Punisher: il vendicatore di Marvel Comics

Frank Castle, alias Punisher, il vendicatore di Marvel Comics: dalla lotta alla criminalità al futuro nel Marvel Cinematic Universe

Autore: Manuel Enrico ,

In una metropoli in cui uomini in costume dondolano dai grattacieli appesi a ragnatale o inseguono supercattivi con armature hi-tech, la criminalità potrebbe esser preoccupata di dover affrontare eroi dotati di poteri sovrumani, dimenticando che esistono minacce molto più terrene. Basterebbe ricordare loro che per qualcuno non servono raggi repulsori, siero del supersoldato o martelli magici, è sufficiente un’arma carica e la giusta motivazione per rendere la vita dei malviventi newyorkesi un vero inferno, in cui si trova a suo agio Frank Castle, alias Punisher.  

Una crociata personale, una violenta spirale di morte impazzita che viene vissuta un bossolo alla volta, ricordando a tutti, persino all’uomo più potente del mondo, che la vendetta non è mai troppo lontana, perché come ha detto Frank Castle all’uomo nello Studio Ovale:

9mm, non sono mai più lontano di così 

È in questa frase che si nasconde uno dei tratti distintivi del Punisher, personaggio dei comics della Casa delle Idee che difficilmente assoceremmo alla tradizione eroica dei characters Marvel.

Punisher, dalla violenza del Vietnam alla guerra al crimine tra alle strade di New York

Eppure, tra Vendicatori e X-Men, tra l’eroismo del Ragno e l’idealismo di Captain America, Frank Castle ha saputo ritagliarsi un proprio spazio. Nato come villain dell’Arrampicamuri, Punisher è lentamente emerso nel Marvel Universe, rappresentando una parte della coscienza americana lontana dall’idilliaca visione eroica, rendendo la sua sanguinosa crociata una feroce disamina di una società contradditoria e violenta.

Non solo violenza, ma anche scorci di una dimensione urbana impietosa, ferite mai sanate di un’intera generazione e, all’occorrenza, una vena di paradossale ironia capace di far ridere mettendo alla berlina le pecche dell’american way.

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Punisher

Ripensare oggi alla dinamica iperviolenta con cui conosciamo Frank Castle sembra quasi normale, dopo che gli abbiamo visto affrontare non solo criminali comuni, ma anche scontrarsi con nomi celebri del pantheon marveliano, intenzionati a fermare in qualche modo la sua spietata missione di vendetta.

Eppure quando Frank Castle fece la sua prima apparizione nel mondo marveliano a inzio anni ’70, questa sua figura di uomo spietato era stata caratterizzata per esser un rapido passaggio nel mito dell’Arrampicamuri, ma essendo nato dalla fantasia di uno dei nomi sacri della Casa delle Idee non poteva certo limitarsi a questa unica presenza nel Marvel Universe.

L’origine di Punisher

Come spesso accadeva in casa Marvel, a pilotare le scelte che conducevano alla creazione di nuovi personaggi erano le tendenze narrative del periodo. Negli anni ’70 il cinema si apriva a un periodo particolarmente florido, in cui diverse suggestioni solleticavano gli spettatori, complice la presenza di giovani registi che, anche attraverso una dialettica più acida rispetto al mainstream, non mancavano di portare sul grande schermo una realtà che, per quanto romanzata, ritraeva una società fortemente violenta.

Non solo le tensioni sociali, ma anche il dilagare della delinquenza e la presenza di una nuova ferita sociale legata alla guerra del Vietnam e ai reduci, andando ad aggravare una condizione sociale già precaria.

Suggestioni che portarono a sviluppare anche una certa letteratura, dove reduci di guerra e uomini d’azione erano divenuti estremamente popolari. Come la serie di The Executioner, ciclo di romanzi scritti da Don Pendleton, in cui ex-marine reduce dal Vietnam si trasforma in uno spietato assassini di criminali, dopo che alcuni mafiosi uccidono la sua famiglia durante un regolamento di conti.

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Una serie di successo che fece presa anche su uno degli storici autori Marvel, Gerry Conway, che nei primi anni ’70 era alle prese con le storie del Ragno, su cui stava lavorando ripescando un personaggio creato in precedenza da Lee e Kirby, Miles Warren, ma rendendolo una nuova nemesi del Ragno, presentandolo sotto una diversa natura, con il nome di Sciacallo. Questa evoluzione di Warren fu un’idea di Conway e di Ross Andru, che lo coinvolsero nella vita di Parker, portandolo a ordire un piano che avrebbe messo l’Arrampicamuri davanti a una minaccia incredibile: uno spietato assassino.

Per stessa ammissione di Conway, la scintilla vitale di Punisher fu proprio The Executioner, che aveva colpito la fantasia dello sceneggiatore, portandolo a sviluppare una figura che ne riprendesse i tratti distintivi rendendolo un potenziale villain per Spider-Man. Non solo Conway tratteggiò quindi la personalità iniziale di Frank Castle, ma seguendo una sua prassi del periodo diede anche un’idea di quello che doveva esser il suo costume:

Negli anni ’70, quando scrivevo fumetti per DC e Marvel, mi ero preso come prassi abbozzare le mie idee per i costumi dei nuovi personaggi, eroi e cattivi, che presentavo poi ai disegnatori come suggerimento brutale dell’idea che avevo in menta. E lo ho fatto anche con Punisher

La proposta di Conway era quella in presentare il personaggio con una tuta attillata nera, una monocromia spezzata solo da un piccolo teschio bianco posto al centro del petto. Un’intuizione che passò tra le mani di John Romita Sr, all’epoca art director di Marvel Comics, che diede maggior risalto al teschio ingrandendolo e rendendolo un elemento di spicco, tanto da divenire un simbolo che ha trasceso la mera dimensione fumettistica. Tuttavia, la medaglia di primo disegnatore di Punisher spetta a Ross Andru, che lo ritrasse in Amazing Spider-Man #129 (1974).

Ovviamente, parlando della genesi di un personaggio marveliano, non poteva certo mancare l’apporto di Stan Lee, che non ha mai mancato di far pesare come la sua figura di editor in chief della Casa delle Idee fosse sempre centrale nella creazione dei personaggi, con buona pace dei diversi autori che in diverse occasioni hanno ridimensionato questo suo ruolo. Nel ricordare il processo creativo dietro la nascita di Punisher, Stan Lee nel 2005 fece notare come il nickname di Frank Castle fosse un riciclo di un nome dato a un suo precedente personaggio:

Gerry Conway stava scrivendo la sceneggiatura, voleva inserire un personaggio che si sarebbe rivelato un eroe più avanti, ma aveva pensato come nome Assassino. Gli feci presente che non pensavo che si potesse avere un eroe dei fumetti chiamato Assassino, vista la nota connotazione negativa della parola. E mi venne in mente che, tempo prima, avevo creato un personaggio ininfluente, uno dei robot di Galactus, e lo avevo chiamato Punisher e mi sembrava un nome interessante per il personaggio che Gerry voleva scrivere, così gli dissi ‘Perché non lo chiami Punisher?’ e visto che ero l’editor, Gerry accettò

Questi tre passaggi furono solamente la genesi del personaggio del Punisher, ma il suo successo fu una vera rivelazione per tutti. Compresi i suoi creatori.

La guerra non finisce mai

Come accennato in precedenza, all’interno del pantheon marveliano Frank Castle rappresenta una figura tutt’altro che banale o stereotipata. Definirlo anti-eroe sarebbe riduttivo, considerato come Punisher si muova su una propria direttrice narrativa che, in diverse occasioni, lo ha portato a schierarsi al fianco degli eroi classici di casa Marvel, divenendo un alleato capace di metterli a confronto con le proprie ipocrisie, sia di opporsi apertamente a loro, se la propria missione lo costringe a compiere atti che possono incontrare l’avversità dei superumani.

In una comunità supereroica in cui anche i più umani degli uomini in costume hanno comunque dei poteri sovrumani, siano essi derivanti da espedienti da weird science o per tecnologie avveniristiche, Punisher è un uomo che viene mosso dalla sua sete di vendetta, affinata da un addestramento militare sopraffino che lo rende uno dei più brillanti e accorti geni tattici della Casa delle Idee.

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Si potrebbe dibattere a lungo su quanto la famigerata strage della famiglia Castle abbia contribuito a creare il Punitore. Per anni, la leggenda ha voluto che tornato dal Vietnam Frank Castle fosse pronto ad abbandonare la vita di violenza vissuta sul fronte asiatico per godersi la sua famiglia, ma la strage dei propri cari spezzò la sua anima al punto da condurlo a intraprendere una crociata finalizzata allo sterminio dei criminali. Non una vendetta mirata agli assassini della sua famiglia, ma una everlasting crusade che lo ha portato a cercare continuamente un nuovo bersaglio.

Si potrebbe ravvedere una somiglianza, seppure con metodi diversi, con un altro crociato in lotta contro il crimine, il gothamita Batman, ma laddove il Cavaliere Oscuro cerca sempre un approccio non terminale per le proprie nemesi, Castle vede nell’eliminazione definitiva l'unica soluzione veramente efficace.

La dedizione totale del Punisher alla sua causa è stata espressa in modo inequivocabile da uno dei suoi autori, Steven Grant:

A descrivere al meglio il Punisher sono le parole di Heidegger, che aveva ulteriormente ampliato la visione filosofica di Kierkegaard ‘Considerato che non potremo mai sperare di comprendere perché siamo qui, se può esistere qualcosa da comprendere, è che l’individuo deve scegliere un traguardo e inseguirlo con tutto il cuore, nonostante la morta certa e l’inutilità dell’azione’ . Questo è assolutamente vero per il Punisher, per come lo ho sempre concepito: un uomo che sa che morirà e conscio che le sue azioni non conteranno nulla nel grande schema della vita, ma che comunque persegue il suo obiettivo perché così ha scelto.

Questa visione ammantata di filosofia serve a dare una connotazione quasi spirituale del personaggio, ma la lunga vita editoriale del Punisher consente di avere una concezione più ampia di Castle. Dove Grant cerca una soluzione umorale per questa macchina da guerra, si può cercare una diversa natura del personaggio, andando a scavare all’interno dell’anima di Castle.

L’idea che la sua mente abbia fatto un click specifico dopo la strage della sua famiglia è stata il fulcro del personaggio per decenni, una motivazione che è stata utilizzata per creare anche una sorta di codice morale di Castle, che è divenuto parte della caratterizzazione del Punisher.

L'etica di Punisher

Nonostante la sua innegabile violenza, infatti, Castle è animato da una propria etica, che lo porta a esser spietato con i criminali, ma anche ad avere dei limiti nel proprio agire. Non si possono dimenticare, ad esempio, i confronti etici vissuti con Daredevil, giocati proprio sul concetto di giustizia pratica e giustizia morale, o il limite auto-imposto da Castle, che non intende uccidere uomini in divisa che si dimostrino degni di indossare l’uniforme.

D’altronde, non è solamente il proprio passato militare a imporre questo credo a Castle, ma anche la sua assoluta venerazione per Capitan America, un simbolo a cui anche lui crede ciecamente, tanto che durante gli eventi di Civil War, dopo essersi unito alla fazione guidata da Steve Rogers, durante un confronto acceso tra i due in merito ai diversi, Castle viene colpito da Rogers, rifiutandosi di colpirlo perché rispetta troppo Cap per solo pensare di colpirlo.

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L’etica di Castle si basa su una concezione di giusto assoluta, capace solo in parte di piegarsi alle necessità del momento salvo poi abbattersi sui ‘cattivi’ in modo spietato, perché alla fine per Castle conta soprattutto la sua missione: i criminali devono morire.

Non esistono mezzi che non si possono usare, al punto che Castle non esita a unirsi all’Hydra Cap di Secret Empire convinto che il suo approccio dispotico sia la giusta misura per imporre una vendetta contro la criminalità, come hanno lasciato intendere per decenni i diversi autori che si sono succeduti sul personaggio, arrivando, in alcuni punti, a rendere quasi macchiettistico Castle.

La vera rivoluzione legata all’origine della violenza di Castle è legata alla gestione di Garth Ennis, che a partire dal 1998, prima su Marvel Knights e poi con l’etichetta MAX, raccoglie la sfida offerta da Joe Quesada e riconduce Punisher in una dimensione più matura e realistica.

Liberatosi della presenza del bollino del Comics Code Authority, Ennis si lancia in una narrazione più violenta e dai toni adulti, che trova il suo picco in una nuova origin story di Punisher che non è ambientata durante un pic-nic a Central Park, ma negli ultimi quattro giorni della sua ultima ferma in Vietnam.

Ennis non si limita a mostrare l’acida vita di trincea e gli orrori di una guerra che ha profondamente segnato la società americana, ma si spinge sino a rendere questo inferno in terra il luogo di nascita del Punisher, suggellando quasi un patto faustiano tra il caporale Frank Castle e la Morte, un accordo che sarà pagato caramente da Castle ma che viene stretto alla soglia di una rovinosa offensiva vietnamita da cui solo Castle esce vivo:

Cosa altro stai cercando oltre a questo? Io te lo posso dare,Frank... Rispondi No, e non sarai che un altro soldato ucciso in azione di guerra su una collina di cui intanto non importa niente a nessuno. Rispondi Si, e ti darò ciò che hai voluto in tutti questi anni. Ma tu devi dirlo...Dillo...Dillo..Una Guerra perpetua, una Guerra che non finisce mai, ma tu devi dire quella parola, Frank...

Ennis, con questo passaggio, trasforma le origini di Punisher riconducendole alla ferma in Vietnam, rendendo quindi la strage della famiglia Castle quasi un pagamento saldato. All’interno della produzione di Ennis legata al personaggio, Punisher: Born è forse la storia moderna più matura e graffiante, considerato come sempre Ennis sia poi riuscito a concedersi trame più in linea con la sua vena di sarcasmo paradossale, toccando il picco con la figura del Russo e la saga di Nixon Island, al termine della quale Castle arriva a minacciare persino il Presidente.

Dalla finzione alla realtà

Per quanto irriverente, esagerato nei suoi modi e nelle sue missioni, Castle non è stato percepito come l’elemento di spietata critica intesa sin dalle origini da Conway, ma è anzi divenuto un personaggio preso quasi come modello anche da elementi militari, suscitando un certo sconforto da parte del creatore del personaggio.  

Le radici di Punisher, per quanto legate all’ambito militare come motivo della sua eccellenza nell’utilizzo delle armi da fuoco, non intendevano presentarsi come un omaggio alle forze armate, ma erano un motivo di velata critica, almeno agli esordi, alla violenza della società americana contemporanea, non mancando di calarsi, in alcuni casi, anche in situazioni decisamente più intime e intente a svelare un’ipocrisia solitamente taciuta.

Ne è un esempio Do not fall in New York City, storia breve in cui Frank si mette sulle tracce del suo vecchio amico Joe, compagno d’armi, che dopo aver vissuto un periodo difficile di reinserimento nella vita civile cade vittima di un tracollo nervoso, uccidendo la moglie in preda a un raptus e diventando uno dei ‘cattivi’ braccati da Castle.

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Punisher

Una caccia coinvolgente per Frank, considerato che Joe gli aveva salvato la vita in Vietnam, un fratello che si è smarrito e che il Punisher intende redimere a suo modo, evitando che siano i poliziotti a fermare Joe. Dietro l’elemento emotivo della vicenda personale, Ennis in questa short story racchiude l’essenza di una città che per anni ha vissuto una sorta di indifferenza condivisa, tanto che si era soliti dire che se cadevi per strada a New York City nessuno ti avrebbe aiutato a rialzarsi (tratto sociale ribaltato in seguito all’11 settembre, quasi una coscienza redenta dalla tragedia).

Do not fall in New York City riallaccia anche un rapporto particolarmente stretto tra il Punitore e le forze dell’ordine, che spesso vedono in lui una sorta di sublimazione di una repressa voglia di imporre un giudizio severo, definitivo. Più Giudice Dredd che poliziotto, se vogliamo, ma questa visione distorta che ha spinto persino militari in servizio attivo a utilizzare i simboli di Punisher come vanto ha più volte incontrato lo sdegno del creatore del personaggio, Gerry Conway.

Bisogna fare però una doverosa precisazione. Conway creò il Punisher agli inizi degli anni ’70 e il personaggio si è in seguito evoluto trasformando la sua violenta crociata in una sorta di estremizzata avventura da action movie. A ridare lustro al personaggio, soprattutto legandolo ai suoi trascorsi militari, è stato Garth Ennis, autore che viene spesso citato come uno dei più apprezzati narratori del personaggio, venendo identificato specialmente dai fan in divisa di Castle come il vero autore di Punisher.

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Russo (Punisher)

Non è un caso che, specie con la citata Punisher: Born, Ennis abbia dato una nuova natura al personaggio, ugualmente critica e diluita con la sua nota vena di sarcasmo estremizzato, ma le sue idee su Castle sono racchiuse nel modo in cui lo scrittore scozzese vede il passato militare del personaggio:
Il periodo di Frank tra i Marines è vitale per comprendere il personaggio e l’ambiente che lo ha creato. I suoi tre periodi di servizio gli hanno dato la preparazione militare, ma lui ha finito per vedere la guerra come una risposta a tutti i suoi problemi. È complicato, e lui ha cercato di venirne a capo nel solo modo che conosce.

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Punisher

Una visione che si concilia, a ben vedere, anche con la sindrome dei reduci, condizione che il tessuto sociale americano ha dovuto confrontarsi per decenni, a partire proprio dalle conseguenze del Vietnam. Forse questo paradigma narrativo di Ennis è il punto di contatto che unisce Punisher agli uomini in divisa, che vedono in lui qualcuno che ha vissuto un’esperienza traumatica condivisa, se non addirittura l’incarnazione di una visione estrema di giustizia che spesso, oltreoceano, si divide tra legalità e giustizialismo.

Commentando la venerazione che il celebre cecchino americano Chris Kyle aveva per il Punisher, Conway palesò la propria preoccupazione in tal senso:

Credo non abbia capito la fondamentale verità che Punisher non sia un personaggio da ammirare o emulare. I Marines hanno la reputazione di essere i più ligi, fieri e onorevoli membri delle forze armate americane. Ho sempre pensato che la complessa ricerca della moralità di Frank potesse venire impreziosita in qualche modo stabilendo che lui era il prodotto di questa peculiare tradizione militare. Per me è fastidioso ogni volta che vedo figure autorevoli abbracciare l’iconografica del Punitore, perché Castle rappresenta il fallimento del sistema giudiziario. L’anti-eroe vigilante è in pratica una critica al sistema giudiziario, un esempio di fallimento sociale, quindi quando vedo poliziotti decorare le proprie auto col teschio del Punisher o soldati indossare toppe col simbolo di Castle, per me è come se stessero dichiarandosi nemici del sistema

Il culmine di questa protesta personale di Conway è arrivata al punto di chiedere a Marvel Comics e Disney di intraprendere azioni legali contro coloro che abusano del logo di Punisher, soprattutto dopo aver visto come diversi poliziotti sfoggiassero questi simboli in occasione delle proteste seguenti alla tragedia di George Floyd.

Una presa di posizione che ha raggiunto anche i comics, considerato che nel 2019 in una storia scritta da Matt Rosenberg, Frank non esitava a minacciare dei poliziotti che esibivano come gesto di ammirazione il suo simbolo che li avrebbe considerati dei bersagli, ricordando loro che lui era conseguenza del fallimento del sistema, consigliando di cercare altri esempi, uno in particolare:

Cercate un modello da seguire? Il suo nome è Capitan America e sarebbe felice di avervi al suo fianco….se scopro che state cercando di fare quello che faccio io, i prossimi che verrò a cercare siete voi.

A condividere questa visione critica del personaggio è stato anche uno degli attori che hanno dato vita a Castle, Jon Bernthal, che lo ha interpretato nelle serie dedicata agli urban heroes marveliani dell’era Netflix. Il Castle di queste produzioni ha tutta la brutalità dei momenti più oscuri della vita fumettistica del Punisher, ma ne incarna in modo lucido le ferite interiori e le pecche umane, aspetto che Bernthal ha sempre rimarcato:

Se ho creato un personaggio che esalta la violenza, ho miseramente fallito. Non voglio che lo vediate pensando ‘Questo tizio è chiaramente un eroe’. Non ho mai guardato a lui in quel modo, e non è mai questo il mio scopo. Frank è un uomo che soffre terribilmente, e c’è un costo immane nella violenza con cui ha sempre vissuto

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Oltre i comics

Pur con tutte le sue peculiarità e la sua complessa natura, il Punisher non è rimasto solo nei comics della Casa delle Idee, ma è diventato uno dei primi personaggi della Marvel a conquistare la cross-medialità. Dal mondo dei videogiochi, dove è stato protagonista di un coin-op al fianco di Nick Fury, sino all’apparizione come antagonista del Ragno nella celebre serie animata Spider-Man: The Animated Series, arrivando in fine anche sul grande schermo.

Dopo un tutt’altro che memorabile tentativo di trasposizione cinematografica risalente al 1989 con The Punisher (Il Vendicatore in italiano), interpretato da Dolph Lundgren, viene fatto un secondo tentativo nel 2004 affidando il ruolo a Thomas Jane, ma nuovamente il risultato non è quello sperato, fallimento che si ripete con Punisher – War Zone (2008), dove nonostante l'interpretazione di Ray Stevenson si arriva all’abbandono di qualunque trasposizione cinematografica del personaggio, lasciando che i diritti tornino alla Marvel.

Da questa possibilità, Frank Castle aveva ottenuto una nuova possibilità, diventando parte del progetto del Marvel Universe urbano dell’era Netflix, avviatosi, non a caso, con Daredevil. Proprio all’interno della serie dedicata al Diavolo Custode, Jon Bernthal aveva indossato per la prima volta il teschio del Punitore, diventando immediatamente uno dei personaggi di punta di questo arco narrativo.

Un successo immediato, reso tale grazie all’accurata ricostruzione di momenti che nei comics Marvel avevano unito Castle e il Cornetto. Il risultato fu la nascita di una serie dedicata a Castle, che avrebbe dovuto essere il primo passo per la caratterizzazione di uno dei più complessi e violenti personaggi della Casa delle Idee. La fine del contesto urbano marveliano marchiato Netflix, apparentemente, aveva segnato anche la conclusione della crociata di Castle, ma come diceva sempre Stan Lee

le porte dell’adilà Marvel sono girevoli

Dopo una serie di ipotesi e speculazioni, l’esordio di Charlie Cox come Matthew Murdock in Spider-Man: No Way Home ha aperto il processo di recupero delle serie dell’era Netflix all’interno del Marvel Cinematic Universe. Un passaggio che non ha interessato solo il Cornetto e la sua nemesi Kingpin, già apparsi in altre produzioni del franchise, ma che si prefigge di portare nell’MCU altri personaggi amati, come dimostrano le recenti foto di Bernthal sul set di Daredevil: Born Again, futura serie dedicata al Diavolo Custode di Hell’s Kitchen.

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