The Last of Us: da gioco cult a serie TV evento

The Last of Us: come il videogioco cult è diventato un fenomeno del mondo delle serie TV, tra rispetto dell'originale e immaginario televisivo

Autore: Elisa Erriu ,

Siamo ai primi giorni del 2023, quando viene rilasciata la serie tv di The Last of Us. Fuori fa freddo e coloro che hanno amato, vissuto e finito la prima parte dell’omonimo gioco da cui è stata tratta la serie, hanno un groppo in gola.

E hanno ragione: può un media così diverso dai videogame equiparare un titolo che ha firmato un capitolo importante per la storia videoludica?

The Last of Us: come un fungo eliminò l'umanità

The Last of Us: The Last of Success

Partiamo da un presupposto: i due media saranno pure diversi, ma la serie televisiva è creata da Craig Mazin e Neil Druckmann, gli stessi ideatori dell'omonimo gioco.

Nomen omen si suole dire in questi casi, perché c'erano buone possibilità di successo, affidando la serie a chi ha già realizzato una narrazione che ha ottenuto svariati premi e riconoscimenti, tra cui il Gioco dell’Anno al GOTY 2013, il “Best Game” ai BAFTA Game Awards e ai DICE Awards, oltre al titolo riconosciuto a livello collettivo da pubblico e critica di “capolavoro di un’intera generazione di console”.

Ma è altrettanto vero che, proprio a fronte di un successo così straordinario, c'erano invece ancora più aspettative. Eppure nella serie, trama, ambientazioni, musiche e persino parti di dialoghi, rispecchiano gran parte dell’iconico action-adventure del 2013 pubblicato da Sony Interactive Entertainment.

Tanto nella serie quanto nel videogame percorrerete le vicende del superstite Joel, pronto a scortare un’orfana dal nome Ellie lungo gli Infettati Stati Uniti d'America. Ma il viaggio è lungo e insidioso per sapere alla fine cosa rimarrà di loro. 

Se avete giocato questo action-adventure del 2013 pubblicato da Naughty Dog, possiamo garantirvi che in nove episodi da circa un’ora ciascuna, ritroverete situazioni a voi consone. Sarete di nuovo confusi, tristi ed emozionati, con la magra consolazione che stavolta non sarete voi a spingere tasti improvvisamente divenuti rigidi.

Se invece fosse la prima volta che seguite Joel ed Ellie nel loro viaggio, siete graziati da questa responsabilità, ma non di meno vivrete una storia di valore che ben si distingue nel panorama del genere, come ad esempio The Walking Dead.

Due linguaggi diversi, un'unica anima

La serie avrebbe potuto funzionare pur essendo un semplice lavoro di trasposizione fedele, invece va riconosciuto agli ideatori e alla regia un lavoro che tutto sommato richiama l’opera originale, ma con alcune modifiche che non vanno a intaccare la resa finale. Anzi, la finalizzano.

Nell’adattamento televisivo del famoso videogioco di Sony Interactive Entertainment, parliamo di un lavoro “complementare”, in grado di sorprendere tanto i fan che hanno apprezzato l’esperienza videoludica del titolo, quanto convincere il pubblico nuovo.

Molti elementi che nel gioco erano fondamentali per motivi di gameplay, vengono necessariamente a mancare e sostituiti nella serie, così come successo con il sistema in cui si diffonde il fungo ophiocordyceps, che, a livello di resa narrativa nonché di grafica, risulta credibile e ugualmente efficace seppure estremamente diverso dal gioco.

In nove episodi da circa un’ora ciascuna, tutti i contenuti diversi dal videogame e che si differenziano anche dalla sua ultima versione remastered, risultano integrazioni alla storia generale. Nella serie trovano spazio interi episodi dedicati ad approfondimenti che meritavano essere mostrati e, anzi, danno uno spessore che gli permette di competere con la trama del gioco. 

L’efficacia di questa prima stagione è da ritrovare come un supplemento al gioco e il gioco come un complemento allo spettacolo. Non sostituisce né la storia originale né i personaggi o il resto della lore, al massimo integra qualcosa in più. E non è forse questa l’essenza stessa della morale di The Last of Us?

Quando due fazioni si contendono, in entrambe esistono motivazioni nobili e motivazioni sbagliate. Esistono sempre da una parte, chissà quanto in fondo e chissà di che tipo, motivazioni che spingono gli umani a prendersi cura di una ragazzina, dopo aver perso la propria figlia. Esistono persone disposte a tutto per lei, anche uccidere persone e lasciare l’intera razza umana a un inevitabile destino. 

Perché vedere The Last of Us?

Nonostante quanto detto nei lunghi mesi di attesa prima dell'uscita della serie, The Last of Us non è un racconto rivolto solamente agli appassionati del gioco di Naughty Dog.  l’ennesima variazione sul tema del mondo post-epidemico (The Walking Dead docet), ma sin dal primo istante si percepisce come siamo davanti a una serie che è stata minuziosamente curata.

Sicuramente la presenza del creatore del gioco, Neil Druckman, come sceneggiatore ha aiutato a preservare quanto di meglio ci fosse nel gioco, ma per me neofita del mondo di Joel e Ellie ogni singolo passaggio, ogni scorcio di urbana devastazione o la nascita stessa dell’epidemia del Cordyceps è sembrato reale, possibile. Soprattutto, ci si sente parte di questo mondo, se ne vivono le sofferenze, ci si commuove ed emoziona con Ellie e Joel mentre li accompagniamo in questo viaggio nel mondo dopo la fine del mondo.

The Last of Us si può amare anche non avendo la minima conoscenza del gioco, diciamolo a gran voce. Uscita in un periodo in cui la concorrenza seriale era particolarmente vivace grazie a una concorrenza tutt'altro che banale (come Shrinking o Hello, Tomorrow), The Last of Us ci ha lasciato la vivida sensazione che difficilmente vedremo sul piccolo schermo una storia che sappia appassionare, coinvolgere e straziarci l’anima in modo così intenso. Grazie a un ottimo equilibrio tra scrittura e impostazione registica, è impossibile rimanere insensibile ai dialoghi tra Ellie e Joel, alle vicissitudini di queste due anime perdute che ritrovano nella loro odissea una nuova scintilla vitale, passando da sofferenze indicibili eppure andando avanti, mossi prima da uno scopo e in un secondo momento dalla mera appartenenza l’un l’altro.

The Last of Us non è una serie di fantascienza, non è un horror o una semplice trasposizione di un famoso videogioco, è una storia universale che parla all’animo, che fa propria la lezione di McCarthy nel dipingere un’umanità ferina alle porte dell’inferno, preservando al contempo una scintilla di umana pietas, fatta di piccoli gesti e lacrime condivise.

Una crescita emotiva costante, spietata e inesorabile, fatta di momenti di spiazzante umanità intrecciati a sprazzi di spaventosa oscurità dell’animo umano. Un equilibrio narrativo perfetto, ritratto con una sensibilità impagabile, portando su schermo un mondo post-pandemico spezzato ma ancora vivo, autentico.

Anzi, concretamente sporco. Questa sporcatura non è un difetto, è una ricerca di autenticità che rende The Last of Us un’ambientazione affascinante per tutti gli spettatori, lo eleva a fotografia di una possibile mondo ‘after’, in cui assistere alla manifestazione di una disperazione capace di fagocitare ogni senso di umana comprensione ma anche di elevare le poche anime pure rimaste a simboli, icone di una sensibilità soffocata dal dolore ma in cerca di una boccata di ossigeno per tornare a vivere.

The Last of Us è un’esperienza emotiva pura, autentica, autonoma. Non servono conoscenze pregresse, se non per il gusto di dare la caccia agli easter egg, è sufficiente lasciare piena libertà alla storia di avvolgerci, seguendo queste due anime nel loro viaggio alla ricerca di una speranza, scoprendo infine quanto la salvezza sia una spesso una scelta. 

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