Robot, costrutti senzienti e astronavi: le intelligenze artificiali della cultura pop

Robot, programmi senzienti, replicanti: le intelligenze artificiali nella cultura pop, dai robot di Asimov a Terminator e Blade Runner

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Autore: Manuel Enrico ,

Pensate per esser più umani degli umani, messe alla guida di astronavi o create per aiutare l’umanità, rivelandosi spesso più letali che amichevoli con i sacchi di carne e sangue che le hanno create. Che siano racchiuse in corpi robotici e libere di muoversi per le grandi reti informatiche, le intelligenze artificiali si sono mosse per decenni all’interno dell’immaginario fantascientifico, evolvendosi non solo in termini scientifici ma soprattutto culturali, rispecchiando i mutamenti sociali. 

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Passando dall’identificazione di intelligenza artificiale legate alla figura dei robot arrivando sino ai costrutti digitali resi celebri dal cyberpunk non è solamente un viaggio all’interno della narrativa fantascientica, in ogni media in cui si è manifestata, ma è coincisa con il progredire della scienza e della conseguente percezione del pubblico di queste coscienze sintetiche.  

Robot, programmi senzienti e creature digitali: le I.A. della cultura pop

Già nell’epica classica, infatti, sono presenti delle creature mitologiche molto simili al concetto moderno di robot, come le leggendarie gli aiutanti della fucina di Efesto (o Vulcano). Ispirati da queste leggende, menti eccelse dell’epoca sentirono lo stimolo a replicare la vita e creare esseri meccanici, tanto che Erone di Alessandria scrisse un trattato a riguardo, dall’emblematico titolo di Automa.

Questa sfida continuò anche nell Medio Evo e nel Rinascimento, portando gli automi ad essere un oggetto di grande interesse, sia per gli inventori che per i salotti della nobiltà, che trovava in questi marchingegni un’attrazione irresistibile.

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Questa curiosità, divenuta un vero e proprio fenomeno culturale, portò ad un crescente sviluppo della figura degli automi. Per avere un’idea di questa diffusione, si può considerare che tra il 1860 e il 1910 (quindi un periodo piuttosto recente) la creazione di automi divenne un business estremamente redditizio, al punto che un centro culturale come Parigi ospitava centinaia di botteghe familiari dedite alla creazione di uccelli e altri animali meccanici. Sino a questo momento il termine utilizzato per queste meraviglie meccaniche fu sempre automa. Per avere la prima menzione del termine robot bisogna aspettare il 1920.

La nascita dei robot

Nel 1919, lo scrittore polacco Josef Capek scrisse un racconto, L’ubriacone, in cui era presente la figura di esseri meccanici utilizzati per svolgere attività invise agli esseri umani, noti come automat. Probabilmente fu questa l’ispirazione che portò il fratello di Capek, Karel, a sviluppare ulteriormente questa idea nel suo lavoro teatrale I Robot universali di Rossum, datato 1920. Prendendo spunto dal termine ceco robota (letteralmente, lavoro forzato), Capek inventò il termine robot per identificare gli schiavi meccanici sfruttati dal protagonista dell’opera.

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La visione di questi robot era negativa, diventando una sorta di minaccia per l’umanità. Capek inserì nella propria idea il concetto di sfiducia e pericolo delle nuove tecnologie tipiche del luddismo, identificando nei robot una minaccia per il lavoro umano all’interno della filiera industriale, tema ancora acceso in tempi recenti.

I robot di Capek sembravano mantenere quella tradizionale accezione negativa, che venne ancor più rinsaldata da uno dei film cyberpunk per eccellenza, Metropolis (1927), in cui la figura del ginoide Maria si configura come il pericoloso essere artificiale. Una continuità di sospetto e rifiuto verso l’artificiale iniziata con la figura del mostro di Frankenstein, che diede il via a un preconcetto nel mondo della narrazione d’anticipazione che venne ribattezzato complesso di Frankestein

In realtà, questa sensazione di sfiducia non nasce come avversione pura verso l’artificiale, ma è diretta alla capacità che questi nati come schiavi possano mostrate un’incredibilmente umana voglia di ribellione. Che parta da esseri antropomorfi o che sia originata da incorporee intelligenze artificiali, che sia un Terminator o un HAL 9000 per intenderci, questa sfiducia è tale che investe solo quegli esseri robotici dalla forma umana, che al contempo ci ricordano quanto simili e quanto diversi siano da noi.

La visione del sintetico come contrapposto all’organico diventa una consuetudine della narrativa d’anticipazione del periodo, andando a creare una rivalità concettuale che permane a lungo all’interno dei canoni del genere. Un diktat narrativo che ha atteso una figura precisa, capace di prendere il complesso di Frankenstein e ribaltarlo, concependo una radicale rivoluzione nel rapporto tra umanità e forme di intelligenze artificiale: Isaac Asimov. Un predestinato, se vogliamo credere al destino, considerato che Asimov nasceva in Russia proprio mentre Capek concepiva il concetto di robot. 

I robot di Asimov: da nemico a protettore

Scrittore prolifico, saggista e uomo di scienza, Asimov iniziò a scrivere storie su questi esseri artificiali andando controcorrente, ideando una serie di figure che si contrapponevano al complesso di Frankenstein (termine che coniò proprio Asimov) e che mostrassero una diversa visione dei robot.

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Il primo racconto a tema robotico di Isaac Asimov fu Robbie (1939), prima visione di questo mondo futuro in cui la convivenza uomo-macchina era una realtà. Isaac Asimov ideò elementi essenziali della sua produzione seguente, come il cervello positronico o l’azienda produttrice dei robot, la U.S. Robotics and Mechanical Men. 

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Io, robot

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Antologia di Isaac Asimov

Tuttavia, l’elemento centrale della sua produzione fu la creazione di una regolamentazione del comportamento dei robot, che venne racchiusa nelle celebri Tre Leggi della Robotica:

Prima Legge: Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno. Purché questo non contrasti con la Legge Zero

Seconda Legge: Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Legge Zero e alla Prima Legge.

Terza Legge: Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Legge Zero, la Prima Legge e la Seconda Legge.

Inizialmente, Isaac Asimov immaginò questi tre principi come la base della sua struttura narrativa, una linea guida che consentisse a umani e robot di convivere. 

All’interno del Ciclo di Robot, queste leggi furono non solo l’elemento che consentì l’esistenza di una società ibrida, ma divennero anche lo spunto per analizzare l’umanità insita in queste creature. Il principio di questa vena narrativa di Isaac Asimov venne ribadita dallo stesso autore:

Realizzai i robot come creature innocue, create per svolgere quei lavori per cui erano stati progettati. Dovevano esser incapaci di nuocere all’uomo, pur divenendo oggetto di scherno e soprusi da parte degli umani, ancora influenzati dal ‘complesso di Frankestein’, che continuavano a vedere in quelle misere forme di vita meccaniche come una potenziale minaccia

La creazione del complesso di Frankestein era una parte essenziale di questo corpus narrativo, una funzione talmente reale e credibile che dalle sue origini simili al luddismo divenne una patologia reale e riconosciuta oggi nell’automatofobia. A ben vedere, fu proprio questa pecca dello spirito umano ad esser il vero antagonista nei racconti sui robot e nel Ciclo dei Robot, una nemesi che tentava di spezzare in ogni modo una potenziale convivenza.

A contrapporsi furono eroi insoliti e sofferentemente umani come la dottoressa Susan Calvin, robopsicologa della U.S. Robotics and Mechanical Men, che cercava di abbattere queste barriere, credendo fermamente nelle Tre Leggi della Robotica e arrivando al punto di sentire più affinità con gli esseri artificiali che non con i suoi simili.

Asimov era conscio di come la visione dei robot dovesse mutare anche nel modo in cui venivano percepiti dagli umani e questo richiedeva la presenza di un punto di contatto, la creazione di un’identità individuale che rendesse i robot non degli oggetti ma degli individui. Il dettaglio per cambiare questa percezione prese forma nell’abitudine della Calvin di dare un nome umano ai robot, partendo dal loro identificativo di produzione, come accadeva ne Il piccolo robot perduto, dove il robot NS-2 venne ribattezzato Nestor dalla Calvin.

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Sogni di robot

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Sogni di robot, antologia di Isaac Asimov

Il Ciclo dei Robot fu solo il primo passo per la rinascita dei robot come compagni dell’umanità e non come una minaccia. Già nei suoi racconti sui robot, Isaac Asimov cercava di creare un ponte emotivo tra umani e robot, andando ad eliminare quella che era una divisione fisica (biologico o sintetico) lavorando su un complesso di storie che facesse sorgere nel lettore un dubbio: i robot sono davvero così diversi da noi? È una nuova forma di vita, degna di rispetto, diritti e riconoscimenti?

L'intelligenza artificiale e i limiti umani

I racconti sui robot di Asimov non si fermarono con la nascita di altre saghe dello scrittore, ma continuarono ad intrecciarsi con la produzione di Isaac Asimov. A ben vedere, il successivo Ciclo dei Robot e l’altra grande opera di Asimov, il Ciclo della Fondazione, possono essere considerati un tutt’uno organico, un universo narrativo coeso e in cui il ruolo dei robot si evolve, passando da compagni di un’umanità che diffida di loro a protettori della razza umana.

Un primo passaggio di questa profonda affinità tra umani e robot è un racconto del 1976, L’uomo bicentenario, divenuto poi anche uno dei film ispirati alla produzione di Isaac Asimov, interpretato da uno struggente Robin Williams.

Il robot Andrew (NDR-113) mostra un inconsueto talento artistico nella lavorazione del legno, e i suoi proprietari, la famiglia Martin, inizialmente fraintende questo suo dono come un difetto, e solo l’insistenza della figlia minore (che Andrew chiama Piccola Miss) spinge il padre a ritornare sui suoi passi, decidendo invece di vendere i pregiati lavori di Andrew, garantendogli quindi una piccola fortuna. Questo approccio spinge il robot ad avere comportamenti umani, a maturare una coscienza, una volontà di essere definito come essere vivente, sfondando definitivamente la barriera del Complesso di Frakenstein.

Andrew tenta di esser sempre più umano, nelle usanze, ma anche nel corpo, sostituendo parti meccaniche con organi sempre più simili a quelli umani; è una progressiva marcia verso l’ottenimento di una vita più “umana” e meno robotica, che renda Andrew felice e realizzato. Il racconto finisce con Andrew che viene riconosciuto non solo come essere vivente, ma come uomo, diventano il primo uomo bicentenario e ottenendo l’ultimo aspetto dell’umanità: la mortalità, raggiunta proprio sul finale non con paura, ma con lieta accettazione della propria condizione, finalmente umana.

Inevitabile vedere in Andrew il simbolo stesso della filosofia di Isaac Asimov. Si va oltre i limiti imposti dalla visione di Capek, i robot prendono coscienza della propria esistenza e dei propri impulsi vitali. Andrew nasce da un potenziale errore di programmazione, un caso, così come la vita stessa è nata da un evento casuale. A riconfermare quanto la casualità tipica della vita possa adattarsi anche alla presunta meccanicità dell’esistenza robotica, Isaac Asimov crea altri due robot in cui eventi fortuiti portano ad una mutazione della loro concezione.

In Bugiardo un robot, per un errore di assemblaggio, riesce a leggere nel pensiero e adatta il proprio comportamento alle aspettative degli umani con cui ha a che fare; il robot si trova a dover affrontare la complessità dei sentimenti umani in relazione alla Tre leggi, senza però avere una sufficiente esperienza che consenta un giusto comportamento nei confronti degli umani. Il robot crede che l’infrangere le speranze degli umani (in questo caso un amore non corrisposto della dottoressa Calvin) equivalga a infrangere la Prima Legge; la difficoltà del robot di gestire questo contesto emotivo diventa il casus belli del racconto, ma soprattutto l’arma con cui una ferita Calvin punirà il cupido mendace causandone la disattivazione.

Sempre la dottoressa Calvin, nel già citato Il piccolo robot perduto, dovrà affrontare un robot che, a causa di una versione modificata della Prima Legge (ridotta in ‘Un robot non può recar danno ad un essere umano’) per facilitarne l’impiego in un particolare ambiente, interpreta in maniera differente le direttive umane. Per obbedire ad un ordine dato un umano in un attimo di rabbia, il robot Nestor (numero di serie, NS-2) si andrà a nascondere in mezzo ad altri suoi simili, rendendo impossibile trovarlo. In questo frangente, il robot sviluppa anche un particolare percorso mentale che lo porta a sviluppare un decisamente umano complesso di superiorità, arma usata dalla Calvin per scovarlo in mezzo ai suoi simili.

Questi esempi potrebbero sembrare un indizio a sfavore dei robot, mostrando una loro potenziale pericolosità. In realtà, sono rivelatori di aspetti incredibilmente umani, dall’incapacità di gestire le relazioni interpersonali all’istinto di sopravvivenza. In questi casi, le Tre Leggi della Robotica non si rivelano solo un corpus di leggi che dovrebbe proteggere gli umani, ma anche una limitazione all’interpretazione delle crescenti modalità di interazione con i robot, che si stanno evolvendo, richiedendo quindi un’evoluzione anche delle Tre Leggi.

Non è un caso che questa evoluzione prenda luogo in una nuova fase della vita personale di Isaac Asimov: la paternità. Il vivere la crescita dei figli, in un continuo confronto, porta Asimov a maturare non solo un’evoluzione delle sue Tre Leggi ma anche a vedere un ruolo diverso per l’umanità e per i suoi fratelli robotici.

Una progressione narrativa e morale che prende pienamente vita nel Ciclo dei Robot, la base da cui si evolverà poi la continuità narrativa dell’intera produzione di Asimov.

R. Giskard Reventlov: la rivoluzione copernicana delle I.A.

Il Ciclo dei Robot (Abissi d’acciaio, Il sole nudo, I robot dell’alba, I robot e l’impero) è l’evoluzione delle linee guida che hanno tracciato la narrativa di Isaac Asimov. All’interno di questo ciclo viene creato una società in cui le reticenze all’integrazione uomo-robot hanno portato ad una Terra retrograda e divenuta un inferno tecnologico, mentre le colonie, obbligate al supporto dei robot, per rendere abitabili nuovi mondi, sono prosperate. In entrambe le società, comunque, sono presenti difetti che minano questi stili di vita, caratterizzati da una mancanza di equilibrio tra le diverse componenti dei contesti sociali.

Al centro di questo Ciclo, ci sono l’investigatore umano Eljiah Baley e il detective coloniale R. Daneel Oliwav. La R sta per Robot. I due, dopo un’iniziale diffidenza frutto di preconcetti e paure ataviche dell’umanità, stringono una forte amicizia, che consente a Bailey di rivedere la sua concezione dei robot, amici e fratelli, mentre Olivaw apprende l’importanza dell’umanità e come interagire con questi complicati esseri dominati dalle emozioni. Da questa profonda amicizia, nascerà una delle figure essenziali anche dell’altro grande ciclo di Asimov, il Ciclo della Fondazione.

È ne I robot e l’impero che sia assiste al primo passo di un cambio negli equilibri tra umani e robot. Che sia la maturazione individuale di Asimov, ora padre, o un percorso narrativo da sempre nella mentre dello scrittore non è mai stato chiarito, ma in questo romanzo sembra nascere un concetto di eredità e lascito che trasforma uno dei due protagonisti nell’elemento portante dell’intera narrativa di Asimov.

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Olivaw affronta la vita senza il suo amico umano, morto da diversi anni, ma viene affiancato da un altro robot, R. Giskard Reventlov, già comparso nel precedente I robot dell’alba e anch’esso amico di Bailey, che darà completezza alla sua crescita interiore, portandolo a riflettere su come i robot possano aiutare gli umani, non apertamente onde evitare di acuire il timore nei confronti delle forme di vita artificiali, ma divenendo silenziosi e discreti protettori. Curiosamente, R.Giskard Reventlov è dotato di un potere simile a quello dello sfortunato protagonista di Bugiardo, ma se in precedenza questa capacità si era rivelata un problema, per Giskard questo dono diventa il mezzo per dare all’umanità e ai robot una nuova occasione.

È da questo principio di protezione e rispetto per la vita umana, figli delle Tre Leggi della Robotica, che in fin di vita Reventlov riformula la Prima Legge delle Robotica, intuendo che ad essere importante non è il singolo uomo ma l’umanità, anche a scapito della vita di uno o più individui. È la nascita della Legge Zero, la direttiva che spingerà Daneel a seguire in maniera discreta tutta l’evoluzione umana per i seguenti ventimila anni, sorvegliando gli uomini come un fratello maggiore, e portando alla scomparsa dei robot, che diventano una figura leggendaria.

 Legge Zero: Un robot non può recare danno all’umanità, né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, l’umanità riceva danno.

R. Daneel Olivaw diventa, quindi, il punto di contatto tra il Ciclo dei Robot e il Ciclo della Fondazione. Non più semplice strumento meccanico vincolato ad una programmazione, ma individuo capace di prendere proprie decisioni, guidato anche da atteggiamenti che rispecchiano un’emotività che sembra impossibile per un essere robotico.

R. Daneel Olivaw sacrifica la propria esistenza per essere il protettore di un’umanità sempre sull’orlo della propria distruzione, assumendo un ruolo fatto di sacrificio e dedizione per una causa di cui nessuno sembra esser a conoscenza, vivendo un’esistenza solitaria. Daneel diventa il simbolo della crescita morale e sentimentale dei robot, fulcro di un percorso iniziato dal primo abbraccio di una bambina al suo amico meccanico in Robbie, continuato con l’ingenuo comportamento del robot di Bugiardo e lo slancio di vita di Andrew in L’uomo bicentenario, che si completa in R. Daneel Olivaw, ormai in pieno possesso di una coscienza e di tutti i sentimenti tipicamente umani, forse il più umano di tutti i personaggi di Isaac Asimov.

Le I.A. nella fantascienza moderna

Dove Asimov cercava di creare una nuova dinamica tra umani e robot, complice l’allora ancora misteriosa scienza informatica, l’immaginario fantascientifico sembrava ancora vedere nei robot un rivale anziché un compagno di avventura. La fantascienza cinematografica tardava ad accettare gli esseri meccanici come possibili elementi positivi, sostituendoli ben presto con la concezione di nuovi spunti narrativi, come la minaccia aliena.

In un periodo come quello post-bellico, caratterizzato dalla paura del nemico pronto a infiltrarsi nella società per rovinarla dall’interno, era più suggestivo l’idea di un alieno mutaforma che non quella di un facilmente riconoscibile pezzo di metallo semovente. Eppure, le intelligenze artificiali erano pronte a prendersi la propria rivincita, almeno nella fantasia. 

A partire da cult come 2001: Odissea nello spazio e Blade Runner, sino a Terminator, le I.A. tornano a essere un potenziale nemico, ma sono ora caratterizzate da una diversa caratterizzazione: puntano all’umanità. 

Tanto HAL 9000 quanto i Nexus 6 di Blade Runner, ad esempio, sono mossi da una viscerale attaccamento alla vita, lottano con disperazione per garantirsi una vita, sollevando un quesito quasi etico: come stabilire quando un’intelligenza artificiale diventa vita senziente? E in seconda battuta, queste nuove forme di vita, come reagiranno ai precedenti comportamenti umani?

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Da mero strumento narrativo identificato come il nemico, robotiche o di altra foggia, le intelligenze artificiali prendono una connotazione più strutturata, arrivando a essere spesso le vere protagoniste. Senza scomodare il leggendario monologo di Roy Batty, è sufficiente ripensare a come un contesto narrativo del calibro di Matrix abbia intessuto un racconto evolutivo di I.A., specialmente con AniMatrix, andando a creare una sorta di rivalsa delle macchine dopo una feroce schiavitù.

La concezione moderna del rapporto con le I.A., infatti, punta a costruire una nuova contrapposizione tra biologico e sintetico, ma non limitata a una dicotomia funzionale, quanto fondata su una gamma di sfumature che vuole mostrare nuove possibilità. Se il dialogo reale sulle I.A. punta a una sorta di contrasto luddista, frutto di una mancanza di reale conoscenza e di una ancor più miope legislazione, la componente fantastica, nel mirare a una metafora che sappia unire tradizione e contemporaneità, cerca di sposare questa nuova visione del complesso rapporto con i nostri compagni sintetici. 

Una diversa visione che ha trovato modo di manifestarsi anche nel seguito di uno dei cult del genere, come Blade Runner 2049, in cui i temi della pellicola di Scott hanno lasciato spazio a una componente più intima ed emotiva secondo quanto imbastito da Villeneuve. Regista che ha toccato recentemente un’altra saga sci-fi che ha avuto un rapporto particolare con l’intelligenza artificiale, Dune, in cui le cosiddette macchine pensanti sono state eliminate dall’equazione con una rivoluzione. 

Non stupisce come anche una serie che segnato la fantascienza moderna, Star Trek, abbia voluto calarsi in questo delicato argomento. Con una delle sue ultime produzioni, Picard, abbiamo visto come anche il futuro pacifico di Star Trek si sia confrontato con la delicata questione delle I.A., mossi spesso dal timore, ereditando una vecchia questione di The Next Generation, che ruotava proprio attorno alla figura di Data come essere senziente, e non come strumento. 

Volendo ricercare tutte le diverse interpretazioni del rapporto con le I.A. nella fantascienza, in qualunque sua forma, sarebbe un’opera titanica. La natura della relazione tra organico e sintetico, tuttavia, andrebbe analizzata in base ai diversi stimoli che hanno animato i narratori, influenzati dalla potenzialità che questa contrapposizione rappresenta come metafora di ben più concrete divisioni sociali. Dimostrazione lampante sono interpretazioni fumettistiche, specialmente di stampo orientale (da AstroBoy a Ghost in The Shell), che hanno colto l'essenza filosofica del rapporto tra carbonio e ferro, carne e metallo, organico e sintetico.

Possono essere letali avversari, ma abbiamo avuto modo di vedere come le I.A. siano state amichevoli compagne di viaggio. Possiamo cedere agli incubi che accompagnano i letali assassini di Skynet, ma non dimentichiamo la dedizione con cui un robot ha voluto divenire umano in L’uomo bicentenario

Nonostante siano esistiti robot e intelligenze artificiali prima del concretizzarsi delle Tre Leggi della Robotica, è da notare come le figure nella fantascienza moderna, letteraria o cinematografica, che hanno maggiore definizione sono i robot che aderiscono alla Tre Leggi formulate da Isaac Asimov o che si comportano in modo completamente opposto a quanto formulato dallo scrittore.

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In una società come la nostra, in cui la presenza della robotica di massa è ancora vincolata da un ambito prettamente industriale, la figura delle I.A. non è ancora fuoriuscita dal suo immaginario fantascientifico. Eppure, la rapidità con cui si fanno passi avanti nello studio delle intelligenze artificiali e la comparsa sempre più frequente di androidi dalle fattezze umane sono spinte evolutive che non possono fare a meno di fare ripensare al lavoro di Asimov. 

Le reazioni ai servizi televisivi sono spesso foriere di una sensazione di inquietudine alla visione di essere meccanici simili a noi, un eco del complesso di Frankestein teorizzato da Isaac Asimov, spingendo studiosi e teorici a vedere proprio nelle Tre Leggi della Robotica una forza ispiratrice per creare una sistema che regoli (e controlli) i futuri robot. Viene da pensare che oltre a regolamentare i comportamenti dei robot sia da sensibilizzare anche la parte umana di questa potenziale società futura, una guida morale che passa anche dalla riscoperta della produzione di Isaac Asimov.

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