Doctor Strange nel Multiverso della Follia è un film che usa spesso la parola "incursione" per raccontare le sue molte realtà alternative, che finiscono tutte per avere il sapore di casa. Incidentalmente, incursione è un termine perfetto per descrivere questo film, il suo grande entusiasmo, le sue molte virtù ma, duole dirlo, i suoi abbondanti difetti.
Scrivo questa recensione a caldo, a pochi minuti dalla fine dei titoli di coda e due cose sono certe: Sam Raimi è un regista che si muove su livelli preclusi a molti colleghi, perfetto per amplificare al massimo quello che forse è il maggior pregio di Marvel: la capacità di generare entusiasmo, galvanizzare il suo pubblico mentre è lì, seduto sulla poltrona del cinema. A mente fredda è probabile che il film mostri i suoi punti deboli, sia a livello di trama sia nel vasto universo Marvel, sempre più difficile da tenere unito, aggregato.
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Se la gioia di ritrovare un Sam Raimi in ottima forma è immensa, col tempo forse emergerà l'amarezza di aggiungerlo alla lista di quanti Marvel non usa al loro pieno potenziale, quanto piuttosto per "coprire" le sue debolezze più recenti.
Wanda e Strange si contendono un film troppo piccolo per entrambi
Doctor Strange nel Multiverso della Follia è quello che gli inglesi definirebbero un cautionary tale, un racconto che ha in sé un avvertimento, che mette in guardia chi lo ascolta e segue. In questo film Steven Strange (Benedict Cumberbatch) si ritrova a viaggiare per il Multiverso insieme a una ragazza di nome America Chavez (Xochitl Gomez), che ha il potere di passare da una versione all'altra della realtà, senza però riuscire a controllarlo. Il film è prevedibilmente una gigantesca messa in guardia dal pericolo di fare incursioni in realtà non proprie, di tenere il piede a bagno in più realtà, di cedere a una complessità variegata e alla lunga insostenibile per proprio tornaconto personale.
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Il racconto che Marvel fa a noi dovrebbe rivolgerlo a sé stessa. La quantità di compiti a cui Doctor Strange deve assolvere prima di poter raccontare la sua storia è impressionante e finisce per pregiudicare (in alcuni punti in maniera importante) la sua riuscita. Per un certo verso è un film stand alone, che racconta un'avventura di Steven Strange. In maniera abbastanza convenzionale, il film approfondisce il suo ambiguo rapporto con il potere magico, la sua arroganza, i suoi rimpianti per quello che non è successo con l'amata Christine (Rachel McAdams) e la sua ritrosia ad assolvere il ruolo di leader, preferendo quello di mentore e allievo.
Sappiamo che Cumberbatch è un attore di razza che nell'ultimo anno si è avventurato in territori a lui poco familiari, prendendosi dei rischi. Dopo Il potere del cane, anche qui si prende un azzardo, dimostrando di poter essere rassicurante per il pubblico delle famiglie, di avere una certa vena comica e slapstick e - proprio come il suo personaggio - di aver imparato a cedere la scena quando necessario.
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Di fatto per buona parte del film il centro della scena va a Elizabeth Olsen nel ruolo di Wanda Maximoff che - parole sue - è impegnata a uscire dal tunnel luttuoso affrontato in WandaVision. Lo fa a modo suo, con un ruolo potente in tutti i sensi, che richiama altri personaggi di altri generi, ma che ha troppo spazio a disposizione per il poco materiale a disposizione. Olsen e Cumberbatch si dividono un film solo con due grandi personaggi che avrebbero bisogno di più spazio e risultano entrambi in qualche modo non valorizzati al massimo.
Lei però ha per le mani un personaggio che per la prima metà è ricco di sorprese e capace di grandi momenti emotivi, genuinamente impattanti. L'urgenza di Marvel di voltare pagina e stuzzicarci con il film successivo, il prossimo personaggio e il problema del futuro interrompe un po' quella che avrebbe potuto essere una performance ancora più memorabile.
La differenza la fa Sam Raimi
Quello che era un dubbio sta diventando una certezza. Per arginare la consunzione dello schema che utilizza (sfrutta?) da anni, Marvel sta tentando di fagocitare nei suoi film tutti gli altri generi disponibili. In Moon Knight abbiamo visto un tentativo di thriller psicologico, qui c'è chiaramente una fortissima impronta horror.
L'idea di richiamare Sam Raimi, che questo genere d'incursioni le ha praticamente inventate con la sua trilogia di Spider-Man, è banale, ma efficace. Raimi non ha perso il suo tocco e anzi: nella seconda parte della pellicola, quando il film ha perso tutte le cose interessanti da dire, dilaga.
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Onore al merito a Marvel che gli ha lasciato abbastanza campo libero da creare una serie di strepitosi minifilm dentro il film, con una sfilza di omaggi al genere horror d'antan, in particolare degli anni '80 (c'è tanta aria di quegli stessi prodotti a cui ha attinto a piene mani Stranger Things) e persino da film non troppo raffinati a basso budget.
A voler essere cinici - e forse a mente fredda ce ne sarà bisogno - questo lavorio horror è a sua volta l'ennesima citazione, l'ennesimo omaggio, moltiplicato per dimensione e forma, a quel Spider-Man 2 che ha raggiunto vette che questo film avrebbe tutti i mezzi per replicare, ma Marvel è ossessionata dal controllo della sua creatura, che rischia continuamente di sfuggirgli di mano. C'è codardia ma anche coraggio, mescolati in un mix che stordisce di divertimento e sorpresa, ma che non sempre risulta equilibrato.
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Raimi azzarda scene e suggerisce risvolti horror che bypassano di pochissimo il limite che richiederebbe un rating più alto del film, tenendo in sala il pubblico delle famiglie ma dandogli una bella scossa (e dando spesso di gomito a chi in sala capisce di che si sta parlando davvero, sia in ambito comics sia in ambito horror).
Come film d'intrattenimento Doctor Strange nel Multiverso della Follia fa tutto il necessario e più per offrire divertimento ad alto voltaggio a chi ai film Marvel chiede un'esperienza galvanizzante, nerd, d'escapismo. Sembra un sogno, ma al risveglio potrebbe trasformarsi in qualcosa di ben più sgradevole: un film che esaurito lo stupore iniziale, risulta poco longevo.
È un delitto però continuare a sottoutilizzare talenti di questo livello per film iperconsapevoli, ipercalcolati, d'artificiosa spontaneità, che vogliono sempre tenere il coltello dalla parte del manico. Sotto il citazionismo e i camei si sta sacrificando tanto sull'altare del cinema, sostenendo che nel calcolo del MCU un singolo film, una singola occasione possa essere sacrificate per la stabilità di tutto il resto.
Alle volte invece è necessario impegnarsi per salvare un singolo universo, un singolo film, sacrificando il quadro più grande. È un peccato che Marvel non abbia giudicato questo titolo meritevole di questo trattamento, ma rimane comunque un'esperienza elettrizzante.
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Voto di Cpop
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