Monsters: La storia di Lyle ed Erik Menendez, recensione: a un passo così dalla mente del mostro

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Autore: Livia Soreca ,

Dopo l'ambizioso e controverso progetto di Dahmer - Mostro: La storia di Jeffrey Dahmer con protagonista Evan Peters, Ryan Murphy e Ian Brennan mettono le mani su una nuova miniserie true crime che naviga su una simile lunghezza d'onda. Dal 19 settembre 2024, infatti, su Netflix potete guardare i 9 episodi di Monsters: La storia di Lyle ed Erik Menendez.

Il cast della nuova serie dei padri di American Horror Story vede Nicholas Alexander Chavez e Cooper Koch nei panni dei fratelli Menendez, noti per essere stati accusati di aver ucciso i propri genitori José Enrique Menendez e Kitty Andersen, qui interpretati rispettivamente da Javier Bardem e Chloë Sevigny, il 20 agosto del 1989 a Beverly Hills.

Chi sono Lyle e Erik Menendez

I fratelli Lyle ed Erik Menendez sono tra i più noti killer statunitensi, protagonisti di un caso di omicidio divenuto presto mediatico, non solo per il ruolo del padre José in quanto personaggio noto, ma anche e soprattutto per gli oscuri segreti della famiglia Menendez venuti a galla durante le indagini e il processo: la scoperta di una lunga catena del male a cui Lyle ed Erik hanno voluto porre fine.

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Il 20 agosto 1989, Lyle ed Erik si sono recati nella loro abitazione e hanno ucciso i due genitori con molteplici colpi di fucile da caccia. Credevano di essere in una botte di ferro, dato che la polizia non ha pensato di verificare tracce di polvere da sparo sotto le loro unghie nel momento dell'arrivo in loco, godendo dell'eredità del padre. Tuttavia, dopo un po' di tempo, un'improvvisa confessione di Erik al suo psicologo Jerome Oziel è stato l'inizio del loro declino.

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Monsters: La storia di Lyle ed Erik Menendez ripercorre a ritroso e in modo frammentario la storia della famiglia e le presunte ragioni dell'orribile gesto, raccontando la giovane vita di due ragazzi il cui benessere meramente economico non è affatto bastato a garantire loro un'infanzia felice.

Nicholas Alexander Chavez e Cooper Koch restituiscono i fratelli Menendez così come il mondo li ha conosciuti: un Lyle esuberante, iperbolico, drammatico, affiancato da un Erik misurato, più fragile, dallo sguardo di ghiaccio. Probabilmente parte del pubblico a conoscenza della storia dei due killer d'America è soltanto curiosa di assorbire la ricostruzione di un'inquietante storia di cronaca nera, ma potrebbe anche voler creare in sé una consapevolezza maggiore su una catena del male difficile da spezzare, cercando di entrare più a fondo "nella mente dei mostri".

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Quella di Monsters: La storia di Lyle ed Erik Menendez è un'analisi narrativa interessante, un viaggio alla scoperta dell'origine di un mare di dolore che culmina con il perenne dibattito su cosa sia quella che noi chiamiamo giustizia e la volontà di determinare una vittima e un carnefice pur sapendo che nel circolo vizioso della violenza i due ruoli diventano sempre più instabili.

I protagonisti scritti da Ryan Murphy e Ian Brennan appaiono come due personaggi perennemente contraddittori, così come si sono mostrati al mondo intero, ma mentre il pubblico vorrebbe una possibile interpretazione della loro contraddittorietà, la mancanza di un punto di vista interno fa sì che l'indagine psicologica, seppur coerente, non sia così viscerale. Potrebbe trattarsi di una mossa meno azzardata di quella che Murphy e Brennan hanno compiuto in Dahmer, evitando così di entrare nuovamente a capofitto nell'occhio del ciclone e restituendo al pubblico un legal drama più imparziale.

Da Dahmer ai Menendez

In tutta la filmografia firmata Murphy-Brennan si avverte una traccia inconfondibile, seppur evoluta nel tempo. Un confronto inevitabile è quello all'interno della sfera true crime, cominciata con alcune stagioni di American Horror Story e proseguita con le miniserie Netflix Dahmer e The Watcher. Se quest'ultima acquista un carattere molto più romanzato e meno da biopic, la serie sul famigerato mostro di Milwaukee è da considerarsi la prima parte di progetto più grande sui mostri d'America, che trova in Monsters: La storia di Lyle ed Erik Menendez una seconda fase tanto simile quanto differente.

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Il pubblico di Ryan Murphy e Ian Brennan arriva da un esperimento come quello di Dahmer, in cui la controversa focalizzazione sulla psicologia del serial killer - non esente da dure critiche sulla spettacolarizzazione del dolore da parte dei parenti delle vittime - ha fatto sì che Jeffrey fosse il nucleo e il motore stesso della storia. Di fatti, il quasi perenne filtro giallo, come quello dei suoi occhiali, affermava un punto di vista soggettivo e univoco, come se lo spettatore seguisse la storia unicamente e perennemente attraverso i suoi occhi e, quindi, le sue singolari percezioni della realtà.

In Monsters: La storia di Lyle ed Erik Menendez, invece, sono gli eventi a fare da fulcro, intorno al quale i personaggi si muovono senza prendere propriamente il controllo che, invece, il personaggio di Jeffrey Dahmer aveva sin dalle prime scene. Il punto di vista è di un osservatore esterno che sicuramente si fa coinvolgere dai fatti, ma non vi entra completamente, evitando di subire quella spinosa fascinazione del progetto precedente.

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Trattando temi estremamente delicati come l'abuso su minori ed essendo spesso ambientato in sale per interrogatori e in un'aula di tribunale, quella di Monsters è una storia fatta di lunghi e strazianti monologhi, faticosi dialoghi capaci di penetrare la mente dello spettatore ed emozionare, anche a costo di fare male. Per ovvie ragioni, quindi, viene spesso abbandonato lo show don't tell che in Dahmer invece regnava; tuttavia, la scrittura talvolta diventa didascalica, precedendo immagini che mostrano ciò che viene raccontato da uno o più personaggi - casi in cui lo show don't tell sarebbe stato quasi d'obbligo, o quantomeno gradito.

Monsters: un viaggio dagli anni '60 ai '90

Se la scrittura talvolta pecca di didascalismo, la collocazione cronologica degli eventi è spesso lasciata ad indicatori temporali significativi inseriti nella narrazione, evidanto così la ridondanza: Batman di Tim Burton e Karate Kid 3 (entrambi film del 1989) al cinema la sera del delitto, il terremoto di Northridge il 17 gennaio del 1994, la paura dell'AIDS negli anni '80 quando ancora si attribuiva all'omosessualità ignorando l'esistenza dell'HIV - tematica che Ryan Murphy e Ian Brennan hanno già affrontato in American Horror Story: NYC.

A livello visivo, oltre ai costumi e alle scenografie, i filtri utilizzati diventano funzionali alla collocazione temporale, dando l'idea di riprese analogiche. Tuttavia, non spiccano utilizzi particolarmente simbolici della luce o della fotografia, fatta eccezione per alcuni ricordi volutamente sfocati di Lyle ed Erik (tra i pochi mostrati e non solamente raccontati).

La colonna sonora asseconda di volta in volta la linea temporale, ma i brani scelti si pongono volutamente in maniera antitetica rispetto agli eventi narrati, giocando sul disturbante contrasto tra motivi energici - persino ballabili - e i momenti violenti o drammatici come lo stesso omicidio di José e Kitty o la loro permanenza in carcere.

Seppur breve, è interessate la parentesi sul personaggio di José Menendez, emblema dell'essere umano che si fa portatore dell'errore generazionale, che fa poiché subisce, che nasce da un "mostro", ci si trasforma e ne diventa padre. Rispetto a ciò che viene restituito di Lyle ed Erik, una scena in particolare vede Javier Bardem donare allo spettatore una delle performance più toccanti, dolorose e disturbanti degli ultimi tempi. Menzione speciale per Ari Graynor nei panni i Leslie Abramson, personaggio che porta sulle spalle non solo il peso di essere un avvocato donna negli anni '80 e '90, ma anche quello di dover difendere un omicida, sfidando la giuria e l'opinione pubblica a mettere in discussione lo stesso concetto di bene e male.

Perché guardare Monsters: La storia di Lyle ed Erik Menendez?

Se siete fan del true crime e dei legal drama, Monsters: La storia di Lyle ed Erik Menendez è un buon connubio. Offre una narrazione interessante in cui c'è tanta coerenza interna e con la realtà, arrivando dunque allo spettatore come una ricostruzione attendibile dei fatti di Ryan Murphy e Ian Brennan e assemblata a modo loro, ma senza mai fare quel passo in più che permette di entrare nella mente del mostro, restando a guardare dall'esterno, dietro un vetro. La scelta di restare in una zona di comfort e dunque, seppur con una scrittura personale, di limitarsi a raccontare i fatti pone un grande divario tra questa serie e il progetto precedente, nel bene e nel male.

Commento

cpop.it

80

Monsters: La storia di Erik e Lyle Menendez è un buon connubio tra legal drama e serie true crime, che rispetto alla discussa Dahmer resta in una zona di comfort, a un passo così dall'entrare nella mente del mostro, raccontando i fatti con una scrittura che grida "Murphy-Brennan", ma senza un'indagine psicologica viscerale che, probabilmente, sarebbe stata recepita come azzardata.

Pro

  • Narrazione appassionante
  • Ottime interpretazioni di Javier Bardem e Ari Graynor
  • Dialoghi emozionanti
  • Colonna sonora antitetica e coerente con la natura contraddittoria dei protagonisti

Contro

  • Ryan Murphy e Ian Brennan restano in una zona di comfort che priva di un'analisi psicologica viscerale
  • Scrittura talvolta didascalica
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