Possono dei semplici studenti rivelarsi degli eroi? E come fare a farsi accettare da un mondo che anziché comprendere i loro sforzi, li odia e ghettizza perché sono diversi? Sono questi gli interrogativi che hanno accompagnato la lunga carriera degli X-Men, i Figli dell’Atomo di Marvel Comics, che dal 1963 si sono lanciati in soccorso di quell’umanità che più volte ha mostrare di esser pronta all’odio del diverso e poco incline al dialogo.
Difficile non simpatizzare con gli X-Men, nati come rappresentazione allegorica delle problematiche adolescenziali dei teen ager del periodo, e divenuti, attraverso un’evoluzione tutt’altro che banale, uno dei punti fermi della Casa delle Idee. Superpoteri incontrollabili, amori sofferti, morti devastanti e ritorni eccellenti, la vita dei mutanti marveliani è costellata di grandi eventi e di momenti che hanno segnato la storia del fumetto supereroico.
La nascita degli X-Men
Con la rinascita dell’interesse di supereroi durante la Silver Age, Martin Goodman aveva deciso di dare una nuova vita alla sua casa editrice, che da Timely Comics nel periodo Golden Age era divenuta Atlas Comics, cercando nuove ispirazioni per creare nuovi supereroi. Ribattezzando la casa editrice Marvel Comics, affidandosi alla visione del suo editor Stan Lee e a un team di artisti di tutto rispetto, la neonata Casa delle Idee aveva iniziata a lanciare nuovi personaggi con cui attrarre i lettori.
I primi anni Sessanta furono i momenti centrali di questo sviluppo, con l’uscita di personaggi come Fantastici Quattro e Spider-Man, ma nelle idee di Lee era necessario spingere quanto più possibile sulla creazione di universo supereroico quanto più possibile florido e vario.
In questa fase, le origini dei personaggi erano figlie del periodo. L’americano medio era particolarmente sensibile agli eventi recenti, soprattutto se rapportati alla pericolosità della scienza, scaturita dall’era atomica. Una suggestione che aveva spinto Lee a vedere nella weird science la perfetta radice per le origin story dei suoi personaggi. Ragni radioattivi, raggi gamma e cosmici e armature fantascientifiche erano all’ordine del giorno, ma queste idee non potevano essere abusate, servivano nuovi spunti per continuare a creare nuovi personaggi.
In casa Marvel, in quei primi anni Sessanta sono due le testate ad appassionare maggiormente il pubblico: Spider-Man e i Fantastici Quattro. Stan Lee sapeva che era un punto di partenza su costruire un nuovo personaggio, che replicasse il successo del Tessiragnatale, avvicinando un pubblico adolescenziale che si riconoscesse nelle avventure che avrebbe letto.
Alla ricerca di un degno erede di Spider-Man, venne creato un eroe solista come Iron Man, il cui target era comunque un altro, complice una serie di tematiche più mature che potevano essere poco recepibili da gran parte degli adolescenti. Si doveva trovare un’ispirazione che portasse a ripetere il convincente exploit di Spider-Man.
In soccorso agli sceneggiatori venne, ironicamente, la Distinta Concorrenza, ovvero la DC Comics. Nel marzo 1963 era apparso nella rivista My Greatest Adventure una formazione di insoliti eroi, la Doom Patrol, creata da Bob Haney e Arnold Drake. Parte di questa squadra erano dei metaumani ostracizzati dal mondo per via del loro aspetto bizzarro, che riuniti in squadra dal dottor Niles Caulder si premuravano di aiutare a modo loro l’umanità, non ottenendo l’accoglienza auspicata ma rimanendo degli outsider, più odiati che temuti.
Martin Goodman presentò a Stan Lee questa formazione della concorrenza come esempio per una nuova proposta. L’idea era quella di creare una squadra di personaggi che venissero visti come un pericoloso a causa della loro diversità, cercando di stabilire un legame con i giovani lettori, seguendo una strada già battuta nella creazione di Spider-Man.
La difficoltà era trovare un nuovo modo per spiegare le origini dei loro poteri.
Nel 2004, Stan Lee confessò come si era giunti a questa scelta
Non potevo pretendere che fossero tutti morsi da ragni radioattivi o esposti ad esplosioni di raggi gamma. E così scelsi la strada più comoda e mi dissi ‘Perché non diciamo che sono mutanti? Sono nati in questo modo!’
Risolto il problema delle origini dei poteri dei nuovi eroi, era necessario trovare un modo per introdurli ai lettori, mostrando la loro quotidianità oltre alle loro imprese. Considerata la volontà di avvicinarli al mondo degli adolescenti, serviva una caratteristica che avvicinasse empaticamente i giovani lettori a questi eroi.
A raccontare questo parte del processo creativo degli X-Men, fu uno dei padri artistici della formazione mutante, nonché vero e proprio pilastro della Marvel degli albori, Jack Kirby
Per gli X-Men scelsi un approccio naturale. Cosa faresti con dei mutanti che sono sostanzialmente dei ragazzi e delle ragazze assolutamente che non sia pericolosi? Li istruisci, li aiuti a comprendere e sviluppare le proprie doti. Così, diedi loro un insegnante, il Professor X. Naturalmente, era la cosa più ovvia da fare, anziché disorientare e alienare persone che erano diversi da noi, io resi gli X-Men parte della razza umana, perché lo erano! Probabilmente, le radiazioni possono creare mutanti che ci salvino anziché farci del male. Sentivo che se avessimo allenato i mutanti a modo nostro, ci avrebbero aiutati, ma non solo, avrebbero raggiunto anche una crescita personale. Solo così, avremmo potuto vivere assieme
L’idea era di chiamare anche la serie I Mutanti, ma Martin Goodman non era convinto che il pubblico potesse comprendere il significato del nome. Serviva un qualcosa che fosse orecchiabile e che identificasse subito i personaggi: era necessario un elemento che spiccasse sulla copertina. Goodman propose quindi di introdurre un dettaglio grafico di impatto, identificandolo in una grossa X rossa, cosa fattibile all’epoca, dato che la catalogazione delle riviste vietate, indicate tramite X, venne introdotta solo nel 1968.
Lee non accetta subito di buon grado il cambio del nome della testa, ma convinto che ‘I Mutanti’ possa invece attirare un target di lettori capaci di comprendere il nome. Soprattutto, a Lee non piace quel titolo perché lo trova slegato rispetto ai personaggi, ma alla fine trova una quadra: il professore a capo della scuola, l’unico personaggio adulto, si chiama Charles Xavier, ed il suo nome in codice, Professor X, potrebbe essere un buon richiamo per il nuovo titolo della serie.
Venne scelto il nome X-Men, anche se nel primo numero lo stesso Charles Xavier, ovvero il Professor X, che spiega così la denominazione della sua squadra di giovani eroi alla nuova alunna della particolare scuola, Jean Grey
Tu, come gli altri studenti di questa scuola esclusiva sei una mutante! Hai un potere extra…che la gente normale non ha! È per questo che i miei studenti si chiamano X-Men…Per i poteri extra!
Chiariti questi punti, si era pronti per andare in edicola, e il primo numero degli X-Men arrivò nelle edicole americane il 7 luglio 1963, con la tradizionale data di copertina spostata avanti di due mesi. Questa datazione era utilizzata perché riportava la fine del periodo di vendita dell’albo, dato che a due mesi dall’uscita le edicole americane poteva dare indietro le copie rimaste invendute.
A me, miei X-Men!
Il primo numero degli X-Men è il classico primo passo di una nuova serie. Lee aveva ideato una storia in cui i giovani mutanti (Scott ‘Ciclope’ Summer, Henry ‘Bestia’ McCoy, Warren ‘Angelo’ Worthington III e Bobby, Uomo Ghiaccio’ Drake) facessero subito impressione sui giovani lettori.
Mostrando una loro sessione nella Stanza del Pericolo, si potevano vedere i poteri di ognuno, occasione in cui i pensieri di Xavier vengono utilizzati per guidare i giovani mutanti nell’allenamento dei propri poteri.
Già nei primi numeri, si vedono emergere anche le caratteristiche caratteriali tipiche dei personaggi, dalla timidezza di Scott Summer, sempre pronto a farsi carico del peso della responsabilità, alla spensieratezza di Bobby Drake, il più giovane del gruppo iniziale di X-Men. Queste emozioni vengono veicolate da Lee tramite dialoghi e pensieri dei protagonisti con una dialettica, per l’epoca, coraggiosamente innovativa, mai verbosa ma ricca di emozioni autentiche in cui il lettore potesse riconoscersi.
In breve, entrano in scena altri due personaggi che diventano colonne del mito dei mutanti Marvel.
La nuova alunna, Jean Grey, diventerà Marvel Girl. Nota per i suoi poteri mentali, la ragazza è anche una presenza femminile importante, a lungo la sola nella formazione. Divenuta celebre nel corso della vita editoriale degli X-Men per la sua complessa storia d’amore con Ciclope, inizialmente era al centro delle attenzioni nientemeno che del Professor X, che nel terzo numero (Attenti a Blob), mostrava un non dichiarato trasporto verso la ragazza, che non poteva manifestare per via del suo ruolo:
Come se il solo preoccuparmi possa aiutare colei che amo! E non potrò mai dirglielo! Non ne ho il diritto, non sin quando il leader degli X-Men sarà costretto su questa sedia
Un elemento romantico, questo, che non verrà mai esplorato, così come molte delle idee iniziali saranno modificate o dimenticate negli anni a venire.
L’altro personaggio fondamentale di questo numero d’esordio è il villain, Magneto, mutante in grado di manipolare i campi magnetici. In questo primo scontro con i pupilli di Xavier, il Signore del Magnetismo non viene approfondito ma mostra già di essere un degno avversario. Negli anni seguenti la sua presenza diventa una costante nel mondo mutante, grazie ad una contrapposizione con gli ideali di Xavier, che rappresenta una delle migliori incarnazioni dello spirito autentico degli X-Men.
Nonostante gli sforzi nel creare una serie che si conquisti l’affetto dei giovani lettori, X-Men non sopravvive all’abbandono dei due creatori. Quando Lee e Kirby lasciano la serie, questa finisce in mano ad autori che non osano, ma continuano sul sicuro terreno imbastito dai padri degli X-Men.
Se altre testate dedicate a squadre eroistiche, come gli Avengers, sembrano in costante evoluzione, i mutanti languono. In extremis si ritenda di rivitalizzare la serie affidandola a due veterani, Roy Thomas (storie) e Neal Adams (disegni), ma nemmeno loro riescono a compiere l’impresa, portando alla chiusura della serie nel marzo del 1970, dopo che gli ultimi numeri erano delle semplici ristampe di precedenti avventure.
A ridare vita agli X-Men fu Giant Size X-Men #1, che nel 1975 offrì ai mutanti una nuova occasione. Una rinascita resa possibile dalla volontà dell’allora presidente di Marvel, Al Landau, di dare vita ad una testata che avesse un appeal anche in mercati esteri. Serviva un gruppo che consentisse di poter mostrare personaggi di diverse nazionalità, e al buon Lee vennero in mente qui suoi sfortunati figli, gli X-Men.
Il progetto venne affidato a Len Wein (storia) e Dave Cockrum (disegni) che imbastirono una vera e propria rinascita per gli X-Men, un nuovo inizio che ebbe anche un titolo profetico: Seconda Genesi. Da questa nuova partenza prese il via una trionfale ascesa dei personaggi, grazie all’arrivo di quello che viene considerato il fautore del successo degli X-Men, Chris Claremont, che con una gestione lunga e prolifica consolidò le caratteristiche del mondo mutante, definendolo nei suoi aspetti fondamentali.
L’origine dei poteri mutanti
Nella prima idea dell’origine dei poteri dei mutanti, le radiazioni svolsero un ruolo fondamentale. Siamo ancora nel periodo della scienza come origine dei poteri degli eroi, ma percepita secondo le suggestioni del periodo. Le conseguenze dell’atomica vista in azione due decenni prima al termine della Seconda Guerra Mondiale e la paura del conflitto nucleare minacciato dalla Guerra Fredda offrono una visione spesso distorta della scienza, specialmente in certi campi come le radiazioni. Come per i Fantastici Quattro o Hulk, all’inizio per i due autori anche i mutanti sono il risultato delle radiazioni, che hanno causato delle mutazioni nelle generazioni successive alle esplosioni atomiche degli anni ’40.
Questo principio, per quanto poco sviluppato, era alla base del concetto originale degli X-Men. Solo nei decenni successivi venne più volte adeguato alle nuove suggestioni narrative, introducendo il concetto di evoluzione, naturale o indotta, con la comparsa di personaggi come Sinistro o Apocalisse. L’aspetto scientifico delle radiazioni viene lentamente messo in secondo piano, lasciando come preminenza l’idea dell’evoluzione della specie. Un procedimento che non segue dei percorsi prestabiliti, ma che ha indirizzi multipli, dando vita a diverse tipologie di poteri per questi personaggi, accumunati solo dalla presenza del gene X nel proprio patrimonio genetico.
Tratto distintivo che esaltata a divisione ‘scientifica’ tra gli esseri umani normali, homo sapiens, e i mutanti, noti come homo superior. Una distinzione importante, che consente anche di andare incontro ad una delle critiche mosse agli X-Men: perché sono così odiati?
Il mondo visto dai mutanti
In fin dei conti, in una realtà come il Marvel Universe in cui vivono la Torcia Umana o Thor, gente con poteri straordinari come quegli degli X-men non avrebbe dovuto stupire il mondo.
Un interrogativo lecito, che consente di analizzare al meglio le tematiche importanti trattare dagli X-Men. In primis, la comparsa delle mutazioni in età puberale diventa uno dei cardini della serie, una caratteristica che si lega alla perfezione con le problematiche adolescenziali, ottimo spunto per intercettare l’interesse di lettori adolescenti che potessero riconoscersi con i mutanti, come era accaduto con Peter Parker.
Secondo una storica editor del mondo mutante, Ann Nocenti, questo aspetto era il fondamento degli X-Men
Penso non ci siano differenze tra Colosso e la Torcia Umana. Se un tizio entra nel mio ufficio in fiamme, o se un tale nel mio ufficio si trasforma in metallo, reagisco allo stesso modo! Non importano realmente le loro origini, come storie gli X-Men hanno sempre rappresentato qualcosa di diverso. I loro poteri arrivano in età puberale, creando delle analogie ai cambiamenti tipici dell’adolescenza e alle sensazioni che ne conseguono, come il sentirsi speciali, fuori controllo o incompresi. Gli X-Men parlano del tema del disadattamento
Il riferimento alla questione adolescenziale non è il solo punto forte della narrazione tipica degli X-Men. Pur essendosi palesato all’interno della prima vita dei mutanti, il tema del razzismo è una parte essenziale della vita dei pupilli di Xavier, soprattutto grazie alla cura di figura leggendarie del mondo mutante, come Claremont, che più di tutti ha costruito le fondamenta della mitologia degli X-Men, forte di una sua visione dei personaggi
Gli X-Men sono odiati, temuti e osteggiati dall’umanità per la sola ragione che sono mutanti. Quindi ciò che abbiamo, intenzionale o meno, è una storia che tratta di razzismo, bigottismo e pregiudizio
Il razzismo è una delle minacce più letali per gli X-Men. L’essere diversi, per i mutanti, è stata fonte continua di problemi e complicazioni, un apparente ossimoro con la visione di pacifica convivenza tra homo sapiens e homo superior ricercata da Xavier. Il Professor X (graficamente modellato sull’attore Yul Brinner) è stato spesso visto come una versione fumettistica di Martin Luther King, proprio per questo sforzo nel creare una pacifica coesistenza all’interno di una società che invece condanna i mutanti.
Ma la diversità è parte integrante del DNA degli X-Men. Non solo su un piano genetico, ma anche sessuale, religioso, etnico. Pochi personaggi del mondo dei fumetti possono presentare con la profondità e l’attenzione tematiche complesse come l’antisemitismo, l’omofobia o la religione nel modo in cui sono state trattate nel mondo mutante.
Storie come Giorni di un futuro passato o Dio ama, l’uomo uccide sono interpretazioni lucide e appassionate delle tematiche alla base della vicenda umana degli X-Men, capace di far proprie alcune delle tensioni sociali americane all’interno della propria narrazione. La presenza di personaggi complessi come Magneto (sopravvissuto ai campi di concentramento), di figure spregevoli come il Reverendo Stryker o di mutanti che danno vita a subculture chiuse, come i Morlock, sono occasioni per gli autori per utilizzare i mutanti come chiave di lettura della società contemporanea, offrendo una visione lucida e umana della realtà.
Il valore narrativo degli X-Men è questo, essere potenzialmente il fumetto marveliano ideale per storie dalle tematiche adulte e socialmente impegnative, potendo contare su un parterre di protagonisti ampio e ricco di variabili, capace di interpretare mutamenti sociali epocali (dalla piaga dell’AIDS sino ai genocidi) e offrire ai lettori un mondo narrativo capace di affrontare immani tragedie contando su un’adamantina speranza.
Non è un caso che gli X-Men siano stati la serie marveliana che più di ogni altra ha dato origine a numerose serie parallele. Merito di Chris Claremont, che dopo avere dato al mondo mutante due importanti leve narrative come il racconto della contemporaneità e le suggestioni da soap opera, ha dato una vitalità tale agli X-Men che la possibilità di espandersi in altre direzioni era diventata quasi un’esigenza.
Se la formazione originale dei mutanti era divenuta adulta, allora era necessario trovare una nuova squadra di giovani Figli dell’Atomo: nascono i Nuovi Mutanti. Alcuni X-Men scelgono di seguire altre strade: nascono le varie formazione come X-Factor, X-Force. La pluralità di voci all’interno del mondo mutante consente di muoversi su diverse matrici narrative, che siano corali o individuali, come accaduto a Wolverine, personaggio talmente forte all’interno del contesto mutante da meritarsi una sua vita indipendente.
Forte di questa sua connotazione dinamica, il mondo mutante diventa il prodotto marveliano più performante nel ritrarre quel mondo fuori dalla finestra tanto caro a Lee. Non si tratta solo di celebrare momenti epocali, come il primo matrimonio gay, ma anche di mostrare una visione di evoluzione sociale che rispecchi le esigenze del mondo contemporaneo.
Tra i diversi autori che hanno puntato a vedere nei mutanti questa predisposizione, un plauso va tributato a Jonathan Hickman. Autore noto nell’ambito marveliano, Hickman ha segnato un momento epocale per gli X-Men con il suo ciclo Powers of X/House of X, in cui ha consentito ai mutanti di ribaltare il proprio ruolo sociale di pariah del mondo e rendendoli il vertice di un nuovo ordine mondiale. Ancora temuti e osteggiati, ma comunque capaci di affrontare questo ruolo da una posizione di manifesto vantaggio, grazie alla nascita della nazione mutante di Krakoa.
Un cambio di prospettiva epocale per i mutanti, che hanno modo di dare finalmente vita a una propria cultura, che spesso si rivela venata dalle stesse debolezze di quella umana, e un substrato politico che consente di mostrare le tante ombre di una nazione. Anche in questo caso, i mutanti si dimostrano un affilato strumento di analisi che, pur venendo permeato dalla necessaria spettacolarizzazione degli eventi, non tradisce l’origine di specchio di una realtà contemporanea.
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