Iron Age: i comics guardano alla realtà

Iron Age o Dark Age? Come il mondo dei comics ha cambiato le regole del gioco, dando vita a una nuovo corso dell'industria

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Autore: Manuel Enrico ,

Quando i supereroi fecero la loro comparsa nel mondo dei comics durante la Golden Age, gli editori puntavano ai giovani lettori, adolescenti che potessero vedere in questi eroi dei compagni d’avventure divertenti e inarrestabili, privi delle problematiche della vita reale. Furono necessari un conflitto mondiale e una visione più cupa nel periodo post-bellico per spingere i supereroi verso una dimensione più umana e concreta, una maturazione che si è sviluppata durante Silver Age e Bronze Age. Questa evoluzione era però ben lunghi dall’essere completa e trovò una sua definitiva realizzazione in quella che venne definita la Iron Age, ma che, considerati i suoi contenuti, è maggiormente conosciuta come la Dark Age.

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Il passaggio dalla Bronze Age alla Iron Age si concretizzò con la crescente apertura da parte degli autori di storie di supereroi nel mostrare aspetti sociali che difficilmente ci si sarebbe aspettato nei precedenti periodi. A rendere possibile l’introduzione di queste tematiche fu anche la diffusione dei comics supereroistici presso un pubblico più adulto, capace di interpretare certe suggestioni narrative.

Cadono le maschere

Questo passaggio ad una narrazione con temi più adulti era iniziato a cavallo di Silver Age e Bronze Age, con la comparsa di storie come La notte in cui morì Gwen Stacy o il ciclo di storie di Lanterna Verde/Freccia Verde realizzate da Neil Adams. Finalmente liberi dal giogo del Comics Code Authority, gli sceneggiatori poterono quindi affidarsi alla realtà per trovare ispirazioni per le proprie storie, inserendo all’interno della vita dei propri protagonisti elementi gravi come tossicodipendenza o alcolismo.

Difficile, quindi, trovare una linea di demarcazione precisa per sancire la nascita della Iron Age. Sul finire della precedente era, infatti, si era assistito ad una vera rivoluzione non solo dei temi trattati ma anche della visione stessa degli eroi. La loro invincibilità era stata messa a dura prova, come accaduto con La morte di Capitan Marvel, mentre autori intraprendenti si spingono a sondare le convinzioni e le anime di simboli del mondo supereroistico.

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Ruolo rivestito alla perfezione da Chris Claremont, che rivoluzionò i mutanti di Marvel Comics con opere come la Saga di Fenice Nera, Dio ama, l’uomo uccide o Giorni di un futuro passato. Fu un in questo periodo intermedio tra Bronze Age e Silver Age che fecero la loro comparsa dei momenti piuttosto complessi del fumetto dei supereroi.

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Ad esempio, Avengers #200, in cui David Michelinie scrisse una storia degli Avengers, in cui gli eroi più potenti della Terra sembrano indifferenti al punto di sminuire la strana gravidanza di Carol Danvers, rimasta incinta dopo un morboso piano di uno dei nemici storici del supergruppo, Immortus. Capitolo oscuro della storia Marvel, comparso proprio mentre Claremont stava valorizzando positivamente le figure femminili con i suoi X-Men, lavorando alla perfezione su Jean Grey e Tempesta.

Dall’altro lato della strada, in casa DC Comics il momento più drammatico del periodo si ebbe con la comparsa di una nuova Lanterna Verde, Kyle Rainer, che venne scelto per sostituire Hal Jordan quando assunse divenne il malvagio Parallax, nell’arco di storie noto come Tramonto di smeraldo (1994). Nemmeno il tempo di adattarsi all’anello delle Lanterne Verdi, che Rainer dovette affrontare uno dei momenti più truci della storia dei comics del periodo: trovare la propria fidanzata brutalmente assassinata, smembrata e rinchiusa nel frigorifero.

Se a questo uniamo il fatto che pochi anni prima, nel 1992, sempre DC Comics aveva mostrato un capitolo cupo della propria storia con l’apparente morte di uno degli eroi più forti del proprio pantheon, Superman (La morte di Superman), diventa evidente come per gli autori del periodo il supereroe non doveva più apparire come un essere invincibile e moralmente inattaccabile.

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Se nella Bronze Age si era scelto di mostrare la debolezza dei super con storie come Il demone nella bottiglia, nella Iron Age divenne importante trovare un’altra chiave di lettura del mito degli eroi in calzamaglia. Se Michelinie aveva mostrato la debolezza e la rinascita di Tony Stark influenzando pesantemente il futuro di Iron Man, gli autori della Iron Age parvero invece non volersi limitare a portare gli eroi ai propri limiti, ma invece spezzarli e mostrare la loro caduta. In senso figurato, o anche più materiale, come accadde a Batman, nel corso dell’evento noto come Knightfall.

Questa volontà espressiva portò alla comparsa di una nuova modalità non solo di intendere la serietà e le tematiche ‘mature’ dei fumetti, ma anche a creare delle nuove impostazioni editoriali, che consentissero di pubblicare liberamente storie che avessero un contenuto di violenza non presentabile in storie mensili o che andassero a presentare in modo diverso il mito dei supereroi.

Capostipite di queste linee editoriali fu una collana nata internamente a DC Comics, con lo scopo di diventare il contenitore di questo nuovo universo di storie: Vertigo. A partire dal 1993, questa etichetta, guidata da Karen Berger, seguì un percorso parallelo a quello degli albori della Silver Age, andando a ripescare personaggi dimenticati e dando loro una nuova vita. In questa nuova dimensione torna un protagonista degli anni Quaranta, Sandman, a cui in breve si uniscono anche altre serie storiche della DC Comics in cerca di una nuova vita, come Animal Man, Doom Patrol o Swamp-Thing.

La particolarità di Vertigo non è tanto nell’impianto grafico, quanto nella scrittura delle storie, che vuole essere ispirata ad una letteratura alta, un intento che ebbe realizzazione grazie alla firma di nomi esordienti, o quasi, che negli anni seguenti sarebbero divenuti grandi personalità del mondo del fumetto, come Neil Gaiman, Grant Morrison o Garth Ennis.

Critica all’eroe

Come per le ere passate del mondo dei comics, l’evoluzione della figura del supereroe avviene anche come reazione agli stimoli della società del periodo. Negli States, il punto di riferimento dei comics supereroistici, si vive un periodo sotto l’amministrazione Reagan in cui emerge sempre di più lo spirito tormentato e spezzato di un’America poco nota fuori dai confini, in cui povertà e degrado sono realtà spesso taciute.

Ma gli autori di fumetti, specialmente le nuove leve che ereditano una libertà espressiva faticosamente conquistata durante i decenni precedenti, non rimangono indifferenti a queste pecche della società del periodo e le interpretano nelle loro storie, dando vita ad un’ennesima rivoluzione dell’eroe in calzamaglia

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Il progressivo sgretolarsi della figura immacolata dell’eroe è parte essenziale della Iron Age. Una rivisitazione che non si lega solo alle grandi realtà del fumetto dei supereroi, come Marvel e DC Comics, ma si espande anche verso nuove direzioni, con la nascita anche di nuove figure molto lontane dall’immaginario dell’eroe perfetto: gli antieroi.

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Parte integrante di questo processo furono però due opere che, in modo differente, spinsero i lettori ad affrontare il discorso supereroistico su un piano totalmente differente: Watchmen e Il ritorno del Cavaliere Oscuro.

Con Watchmen, Alan Moore, sostenuto dai disegni di David Gibbons, si addentrò in una disanima impietosa del ruolo del supereroe, inserendola all’interna della società americana degli anni ’80. L’intento dell’autore inglese era di andare oltre alla maschera, mostrando il lato oscuro e biecamente umano dei supereroi, liberandosi dal giogo di una continuity che sarebbe stata inevitabile se avesse operato all’interno di un contesto narrativo solido come quello marveliano o della DC.

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Sfida che non preoccupò Miller, che per il suo Il Ritorno del Cavaliere Oscuro utilizza uno dei simboli stessi del fumetto seriale, Batman, ma ne racconta una storia futura, ambientata in uno dei tanti what if---? tipici del fumetto. Anche in questo caso, però, il risultato è quello di creare uno stacco con il resto del contesto supereroistico di casa DC, offrendo ai lettori un Bruce Wayne invecchiato e disilluso, costretto a vedere la sua Gotham andare alla deriva.

Una condizione, quella della metropoli gothamita, che rispecchia il degrado delle grandi città americane del periodo, che Miller rielabora nella sua visione del Batman futuro, con una critica alla società americana del periodo.

A unire Watchmen e Il ritorno del Cavaliere Oscuro era anche una trattazione dei temi decisamente adulta e cinica, la cui presenza impattò pesantemente sul mondo dei comics supereroistici del periodo. Quasi Moore e Miller avessero definitivamente rotto le ultime restrizioni ereditate dall’epoca della temuta severità del Comics Code Authority,

L’importanza degli autori

L’impatto di Miller su questa destrutturalizzazione dei supereroi è un primo passo essenziale per autori che all’epoca di primi anni della Iron Age erano ancora legati alle grandi case editrice dei comics supereroistici, ossia DC Comics e Marvel in particolare.

Pur essendo finalmente liberi da ogni vincolo imposto alla loro vena creativa dal Comics Code Autrhority, certi autori cominciarono a sentire i dettami aziendali come un limite alla propria creatività, complice anche un evento che sconvolse il mondo del fumetto sul finire degli anni ’70: la causa che contrappose Dc Comics a Joe Shuster e Jerry Siegel.

Shuster e Siegel erano i padri del personaggio di punta di DC Comics, Superman. Nonostante il figlio di Krypton avesse fruttato grandi guadagni per la casa editrice, i due autori a metà anni ’70 versavano in pessime condizioni finanziare, motivo per cui decisero di intentare causa alla DC Comics. Fu il primo passo verso uno degli aspetti fondamentali di questo periodo della storia dei fumetti: la tutela dei diritti d’autore.

Quando la Warner Communications, detentrice di DC Comics, patteggiò con Shuster e Siegel diede vita ad un precedente: riconoscere l’importanza di scrittori e disegnatori nel meccanismo economico dietro il mondo dei comics. La vittoria, e la condizione precaria che aveva dato vita a questa disputa legale, aprirono gli occhi agli artisti del mondo dei comics, che iniziarono a comprendere il proprio ruolo.

Questa rivoluzione nei rapporti tra artisti e case editrici ebbe un passaggio fondamentale nel 1983, che vide nuovamente Frank Miller al centro della scena: Ronin. All’epoca, Miller era un giovane autore, che si era già fatto apprezzare per la gestione di uno dei personaggi secondari di Marvel, Daredevil, che riuscì a trasformare in uno dei personaggi più amati della Casa delle Idee.

In DC Comics, nel frattempo, era arrivata nella stanza del potere Jenette Kahn, che assieme a Paul Levitz e Joe Orlando, decise di dare agli autori un ruolo differente da quanto precedentemente goduto. Da questo primo passo, il rapporto che nacque tra DC Comics e Miller per realizzare Ronin divenne un precedente senza eguali nella storia dei comics: non solo l’autore rimase detentore dei diritti dell’opera ma gli venne consentita piena libertà, dalla scelta della carta sino alla campagna promozionale. Miller fece un ottimo uso di questa libertà, decidendo anche di portare il suo Ronin direttamente nelle fumetterie, che in quegli anni stavano diventano il punto di contatto per eccellenza tra fumetti e lettori.

Ma quello che fu fondamentale in questo passaggio storico fu la presa di coscienza da parte degli autori della propria importanza. Se all’interno del contesto editoriale pre-esistente si trovarono nuove strade per pubblicare storie dal contenuto forte, come la citata Vertigo di DC Comics, altre strade vennero battute da autori che trovarono il coraggio di abbandonare la sicurezza di una collaborazione con i due colossi dei comics supereroistici, tentando nuove strade.

La rottura del sistema

Il punto di rottura con questa tradizione è nuovamente il nodo dei diritti d’autore. Nei primi anni ’90, in casa Marvel sono emersi dei talenti che stanno dando una nuova vitalità a personaggi simbolo della Casa delle Idee: Todd McFarlane stava rivitalizzando Spider-Man, su X-Men erano all’opera artisti del calibro di Jim Lee, Rob Liefeld e Marc Silvestri. La fortuna di questi autori fu l’avere colto un nuovo stile grafico, ipercinetico e dalle anatomie spesso esagerate, che però divenne una caratteristica indimenticabile di questo periodo dei fumetti supereroistici. Immediatamente la loro arte diventa il simbolo della Iron Age, i lettori rivedono nelle loro tavole la nuova forma del fumetto, rendendo i loro albi delle vere e proprie forma d’arte, anche da un punto di vista economico.

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L’importanza sempre crescente di questo pool di autori portò ad un punto di rottura: consci della loro influenza, questi artisti decisero di avanzare delle richieste precise alla Marvel, minacciando altrimenti di lasciare la casa editrice. Qualcuno alla Casa delle Idee pensò che fosse un bluff, ma quando nel 1992 questo gruppo di giovani autori dimostrò la propria volontà, abbandonando il mondo di Spidey e dei mutanti, fondando la Image.

Una scelta che inizialmente si basava solo sulla sicurezza, e che basò la propria solidità su due personaggi in particolare, Spawn e Savage Dragon. Internamente nacquero in breve delle liti, divergenze di opinione sulla gestione del merchandising e della promozione dei prodotti, e il progetto sembrò naufragare, ma in pochi anni la situazione cambiò, grazie all’apertura a produzioni lontane dal concetto di supereroe, dando il via a una serie di offerte fumettistiche che portarono alla nascita di serie diventati dei cult, non ultima una certa The Walking Dead.

L’anti-eroe, figlio della Modern Age

Oltre alla nascita di nuove case editrici e nuove idee, la libertà espressiva rivendicata dagli autori si concretizzò nella nascita, o meglio nella maggior valorizzazione, di una nuova categoria di personaggi: gli antieroi. Dopo avere basato la fortuna del fumetto supereroistico su eroi senza macchia, nella Iron Age si cominciarono a valorizzare figure che si discostassero dal cliché dell’eroe perfetto.

Nel 1994 compare uno dei simboli di questa nuova rotta dei comics: Hellboy. A creare questo insolito detective dell’occulto è Mike Mignola, artista con alle spalle collaborazioni con le due major del fumetto supereroistico, Mignola decise di seguire l’esempio degli altri nomi citati e creare il proprio personaggio, basandosi sulle proprie passioni e le storie che caratterizzarono la sua base emotiva come artista. Hellboy divenne in breve un vero cult, al punto da dar vita a un universo espanso che diventò uno dei prodotti di punta di Dark Horse Comics.

Non meno importanti furono anche le figure che comparvero all’interno dei contesti narrativi storici, come Marvel e DC Comics. Figure spesso lasciate ai margini, improvvisamente divennero dei character su cui puntare e da valorizzare. Figli di questo periodo furono serie diventate storiche come run di Wolverine o Punisher, personaggi fuori dalle righe che in questo periodo trovarono una nuova definizione, perdendo l’aura di ‘creature maledette’ e diventando più realistici e inseriti con maggior decisione all’interno degli universi di appartenenza.

Non è facile comprendere quando la Iron Age, nota anche come Dark Age, sia terminata, ammesso che lo sia. Quella che stiamo vivendo in questi anni è un ‘era in cui il fumetto di successo è riuscito a declinarsi in altri modi, abbandonando anche il porto sicuro dei supereroi. Pur apprezzando i nuovi archi narrativi delle major dei comics dedicati ai tizi in calzamaglia , sono emerse nuove realtà che hanno mostrato ai lettori una serie di proposte che attraggono anche coloro poco interessati ai supereroi.

Etichette come Skybound sono diventate un nuovo polo a cui i lettori possono guardare, cercando alternative che raccontino i supereroi in modo differenti (come Invincibile, creato da Kirkman) o che offrano ambientazioni totalmente diverse, come Manifest Destiny o Redneck. Questa libertà di tematiche, capace di ritagliarsi un proprio spazio nelle fumetterie, è frutto della rivoluzione iniziata quasi trent’anni fa agli albori della Iron Age.

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