vadis, Aida? di Jasmila Žbanić e Cari compagni di Andrey Konchalovsky. Uno racconta il massacro di Srebrenica del 1995, l'altro ricostruisce attraverso una storia fittizia la corruzione e la violenza del regime sovietico dopo la morte di Stalin. In entrambi i film la voce narrante (e l'ultimo baluardo di speranza) è quella di una madre, in lotta per salvare i propri figli.
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Laddove la speranza proprio non è pervenuta è nel durissimo Nuevo Orden (New Order) di Michel Franco. In un crescendo vertiginoso e agghiacciante il film costruisce una distopia messicana che tramortizza lo spettatore per quanto sia plausibile nel presente. È anche il film con le scene più violente e disturbanti della Mostra. Lucidissimo, spietato, memorabile.
Icone che lottano, tra presente e passato
In un concorso con tante registe si è alzata notevolmente la percentuale di eroine femminili, alcune realmente esistite, altre scritte da autrici e autori. Unite per creare un mondo migliore ma divise dai secoli: Miss Marx e I am Greta raccontano le vite eccezionali di Eleanor Marx e Greta Thunberg, andando oltre il semplice femminismo, presentando la loro aspirazione di cambiare il mondo.
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Donne combattive di ogni età hanno emozionato il pubblico di Venezia: le madri coraggio poc'anzi citate, la ragazzina di Run, Hide, Fight di Kyle Rankinche tenta di salvare i compagni di scuola da una sparatoria al liceo, la madre mancata di Pieces of a Woman di Kornél Mundruczó, che riesce a dire no a una semplice vendetta, lottando contro le pressioni della famiglia.
Registi in lockdown
La stretta attualità della pandemia ha fatto in tempo a sbarcare a Venezia, direttamente o indirettamente, grazie soprattutto ai grandi maestri che non sono voluti mancare al Lido per sostenere il Festival più coraggioso al mondo.
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C'è chi il lockdown l'ha raccontato in prima persona, come Luca Guadagnino con il suo corto Fiori! Fiori! Fiori! o Abel Ferrara con Sportin' Life.Pedro Almodòvar ne ha approfittato per girare un corto con Tilda Swinton, Ann Hui ha ultimato il suo ultimo film in piena pandemia (e tra gli scontri di Hong Kong).
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Ancora Luca Guadagnino, che è riuscito ad ultimare il montaggio di un documentario come Salvatore: Shoemaker of Dreams, a cui lavorava da anni. I grandi del cinema non se ne sono stati con le mani in mano e anzi, alcuni di loro sembrano aver trovato nuovi stimoli professionali durante la reclusione.
Missione salvataggio sale
Praticamente nessun grande ospite ha fatto mancare un appello per salvare il circuito delle sale cinematografiche: i Leoni d'Oro alla carriera Tilda Swinton e Ann Hui, Luca Guadagnino e Pedro Almodóvar, Vanessa Kirby, Susanna Nicchiarelli, Nicole Garcia e tantissimi altri si sono fatti sentire. Che la situazione sia grave e l'incertezza sia forte in merito lo testimonia l'appello esplicito, talvolta la preghiera dei grandi del cinema ai giornalisti, per invitare le persone ad andare nelle sale.
Lo spagnolo Pedro Almodóvar farà di più: girerà un film distopico ambientato in un mondo in cui non c'è più nemmeno un cinema.
Volatili
Dimenticate cani e gatti: è stato l'anno dei volatili a Venezia, possibilmente con un qualche tipo di significato simbolico. Gettonatissimi i colombi, protagonisti di Khorshid (I figli del sole) di Majid Majidi e Le sorelle Macaluso di Emma Dante. In entrambi i film i volatili vengono allevati da personaggi in difficoltà economica, che li trattano amorevolmente mentre tentano di sbarcare il lunario. I colombi diventano ben presto simbolo di una libertà individuale che agli indigenti rimane preclusa, spesso con conseguenze tragiche.
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Come non citare poi la mosca gigante di Mandibules di Quentin Dupieux? Gioiosamente nonsense e surreale, diventa il simbolo potente di un finale memorabile e aperto a mille interpretazioni, prendendosi una rivincita anche sugli amatissimi cani al cinema.
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Escrementi
Nel novero delle scene scult dell'edizione figurano sempre escrementi umani o animali che siano. Difficilmente dimenticheremo Adèle Exarchopoulos che strilla trionfante di aver trovato delle cacche di cane nell'auto dei due protagonisti di Mandibules o Andrew Garfield che defeca in diretta social durante un confronto/scontro con altri influencer in Mainstream di Gia Coppola.
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O anche l'adorabile bimba saccente di Śniegu już nigdy nie będzie (Never Gonna Snow Again) di Małgorzata Szumowska e Michał Englert. Il massaggiatore ucraino protagonista chiede alla figlia di una cliente perché non sia scuola e lei risponde, beata: "perché sto facendo la cacca!".
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